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Il capolavoro di Minniti e la “tenuta democratica”

Scrive, a ragion veduta, Alessandro Gilioli:

A proposito: eccola qua, la “tenuta sociale” ritrovata.

Da due o tre mesi in Italia non si parla che di migranti.

Non c’è più nessun’altra questione: precariato, povertà, licenziamenti, la gente che non sa dove sbattere il cranio per arrivare alla fine del mese, l’età pensionabile che va verso il record mondiale di vecchiezza, i conti dell’Inps che garantiscono agli under 35 una terza età da poveri in un monolocale di borgata, la fuga disperata dei ragazzi all’estero, gli otto mesi per avere una colonscopia in una struttura pubblica che diventano otto ore se estrai la Visa – e così via.

Niente, non c’è più nient’altro, da nessuna parte, solo migranti migranti migranti. Migranti in tivù, sulle radio, sui giornali, nei social, nelle conversazioni al bar. Un pensiero invasivo. Totalmente sproporzionato alla sua portata reale, ma gigantescamente invasivo.

È stato un capolavoro, quello di Minniti. Alla Goebbels, direi: e non per una “reductio ad Hitlerum” – non fraintendete – ma come effetti di potenza persuasiva.

E così abbiamo scampato il rischio della “mancata tenuta sociale” del Paese. Siamo di nuovo una società unita, wow.

Però basata sull’odio, sul pregiudizio, sul razzismo, su una narrazione intimidatoria e – fra l’altro – sulla morte nel deserto di migliaia di esseri umani.

Però unita, caspita, anche politicamente: dall’estrema destra al Pd passando per il Movimento 5 Stelle, dagli editorialisti più compassati d’establishment a quelli che si vantavano ogni giorno di essere contrari a tutto e fuori dal coro.

Abbiamo nascosto i problemi sociali sotto la coltre dell'”emergenza migranti”, come quei generali sudamericani che quando temevano una rivoluzione chiamavano all’orgoglio patrio e dichiaravano guerra uno stato vicino.

Il suo post lo trovate qui.