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Le elezioni a Ostia le hanno già vinte gli Spada e i Fasciani

Come se non bastasse il fatto che per Roma giri una giornalista sotto scorta per le loro minacce (Federica Angeli, che scrive per Repubblica) ieri Roberto Spada è rimbalzato su tutti i telegiornali mentre in pieno giorno, sotto l’occhio di una telecamera, prende a testate un giornalista Rai come nemmeno nelle peggiori fiction di mafia. Così, apertamente e liberamente, mentre tutto intorno Ostia si prepara al ballottaggio di un voto erroneamente considerato locale ma che invece propone tutti i lineamenti di una mafia parafascista che su Roma ci riporta ai periodi bui della banda della Magliana e di altri terrificanti personaggi della storia capitolina.

Come se in fondo il processo di Mafia Capitale (e che tristezza leggere decine di editoriali tutti proni a sminuire un fenomeno che continua a sanguinare) fosse solo un incidente e non la spia di una criminalità che addirittura si esibisce pubblicamente nella minaccia come potrebbe accadere a Corleone o a Casal di Principe. Chiunque sappia qualcosa di fatti di mafia sa bene che quel naso spaccato (addirittura pubblicato sulla propria pagina Facebook) è una medaglia che accresce l’onore marcio di chi, proprio con la violenza, si è affrancato in un territorio omertoso e spaventato.

Ostia è la terra di mafia dei nuovi fascismi pericolosamente coalizzati con l’illegalità del territorio (oltre che intrinsecamente illegali, per Costituzione) che dietro al falso mito della “cura dei bisogni della città” trasforma mafiosi in potabili imprenditori, la violenza e le minacce in “perdita di pazienza” e l’estrema destra in legittime posizioni politiche.

Oltre alla solidarietà doverosa ai giornalisti di Nemo, malmenati nello stesso Paese che facilmente si offende quando crolla nella classifiche della libertà di informazione, forse sarebbe il caso di aprire anche alcune riflessioni: c’è la responsabilità di chi negli ultimi mesi (fior fiore di giornalisti) ha legittimato Casapound come se davvero fosse un partito politico e non solo un grumo di orribile passato e c’è anche l’inutile tiritera di chi punta il dito contro “il web” senza rendersi conto che internet (come la politica, l’imprenditoria e il giornalismo stesso come ha dimostrato la prima pagina di Libero di ieri) è solo la fotografia reale di un Paese che normalizza la ferocia e poi se ne lamenta.

Buon giovedì.

(continua su Left)