(Paolo Bonacini per Il Fatto Quotidiano)
Al processo Aemilia tiene banco Antonio Valerio, fresco collaboratore di giustizia che ha deciso di vuotare il sacco nel giugno scorso. E’ un personaggio unico nella ’ndrangheta 5.0, come chiama la cosca emiliana per spiegare la distanza dalla mafia vecchio stampo, tutta “bacinella, lupara e cuppulicchia”. Uno “’ndranghetista a statuto speciale”, si definisce, che può fare in sostanza (quasi) tutto ciò che vuole in virtù di uno storico legame con il boss Nicolino Grande Aracri.
Ex boxeur, parla di spalle in videoconferenza, mostrando solamente la nuca segnata dalla cicatrice che gli regalò il killer Paolo Belliniquando cercò di ucciderlo nel 1999. Valerio è un uomo erudito per i canoni della ‘ndrangheta, utilizza le “linee di fuga del Brunelleschi” per illustrare l’organigramma funzionale della Famiglia emiliana e fa riferimento al “bosone di Dio” quando parla di accuse sospese nel vuoto. E’ soprattutto la memoria vivente della vita, della morte e dei miracoli che hanno caratterizzato trent’anni di inarrestabile ascesa in Emilia Romagna dei mafiosi provenienti da Cutro, in provincia di Crotone.
Fatture false all’incasso. Uno dei miracoli è la moltiplicazione dei soldi frutto di “un vorticoso giro di false fatturazioni” dicono gli atti processuali, che consentono di “presentarsi all’incasso presso istituti di credito se non compiacenti, certo scarsamente solleciti a esercitare i poteri di segnalazione previsti dalla normativa antiriciclaggio”. Il giro d’affari documentato tra il 2011 e il 2012, relativo alle sole operazioni inesistenti di società che stampano fatture false per frodare il fisco, è di oltre 17 milioni di euro.
Antonio Valerio racconta ai pm e in aula, durante una delle ultime udienze, quello che secondo lui è un caso esemplare di “banca compiacente”. Uno stimato imprenditore del comprensorio ceramico e uno stimato agente immobiliare utilizzano aziende di comodo per emettere assegni fasulli, chiamati “formaggio avariato”, e si affidano a lui per portarli all’incasso. Valerio trova la persona giusta nel direttore della filiale di Banca Carifirenze a Novellara, comune della provincia reggiana.
Gli assegni “avariati” e il direttore sedotto. “Andiamo a pranzo con lui e un nostro amico porta un paio di ragazze carine e disponibili. E ‘ste ragazze, piedino sotto, piedino là, questo qua comincia a perdere il lume della ragione. Poi si ragiona di aprire un conto bancario a una società, portare eventualmente sconti fattura, con il 70% consegnato subito, e questo qua dice: va beh, qual è il problema? Porta la società, la visioniamo, la giriamo, facciamo e voltiamo.”
Il gioco è fatto e la macchina del “formaggio avariato” che diventa denaro contante comincia a girare. Tanto bene che Valerio dice ai suoi complici: “Ma scusa, se noi mettiamo un assegno da 100 e me ne danno 70 subito, allora metti 200 e ce ne danno 140! Il direttore fa finta di non vedere, il vicedirettore la stessa cosa, il cassiere si piglia pure il suo, voglio dire, ma che ti frega a te”. “Alla fine”, dice Valerio, “penso che come danno gli abbiamo fatto alla Carifirenze circa 2milioni e 800mila euro. Solo io ho preso 200mila euro”.
Con o senza ragazze “disponibili” le indagini di Aemilia hanno messo in luce un numero preoccupante di sportelli bancari che accolgono con l’inchino i cassieri della ‘ndrangheta. Operazioni sospette vengono segnalate in filiali della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, della Banca Popolare di Verona, della Veneto Banca, del Banco San Paolo di Brescia, della Cassa di Risparmio di Cesena, della Banca Interprovinciale di Modena, oltre che nell’universo a parte degli sportelli di Poste Italiane spa.
Il funzionario teme i controlli: “Non caricare troppo…”. Il primo febbraio 2012 presso la filiale modenese della Tercas, la Cassa di Risparmio di Teramo, Vincenzo Mancuso, uomo chiave della cosca secondo l’Antimafia nel riciclaggio del denaro sporco, monetizza alcune decine di migliaia di euro che entrano ed escono dal suo conto aziendale. Un funzionario della banca gli dice in confidenza: “Enzo, con la massima serietà, non caricare troppo il fucile però… che quando uno fa troppi movimenti, troppe circolari, è inevitabile che qualcuno alzi le antenne, eh!”. Di quella banca nel 2015 sono andati a processo per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta e riciclaggio transnazionale l’ex direttore generale e l’ex presidente, assieme ad altre dodici persone.
Ma gli sportelli “amici” delle banche lavorano anche sull’usura. Racconta sempre Valerio che si utilizzavano due sistemi standard: il primo è un prestito che genera un interesse variabile dall’8 al 10% da pagare ogni dieci giorni. Quindi se ti presto 10mila euro, ogni 10 giorni tu mi paghi mille euro, ma il debito resta costante. Il secondo modo è sfruttare lo sconto fatture in banca: io ti presto sempre 10mila euro ma ti fatturo altrettanto e porto le fatture in banca dove mi vengono pagate salvo buon fine. Tu mi restituirai il prestito con un tasso del 20% entro i 60 o i 90 giorni di limite posto dalla banca per l’incasso.
Se la banca finananzia l’usura. In entrambi i casi è evidente che si può fare usura anche senza avere un euro in tasca, avendo una banca d’appoggio, come spiega bene Valerio al pm Mescolini: “Io pagavo alla banca l’8% annuale sui soldi che mi prestava e con quelli mi prendevo il 20% con l’usura ogni due o tre mesi, dottore. Faccia lei”.
L’altro collaboratore di giustizia del processo Aemilia, Giuseppe Giglio, il genio finanziario della cosca emiliana, l’ideatore delle complesse truffe carosello che sfruttavano le norme comunitarie europee sulle esenzioni da Iva, con le banche ci andava ancora più d’accordo dello stesso Valerio. Nel 2012 lui e la moglie Maria Curcio non hanno dichiarato redditi familiari: erano poveri senza lavoro. Ma la Direzione Antimafia di Bologna ha accertato che nello stesso anno Giglio era il reale proprietario di 245 proprietà immobiliari, 10 società, 39 polizze assicurative e infine 1008 rapporti bancari aperti in 51 diversi istituti di credito. Un bel record per un nullatenente.