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Toh! C’è la guerra nel “porto sicuro”

C’è un problema, semplice semplice: l’Italia (e non certo solo con questo governo) probabilmente rischia di avere puntato sul cavallo sbagliato.

Tripoli è un campo di battaglia, titolano tutti i giornali. La Libia ormai è la cartina di tornasole dell’inefficienza dell’Europa e della feroce superficialità con cui si spacciano interessi economici chiamandoli vigliaccamente politica estera.  Il consiglio presidenziale libico guidato da Fayez al Serraj (quello riconosciuto dall’Onu e gran parte dell’Europa) ha proclamato lo stato di emergenza e ora si trova sotto attacco dell’iniziativa militare della Settima Brigata, guidata da Salah al Badi, insieme ad altri gruppi armati.

L’uomo scelto dall’Europa insomma appare sempre più debole rispetto al generale Khalifa Haftar (sostenuto anche da Macron che in nome del meno peggio ora qualcuno vorrebbe incoronare come vessillo di certa sinistra).

Ma c’è un altro punto, su cui molti opinionisti sembrano piuttosto blandi: la Libia per l’Italia non sono i diritti umani come da anni fa comodo raccontarci. La Libia sono soprattutto i rapporti economici considerevoli che ci legano mani e piedi (i giacimenti dell’Eni, per citare una cosa a caso) a uno Stato che sembra ben lontano dal raggiungere una pacificazione democratica.

Hanno chiamato la Libia Stato nascondendo che si tratti di un Paese ostaggio di tribù di corrotti e corruttori che usano le milizie per spartirsi il potere. Insistono nel chiamare Guardia costiera libica un accrocco di briganti e assassini che hanno imparato a recitare (male) la parte degli uomini in divisa. Fingono di parlare di Europa o di diritti ma stanno con la calcolatrice in mano a calcolare i profitti. E ora, con il conflitto alle porte, per l’ennesima volta saremo vittime delle partenze dalle coste libiche usate da sempre come arma di ricatto.

Intanto l’Italia sta facendo rientrare con urgenza i propri diplomatici e lavoratori. In fretta e furia. Sarebbe da piazzarsi in mezzo al corridoio, quello dove corrono tutti terrorizzati, alzare la manina e chiedere: ma scusate, ma non era un porto sicuro, qui?

Buon martedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/09/04/toh-ce-la-guerra-nel-porto-sicuro/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.