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Perché la vittoria di Helena Janeczek allo Strega va oltre la letteratura

Lo scrive benissimo Igiaba Scego su Internazionale:

Il giudizio sul romanzo è stato unanime. Ha vinto il libro giusto. Quello che ha saputo interpretare le angosce contemporanee, raccontandoci una storia esemplare del passato, dove la lotta antifascista non è stata solo la lotta di un singolo, ma di una collettività internazionale, che in Spagna si è ritrovata e si è guardata negli occhi con orgoglio e anche con sgomento.

Con questo libro, l’autrice ha anche rotto il famoso tetto di cristallo: era infatti da 15 anni che una donna non vinceva il premio Strega. Ma c’è dell’altro nella vittoria di Janeczek, ed è legato al suo cognome, che non è quello vero della sua famiglia. Quello si è perso nel caos che si è verificato alla fine della seconda guerra mondiale. Le guerre, le migrazioni, le catastrofi che l’essere umano si infligge costringono le persone a lasciare le loro case, a cambiare identità, a mutare orizzonti, a buttar via i sogni e spesso anche i cognomi. Ed ecco che il destino che ci fa nascere con un nome (e un paese) decide di disfare tutto e ci si ritrova all’improvviso con qualcosa che non è mai stato nostro, un cognome del tutto sconosciuto.

È successo a molti emigranti italiani, ebrei, irlandesi, ungheresi a Ellis Island, negli Stati Uniti. E succede ancora ai siriani, ai somali, agli eritrei, ai bangladesi negli uffici dell’anagrafe italiani, da Verona a Brindisi, passando per Roma e Milano.

I genitori di Helena Janeczek provenivano direttamente dall’indicibile, dal campo di concentramento per eccellenza, da Auschwitz. Con un cognome falso, la famiglia ebrea-polacca dell’autrice, è andata avanti, ricreando una vita, un futuro, delle nuove abitudini. Janeczek è cresciuta all’ombra di tutto questo in una Monaco di Baviera dove le tracce del nazismo erano e sono ancora evidenti. È lì che si trovano la casa di Hitler – che oggi ospita un conservatorio –, la piazza delle adunate e delle braccia tese. Ma la sua vita nella città tedesca è stata anche quella di una ragazza normalissima, che andava a scuola e sognava l’amore e i fiori come tutte.

(continua qui)