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Governabilità ch’è sì cara

Di Mattia Mirto

(*socio del  circolo Libertà e Giustizia di Bologna. L’incontro è avvenuto sabato 17 febbraio a Bologna)

Non ce ne voglia Dante se ci siamo permessi di sostituire la libertà con la governabilità, ma anche questo è un tema che alloggia in un contemporaneo Purgatorio, fra invocazioni bipartisan e premi di minoranza (non è un refuso, quello della legge elettorale Renzi-Boschi lo era veramente), giustificati da questa benedetta e sì cara governabilità.

Al CafèTeatro CostArena di Bologna siamo giunti al terzo incontro con il professor Gianfranco Pasquino che mette la sua sapienza al servizio di chi si ferma a fare colazione al bar, dando piccoli grandi aiuti su come interpretare il panorama politico nazionale in vista delle elezioni politiche del 4 marzo.

Il politologo apre la discussione parlando proprio della confusione ingenerata da alcuni politici fra il concetto di governabilità e quello di maggioranza parlamentare, molto spesso sovrapposte. La governabilità è la capacità di trovare convergenze sull’attuazione di un programma di governo, se su questo si forma una maggioranza parlamentare pre o post elettorale poco conta; così come, ai fini della governabilità non è automatico che la maggioranza debba essere statica, ma in un sistema parlamentare può mutare, e non è una patologia del sistema.

Questo si comprende ancora meglio quando il professore afferma, ammettendo che alcuni suoi colleghi non la pensino esattamente così, che la governabilità migliori all’aumentare della rappresentanza. Cioè quando, tramite una buona legge elettorale, i parlamentari sono espressione vera e vicina del territorio e dell’elettorato, questi sono più propensi a trovare accordi di governo efficaci per incassare risultati utili da mostrare al successivo appuntamento elettorale. La stabilità politica scaturita da questa convergenza si manifesta con una buona capacità decisionale dell’Esecutivo.

Altro tema, a cui molti sono sensibili, toccato durante il dibattito è l’esperienza politica e parlamentare pregressa rispetto all’assunzione di incarichi di governo. È abbastanza chiaro quanto l’aver maturato esperienza in campo parlamentare o comunque di governo del territorio possa essere un grande aiuto nel sapersi districare tra i fili della governabilità; e anche qui si rompe e si inverte una tendenza che negli ultimi anni ha visto come sporca la presenza prolungata delle stesse persone all’interno delle Istituzioni. Il processo più sano sarebbe quello di rinnovamento graduale che vede i membri con più esperienza e capacità ricoprire i ruoli apicali, con buona pace di rottamatori e apriscatole istituzionali.

E per restare in temi controtendenza, Pasquino fa notare come la percezione che l’elettore dovrebbe avere dell’eletto è quella di un rapprentante migliore di sé, e quindi sarebbe opportuno che il metodo di scelta del candidato (cosa che l’attuale legge elettorale non consente) tenesse conto delle migliori attitudini politiche di chi riceve l’investitura popolare e non, come spesso viene detto, di semplici capacità professionali o imprenditoriali che sole non dimostrano nessuna capacità di buon governo. Insomma, va bene la stima, ma dovrebbe essere calibrata su competenze politiche migliori delle proprie.

Il termine anglosassone ‘accountability’ rende meglio l’idea di questo rapporto di delega da parte dell’elettore verso chi viene ritenuto idoneo a governare.

Come per i precedenti incontri, ci si è resi conto di quanto la legge elettorale sia fondamentale per un corretto funzionamento della democrazia rappresentativa e la governabilità sia molto spesso il pretesto con cui vengono celate incapacità personali a ricoprire incarichi di governo.

Quindi una buona legge elettorale, che metta i candidati nelle condizioni di dover rispondere non solo al partito (o al capo del partito) ma anche agli elettori, metterebbe il Parlamento nelle condizioni di dover garantire dal Governo l’attuazione di programmi politici, il cui tradimento verrebbe pagato con il successivo appuntamento con le urne.

(fonte)