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«In un paese disgregato la cultura diventa esigenza». Una mia intervista su Carnaio

fonte Gazzetta di Reggio

“Carnaio” è il suo ultimo romanzo ed è stato proposto al Premio Strega di quest’anno da Concita De Gregorio. Il protagonista è Giovanni Ventimiglia, un pescatore che vive e lavora in un paese chiamato DF. Una mattina di marzo trova un cadavere nelle sue reti: un giovane straniero, che viene da chissà dove. Giorno dopo giorno i macabri ritrovamenti continuano, e sono sempre più strani… Abbiamo chiesto qualcosa di più all’autore, ecco che cosa ci ha anticipato.

Com’è nato questo romanzo? 

«Un giorno un pescatore di Pozzallo mi ha raccontato che, quando capita di trovare un cadavere nelle reti, loro li ributtano in mare per non avere problemi giudiziari. E nel descriverli, per dire che erano malridotti a causa della permanenza in acqua, diceva che erano “lessati”. Ha usato proprio questo termine, un aggettivo culinario. Così ho pensato di scrivere questa distopia, che forse non è tanto una distopia ma proprio ciò che stiamo vivendo».

È un libro che parla di attualità?

«Parla di come sia facile spostare l’etica. Non credo che parli di immigrazione, ma piuttosto di disumanizzazione e di imbruttimento umano, di sentimenti e di dolore… DF è un paese che potrebbe essere tanto del nord quanto del sud, così come i personaggi: sono personaggi universali, proprio perché volevo che fosse di interesse nazionale».

E di politica, ne parla?

«Ormai vediamo la politica dappertutto, e da questo si percepisce anche il livello culturale di un paese: siamo arrivati a parlare più di politica che di calcio, la viviamo quasi come una questione di tifoserie opposte. Se qualcuno ci vuole vedere la politica, è libero di farlo. Ma io ho già altri modi per occuparmi di politica, questo libro è un romanzo. L’ho scritto con l’intento di raccontare, dal punto di vista letterario, la narrazione che ci viene proposta e che ci spinge ad essere cattivi. Bisogna invece adottare uno sguardo molto più ampio, alla ricerca di una fratellanza che non dipenda dall’etnia, dalla lingua o dal colore epidermico».

Qual è il ruolo della letteratura, in questo senso?

Siamo un paese profondamente disgregato e incapace di comprendere la complessità delle cose. L’arte, la cultura e la letteratura diventano un’esigenza non solo sociale ma anche e soprattutto politica. Non credo che gli italiani ce l’abbiano con i migranti, quanto piuttosto con i poveri. C’è una grande paura della povertà e della disperazione, perché tutti, in un modo o nell’altro, siamo stati logorati dalla disperazione».

Che altri progetti ha in cantiere al momento? 

«Sto scrivendo uno spettacolo teatrale, e anche un libro. Quest’ultimo sarà sui dolori minimi: c’è una famosa citazione di un monaco ottocentesco, che dice: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile, sempre”. Ecco, il mio nuovo romanzo sarà proprio su questo».