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Non è Romani il problema, ma Forza Italia

Leggete con attenzione:

«Quali rapporti? Per delinearli i pm partono da lontano. E citano la sentenza definitiva che ha condannato Dell’Utri a sette anni di carcere per concorso esterno. “I giudici hanno scritto – ha detto Del Bene citando le motivazioni del verdetto – che fin dagli anni Settanta Marcello Dell’Utri intratteneva un rapporto paritario con esponenti di Cosa nostra”. Contatti che per i pm “sono proseguiti anche dopo la scomparsa dei boss Mimmo Teresi e Stefano Bontate, suoi iniziali interlocutori, uccisi dai corleonesi di Totò Riina”. Nella requisitoria ha dunque fatto la sua comparsa Vittorio Mangano, il boss di Porta Nuova assunto da Berlusconi e Dell’Utri come stalliere nella villa di Arcore nel 1974. “La presenza di Vittorio Mangano ad Arcore, mafioso del mandamento di Porta Nuova, per il tramite di Dell’Utri, rappresenta la convergenza di interessi tra Berlusconi e Cosa nostra”, dicono i pm, che durante una delle udienze del processo hanno ascoltato anche la deposizione del pentito Gaetano Grado. “Negli anni Settanta – aveva detto il collaboratore di giustizia l’11 giugno del 2015 – portava fiumi di miliardi da Palermo a Milano. Erano soldi del traffico di droga di Cosa nostra che Mangano consegnava a Dell’Utri, poi Dell’Utri li consegnava a Berlusconi che li investiva nelle sue società, mi pare anche per Milano due. La mafia ha bisogno di investire. Siccome i soldi della droga erano talmente tanti che non si sapeva più quanti fossero, Mangano esportava fiumi di denaro su a Milano”.

L’intimidazione: gli attentati alla Standa – Il sostituto procuratore ha poi ricordato gli attentati alla Standa di Catania, che all’epoca era di proprietà di Silvio Berlusconi. Secondo l’accusa gli attentati intimidatori sarebbero cessati solo dopo un accordo tra Cosa nostra e Berlusconi, “attraverso l’intermediazione di Dell’Utri”. Già in una delle scorse udienze, il pm Roberto Tartaglia aveva spiegato. “I boss puntarono all’intimidazione, per poi raggiungere il patto”, disse il magistrato riferendosi proprio gli attentati alla Standa: “Il pentito Malvagna ci ha raccontato che scese un alto dirigente Fininvest per risolvere la questione”. Chi era quell’alto dirigente? “Era Dell’Utri”, ha detto un altro pentito, Maurizio Avola, riferendo di un incontro tra l’ex senatore e il capomafia Nitto Santapaola.

Sicilia libera è il movimento creato su input dello stesso Bagarella, al vertice dei corleonesi nel 1993 dopo l’arresto del cognato Totò Riina.  “Il movimento Sicilia libera ha in sé tutti i protagonisti del reato di attentato a corpo politico dello Stato che contestiamo agli imputati di questo processo. Cosa nostra ha l’esigenza di interloquire direttamente con le istituzioni e Bagarella tenta di farlo con questo movimento politico nel cui statuto vengono inseriti i punti che tanto stanno a cuore alla mafia, tra cui la giustizia e provvedimenti sul mondo carcerario“. Poi, però, succede qualcosa. Succede che alla fine del 1993 lo stesso Bagarella “sa della discesa in campo di Silvio Berlusconi per le politiche del 1994 e decide dirottare il suo sostegno a Forza Italia, e di fatto decide di dare sostegno a Marcello Dell’Utri attraverso i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Così, lascia perdere il Sicilia libera che aveva fondato e di fatto confluisce in Forza Italia”.

Quello che disse Cancemi – Per la verità, però, a parlare di Berlusconi e Dell’Utri come possibile soluzione ai problemi di Cosa nostra era stato lo stesso Riina già nel giugno del 1992, quando la nascita di Forza Italia era ancora alle primissime battute. A sostenerlo – lo ha ricordato nelle scorse udienze il pm Di Matteo – era stato il pentito Salvatore Cancemi. Nel corso della riunione del giugno ’92, “Riina si prese la responsabilità di eliminare Paolo Borsellino”. Nella stessa circostanza aggiunse che “andava coltivato il rapporto con Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri”.  “Non è un racconto del relato ma proviene dalla voce di un autorevole capomafia”, aveva detto Di Matteo. Le dichiarazioni di Cancemi, secondo l’accusa, riscontrano quanto detto in carcere da Giuseppe Graviano. Intercettazioni che hanno fatto riaprire le indagini su Berlusconi e Dell’Utri come mandanti delle stragi e che sono state al centro di un acceso dibattito processuale tra accusa e difesa.”

In questo articolo (tratto da Il Fatto quotidiano del 25 gennaio di quest’anno qui) si racconta dell’accordo che portò alla costruzione di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi fortemente voluto da Marcello Dell’Utri. Il punto è tutto qui: il tema non è Paolo Romani che non è voluto dal Movimento 5 stelle perché già condannato. Il tema è Forza Italia e la sua storia. Poi, per carità, qualcuno è libero di non crederci ma sicuramente ci credeva Alessandro Di Battista mentre declamava ad alta voce la sentenza Dell’Utri ad Arcore. Ridurre tutto a Romani è un truffa. E dire, come prova a fare Di Maio, che il «leader del centrodestra è Matteo Salvini» fingendo che non ci sia Forza Italia al seguito è un andreottismo. Senza nemmeno la soddisfazione di avere la cultura e l’arguzia di Andreotti.

Buon venerdì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/03/23/non-e-romani-il-problema-ma-forza-italia/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

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