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«Ho scritto un libro feroce ma sono ottimista: i razzisti di natura sono pochissimi»

(fonte articolo)

Carnaio di Giulio Cavalli, appena uscito per Fandango, è un libro duro, durissimo che accompagna il lettore passo dopo passo vero un inferno da cui non sembra esserci via d’uscita. Nella cittadina di DF cominciano ad arrivare cadaveri dal mare. Prima uno, poi due, poi qualche decina e infine ondate sempre più frequenti. Di questi cadaveri non sappiamo nulla, se non che sono tutti maschi, tutti molto simili. Quello che scopriamo invece è la reazione degli abitanti di DF che muta e cambia fino ad arrivare non solo ad abituarsi a quella situazione, ma a sfruttarla, in un perverso meccanismo di autodifesa. Il tutto è raccontato scegliendo i vari punti di vista di alcuni cittadini, in una serie di racconti che sembrano perfetti come monologhi con quella lingua che appare così spontanea, così vera, così orale. Del resto Cavalli è forse più noto per la sua attività di attore e autore di monologhi, uno dei quali, Mafie, maschere e cornuti, sarà in scena il 6 dicembre all’Almagià per Libera (ingresso gratuito alle 21). Ma Cavalli sarà anche a Ravenna proprio per parlare di questo romanzo, al Dock 61 in via Magazzini Posteriori, il 7 dicembre alle 20.45.

Gli spunti che offre il libro rispetto alla realtà che viviamo in questi giorni sono tantissimi, alcuni abbiamo provato ad affrontarli qui.

Innanzitutto, come dobbiamo considerare questo libro che usa la cifra del grottesco e dell’iperbole, una sorta di distopia?
«Ci siamo interrogati molto, anche con l’editore, chiedendoci se l’aggettivo distopico fosse calzante. In realtà, posso dire che quando l’ho scritto volevo soprattutto mostrare come quando si superano certi muri, certi limiti etici e sociali, il resto diventa una discesa verso l’abisso. Sono convinto che chi è pronto a superare il primo argine sarà capacissimo di spostarne altri, senza fine».

L’ha scritto sull’onda di ciò che sta accadendo di recente?
«In realtà l’ho scritto prima, prima delle elezioni e di questo governo. Il fatto che la realtà tenda ad assomigliare sempre più al libro è preoccupante».

Che posto è DF, la cittadina dove tutto accade? All’inizio siamo portati a pensare a una città del sud d’Italia, affacciata sul Mediterraneo…
«Diciamo che potrebbe collocarsi vicino a Pozzallo, ma è in realtà una citazione da Bolano che ho scelto per immaginare una città che possa essere ovunque. Del resto c’è molto anche una mentalità settentrionale degli abitanti».

Come a dire che può succedere a tutti e ovunque? C’è un personaggio in particolare, un pescatore, il primo che entra in scena, a cui è impossibile non affezionarsi, che poi però anche lui, per quieto vivere, per vedere finalmente felice la moglie accetta una situazione che fino a poco tempo prima avrebbe rifiutato. Siamo tutti a rischio?
«Ci sono anche persone che pur avendo una loro moralità, per ragioni di tranquillità o di paura, può cambiare punto di vista. Ho tante persone che conosco che oggi sento pronunciare parole indicibili, Giovanni Ventimiglia rappresenta loro. Ma va anche detto che è un diritto avere paura soprattutto per chi vive in certe zone».

In effetti, rispetto a più di un personaggio, quasi ci si trova a capirli nel loro lento sprofondare nella ferocia, che diventa abitudine. Perché DF viene lasciata effettivamente sola a gestire un’emergenza.
«È così, perché dentro tanta xenofobia c’è una paura che va non derisa ma compresa. Ma c’è un pezzo di politica che non vuole vederla e ascoltarla e non riesce a immaginare un futuro in sicurezza per tutti. DF è una città a cui è stato concesso di restare così, di cui nessuno si è occupato. La caduta verso gli inferi è una lenta erosione, non è la frase fulminante magari di un politico aggressivo che porta al burrone. È un processo molto più complesso che avviene molto lentamente».

E a che punto del piano inclinato siamo, dopo il Decreto sicurezza, in particolare? E che ruolo ha il mondo culturale?
«Ho scritto un libro feroce, ma sono ottimista. Penso che un pezzo di società civile sia come la moglie dell’ispettore (uno dei pochi personaggi che non si adegua all’orrore, ndr). Credo che proprio su questi temi si stiano compattando gruppi eterogenei che hanno rimescolato le priorità sia dal punto di vista politico che culturale».

Forse più culturale…
«Sì, forse più culturale, è vero. Chi contestava ad altri certe interpretazioni dell’essere di sinistra mi pare che ora, di fronte a questa situazione, stia reagendo in modo diverso dal passato. Vedo in particolare alcuni intellettuali di solito molto silenti dire la propria».

Eppure Salvini continua a dire che sta facendo ciò che gli chiedono gli Italiani e i sondaggi sembrano dargli ragione.
«Credo che dentro al popolo che inneggia a Salvini ci sia un folto gruppo di persone che sperano di uscire dalla disperazione facendo forza sugli ultimi. Ma è un giochetto che non può durare. Sono convinto che i razzisti di natura o i neofascisti siano una minoranza».

E però Salvini assicura sicurezza. Anche nella sinistra c’è chi parla di sicurezza, lei stesso prima diceva che la paura delle persone va capita. Ma dov’è l’equilibrio possibile tra sicurezza e libertà? L’analisi che molti fanno è che i due valori siano in qualche modo connessi e che in certi frangenti le persone possano essere più disposte a rinunciare all’uno che all’altro…
«La risposta sta nella cultura. Studiando ci si accorgerebbe che non ha mai funzionato chiedere di poter erodere i diritti di tutti in cambio di una gratificazione che non è reale e non è necessaria. Gli stessi che propongono questa situazione sono peraltro gli stessi che rifocillano un’emergenza».

Da tempo si occupa di malavita anche in teatro. Uno degli argomenti usati da Salvini per ridurre i contributi per l’accoglienza è stato anche quello di togliere linfa a chi si arricchisce con l’accoglienza.
«È un trucchetto retorico, come se dicesse che per risolvere il problema degli scippi alle vecchiette, eliminiamo le vecchiette. La verità è che la malavita e la criminalità si insinuano in qualsiasi settore dove mancano attenzioni e controlli. Suggererei piuttosto un altro passaggio: la malavita ha bisogno di entrature amministrative, politiche e dirigenziali, alle radici mi piacerebbe sapere se c’è e qual è la responsabilità delle Prefettura. Ma sappiamo bene che Salvini attacca sempre il più debole…».