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La ‘ndrangheta e la lingua italiana: ex prof “arruolato” per riscrivere in bello stile le regole dei padrini

(Ottavia Giustetti per Repubblica racconta una storia che merita di essere letta)

Anche le ‘ndrine hanno una loro “accademia della Crusca”: impiegano personaggi acculturati per scrivere e custodire le regole di un rituale segretissimo, la “favella”, con l’obiettivo di affiliare fino alle più alte cariche dello Stato. Sono i cosiddetti “custodi delle regole” incaricati dalle potenti famiglie della ‘ndrangheta di mettere ordine e bella scrittura nei manuali con le “istruzioni” per battesimi e affiliazioni. Francesco Galdi,  laureato, ex insegnante, dice di essere un di loro. “I boss Carmine Chirillo e Franco Giampà mi incaricarono di scrivere le regole, ero uno dei pochi custodi, saremo in quattro o cinque, che dovevamo correggere formule e rituali perché erano state scritte in modo sgrammaticato”, ha raccontato il testimone d’eccezione oggi in aula a Torino, al processo d’appello Minotauro-bis.

Collaboratore di giustizia, arrivato dall’Emilia Romagna (ma originario di Figline Vegliaturo in provincia di Cosenza), Galdi dice di conoscere molto bene i meccanismi più segreti che governano le ‘ndrine della penisola. “Chirillo e Giampà erano interessati alla riscrittura perché Cirillo era considerato la persona più importante del luogo – ha raccontato – aveva su di sé 35 o 40 omicidi, solo una ventina dei quali contestati, mentre Giampà era a capo di una guerra di ‘ndrangheta che ha fatto oltre cento morti, era uno della cupola, degli incappucciati, colegato coi Bellocco di Rosarno: parliamo del gotha della ‘ndrangheta”. Per questo lo hanno ingaggiato.

Galdi, che ha una condanna definitiva per l’operazione “Overloading” della Dda di Catanzaro, si avvicinò al mondo degli stupefacenti quando capì che si poteva ottenere un prodotto similie alla cocaina senza principio attivo, con mannite, etere e altre sostanze psicoattive. Ma il suo punto di forza è stato conoscere i segreti della finanza – curava gli interessi della familia Chirillo di Paderno Calabro e per il clan Lanzino – e soprattutto la sintassi forbita. “Mi vennero insegnate regole, segni convenzionali di riconoscimento reciproco creati per rendere più difficile la captazione da parte delle forze dell’ordine” ha rivelato a luglio in interrogatorio davanti al pm Monica Abbatecola.

Per farsi riconoscere in carcere, ad esempio, si fa così: “Quando entri riconosci subito i calabresi e loro conoscono te. Ci sono frasi, battute convenzionali, anche segni come toccarsi il mento o sfiorarsi il pizzetto, è un modo per presentarsi come santista perché si ricordano Garibaldi e Mazzini che avevano la barba. Se chi sta davanti a me non reagisce non è affiliato, non è “fatto”. Se invece lo è e si sfiora a sua volta la barba si dichiara santista e “si riserva”, che significa che mi farà sapere oltre”.

La notizia a quel punto viene passata in carcere “e da quel momento ti arrivano tutte le informazioni utili”. Galdi ha ricostruito il ruolo del pentito Domenico Agresta, figlio di Saverio, il “boss bambino” che a soli vent’anni ha già la dote di padrino. “Saverio era affiliato – ha raccontato – aveva una dote altissima, o di stella polare o di templare. Io conosco solo fino alla stella”. Della società minore sono il “picciotto”, il “camorrista” e lo “sgarrista”. Della società maggiore: “santista, vangelo, trequartino, quartino e padrino”. Fino a qui si chiamano “fratelli di crociata”. “La crociata non è una dote ma un insieme, un tipo di classificazione che racchiude le doti della minore e della maggiore, a simbologia ci sono le croci con la lametta messa sotto il pollice”. Quindi inizia l’insieme della “stella polare” che racchiude la “stella”.  “Ci sono anche altre doti come cavalieri templari, infinito, la luce ci cui non conosco il rito – ha detto – cariche speciali per magistrati, avvocati e medici”.

Le formule di cui Galdi si è occupato “sono fogli volanti, regole scritte che vengono imparate a memoria: non posso escludere che esista un libro che li custodisca tutti, anche perché chi lo detiene dovrebbe sapere tutti i riti, cosa che comporta una dote altissima. Nel rituale del trequartino e del vangelo vengono inseriti nomi che quasi nessuno ripete. Del resto ci sono simbologie che sono state cambiate proprio a fronte delle collaborazioni con la giustizia, per rendere difficile la decifrazione dei segni da parte degli investigatori”.