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L’epoca del “tutti giudici”

Nazione Indiana pubblica un’intervista a Michel Foucault che parla di libri e di presente (come succede spesso quando si tratta di letteratura). Merita di essere letta perché affronta lo spasmo del voler giudicare (o forse sarebbe meglio scrivere: seppellire) come urgenza personale. Dice Foucault:

Sembra che Courbet avesse un amico che si svegliava di notte urlando: “Giudicare, voglio giudicare”. È incredibile quanto le persone amino giudicare. Si giudica ovunque, di continuo. Probabilmente, per l’umanità, è una delle cose più semplici da fare. Ma lei sa che l’ultimo uomo, quando l’ultima radiazione avrà ridotto in cenere il suo ultimo avversario, prenderà un tavolo sbilenco, si siederà e comincerà il processo al responsabile? Non posso fare a meno di pensare a una critica che non cerchi di giudicare, ma di far esistere un’opera, un libro, una frase, un’idea; accenderebbe dei fuochi, guarderebbe crescere l’erba, ascolterebbe il vento e prenderebbe al volo la spuma del mare per disperderla. Riprodurrebbe, invece che dei giudizi, dei segni di vita; li chiamerebbe, li strapperebbe dal loro sonno. Talvolta li inventerebbe? Tanto meglio, tanto meglio. La critica sentenziosa mi fa addormentare; vorrei una critica fatta di scintille di immaginazione. Non sarebbe sovrana, né vestita di rosso. Porterebbe con sé i lampi di possibili tempeste.

La trovate qui.

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