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È una strage ma la chiamano “lavoro”

121 vittime dall’inizio dell’anno. No, no, non sono mica i numeri di una guerra, sono il numero dei lavoratori morti. Le chiamano morti bianche ma sono rosso sangue e molto spesso sono nere come in contratti che ci stanno dietro. Questi poi sono i numeri ufficiali: se muore un clandestino, che è invisibile, per le statistiche ovviamente non è morto nessuno, basta nasconderlo con un po’ di arguzia.

A proposito sempre di statistiche: gli incidenti sono aumentati del 10%. Un aumento del 10% di costo di vite umane riempirebbe le piazze di cortei di indignazione. E invece niente.

L’anno scorso 641.000 lavoratori hanno subito un incidente sul lavoro. Lo so sono un numero enorme. Per avere un’idea: sono uno ogni quattro. E ovviamente stiamo parlando degli incidenti di cui abbiamo contezza. l’84,6% durante l’attività lavorativa mentre il resto durante il tragitto casa-lavoro, che qui da noi sembra non interessare a nessuno. Anche questo qui da noi sembra non avere valore.

Ci sono poi i tumori causati dal luogo di lavoro: «A causare patologie cancerogene nei lavoratori sono soprattutto le fibre di amianto (oltre il 70% dei casi), in particolare nell’industria metalmeccanica» si legge nei dati forniti dall’Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro che si rifanno agli open data dell’Inail: per quanto riguarda i valori assoluti, specificano come prima sia Taranto, con 164 malattie professionali di tipo tumorale nel solo 2018, seguita da Torino (152), Napoli (106) e Milano (97). «Anche se l’attenzione delle imprese sul tema è cresciuta negli ultimi anni, la sicurezza sul lavoro resta una scommessa da vincere al Sud come al Nord», ha dichiarato il Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca, commentando gli esiti dell’indagine.

Chi muore? Soprattutto over 54 con una percentuale in crescita del 7% per i lavoratori stranieri (quelli che ci rubano il diritto di morire sul lavoro). Nell’ultimo biennio il settore produttivo messo peggio è l’agricoltura (a proposito di caporalato e condizioni indegne di lavoro), poi il settore delle costruzioni, poi il settore minerario e quello dei trasporti.

In tutto questo il governo ha tagliato del 32% l’Inail. Perché fortunatamente per l’esecutivo le morti non fanno notizia, non indignano, non richiamano nessuna élite e così in realtà si consuma una strage ma noi continuiamo a chiamarla lavoro.

Ottimo così.

Buon martedì.

 

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2019/04/30/e-una-strage-ma-la-chiamano-lavoro/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.