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Il diritto di fallire

Sta spargendo tristezza la storia di Giada, la giovane che si è suicidata nel giorno della sua finta laurea sopraffatta dalla vergogna di avere mentito sul suo corso di studi. Ha aperto una riflessione anche il post di Guido Saraceni, docente di Filosofia del Diritto e Informatica Giuridica presso l’Università di Teramo che sul suo profilo Facebook ha scritto:

«La giornata delle lauree celebra la maturazione, la fatica e l’impegno dei nostri studenti. Ha il sapore della speranza nel futuro.

A queste cose ho pensato ieri, quando letto che una ragazza di Napoli, il giorno delle lauree, è salita sul tetto dell’Ateneo e si è lanciata nel vuoto: aveva detto a parenti ed amici che quel giorno si sarebbe laureata, ma non aveva completato il ciclo di studi.

L’Università non è una gara, non serve per dare soddisfazione alle persone che ci circondano, non è una affannosa corsa ad ostacoli verso il lavoro.

Studiare significa seguire la propria intima vocazione. Il percorso di studi pone lo studente davanti a se stesso.

Cerchiamo di spiegarlo bene ai nostri ragazzi. Liberiamoli una volta per tutte dall’ossessione della prestazione perfetta, della competizione infinita, della vittoria ad ogni costo.

Lasciamoli liberi di essere se stessi e di sbagliare. Questo è il più bel dono che possono ricevere. Il gesto d’amore che può letteralmente salvarne la vita».

E ha ragione Saraceni. Eppure il diritto di fallire non vale solo per l’università ma vale generalmente per la vita e forse sarebbe il caso di ribadirlo in questo tempo, questo tempo in cui le fragilità sono una colpa e in cui la vita degli altri vorrebbe essere pesata per le vittorie senza tenere conto di tutto il resto. Che è la vita, tutto il resto.

Bisognerebbe sancire il diritto di fallire, di provarci e non riuscire, di mettercela tutta e scoprirsi non all’altezza. E rispettarsi. E rispettare. Sarebbe una rivoluzione profumatissima.