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«Una scrittura che evoca Saramago, Bolano, McCarthy, raccontando un uomo contemporaneo disumanizzato»: Corriere del Veneto su Carnaio

(di Francesca Visentin, dal Correre del Veneto, fonte)

Se un giorno dal mare invece che migranti iniziassero ad arrivare cadaveri. Solo cadaveri. A decine, a centinaia, a migliaia. Senza sosta. Sospinti dalle onde. Planando sulla costa fino a ricoprire un intero paese del sud. Visione catastrofica, distopica, che diventà realtà nel romanzo di Giulio Cavalli, Carnaio (Fandango, 218 pagine, 17 euro), scelto dalla giuria dei letterati come uno dei cinque libri finalisti al Premio Campiello, il concorso letterario organizzato da Confindustria Veneto. «Quelli», così sono definiti in Carnaio, «uomini di un altro mondo», tutti giovani, tutti neri, iniziano a piovere a ondate nel paese DF, ricoprono le strade, entrano dalle finestre aperte, risalgono i tubi, affiorando smembrati dai gabinetti. La causa è misteriosa. Ma l’emergenza va affrontata. I cittadini s’ingegnano, prima per difendersi, poi per trasformare il dramma in business. Costruiscono una barriera di plexiglas sulla spiaggia per bloccare i cadaveri. Quindi, arriva l’idea che porta profitto: dei corpi non si butta via niente. Vengono lavorati e trasformati in combustibile per una centrale elettrica, in cibo, giocattoli per bambini e pelle da concia, borse, divani, arredamento. Un progetto che fa inorridire il mondo, ma che arricchisce il paesino del sud e porta i cittadini a separarsi dall’Italia, a costituirsi come (ricchissimo) Stato indipendente, a chiudere le frontiere, a tenere lontani i giornalisti, a erigere una campana di vetro per segregarsi dal mondo.

Un crescendo inquietante di barbarie, vissuta dal paese e dal sindaco come innovazione straordinaria. La perdita totale di scrupoli e regole morali, va di pari passo con l’arricchirsi della comunità. Racconto incandescente, che inchioda per il ritmo veloce. Mette in scena pulsioni, imbarbarimento, lascia nel lettore la voglia, pagina dopo pagina, di scoprire fino a dove arriverà l’orrore. Ma contemporaneamente la scelta linguistica e narrativa di Cavalli, che punta sul grottesco e sull’ironia per portare in scena quell’incubo di carne e di soldi, rende il ritmo incalzante. «Non lo considero un romanzo politico – sottolinea Giulio Cavalli, scrittore, giornalista, autore teatrale – , credo sia una narrazione asettica, priva di giudizi. Che mette in evidenza dove può arrivare l’uomo quando abdica a ogni forma di etica e di morale e ogni giorno sposta un po’ più in là l’asticella del lecito. C’è chi l’ha definito una profezia, chi un libro di pura fantasia, la soddisfazione è che è stato apprezzato, anche da chi ha idee politiche diverse dalle mie. Il fatto che sia già alla quinta ristampa mi conferma che ai lettori piace».

Una scrittura che evoca Saramago, Bolano, McCarthy, raccontando un uomo contemporaneo disumanizzato, capace di qualsiasi azione pur di sopravvivere e arricchirsi. Il romanzo è corale, non c’è un protagonista, ma tante voci che parlano. E raccontano quello che accade a DF, ognuno dal suo punto di vista. Il sindaco, i creativi che escogitano sempre nuovi modi per trarre profitto dai cadaveri, lo chef che ne cucina le carni in ricette gourmet irresistibili, i pensatori, gli addetti alle varie mansioni. Anche chi dissente (e muore). Illuminante lo stralcio dell’intervista di uno dei pensatori e sponsor di DF. «Il fatto che noi in così breve tempo siamo diventati tra le città più ricche al mondo e di gran lunga la più ricca delle nazioni europee è la prova provata che le leggi, le vostre leggi, sono un ostacolo alla produttività – dice – . Si certo, l’accostamento della nostra centrale elettrica ai forni crematori è il cavallo di battaglia di chi ci vorrebbe screditare, senza riuscirci. La pornografia è negli occhi di chi guarda».

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