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#Carnaio La mia intervista per Il Giornale di Vicenza

(fonte)

«Questo libro è nato perchè mi impegno in lavori differenti giornalista, artista, autore teatrale e in tutti questi ambiti ho affrontato il tema dell’immigrazione. Ma ad impressionarmi è stato il racconto di un pescatore di Pozzallo durante uno dei miei viaggi lungo il Mediterraneo per narrare di vite spezzate, senza futuro. Di uomini e donne che pativano le pene dell’inferno prima di approdare, se ce la facevano, sulle nostre coste. Mi disse che trovare pezzi cadaveri all’interno delle reti accadeva spesso, ma fu la descrizione ad impressionarmi “erano lessi, dal sale e dal sole”. Il pescatore usò un termine prettamente culinario facendo riferimento ad una vita umana che aveva avuto un inizio ed una fine. Come giornalista è difficile lasciare spazio alle sensazioni. Per cui quel dialogo è stato il germoglio dal quale è nato il romanzo, una consapevole discesa verso gli inferi. Ma non vorrei venisse catalogato come un libro sull’immigrazione piuttosto parla del nostro io, delle nostre coscienze, di come ci si abitua, con estrema facilità, anche ai crimini più ferali». Giulio Cavalli, 42 anni, milanese, con “Carnaio” (Fandango, 218 pagine) è uno dei cinque finalisti del Premio Campiello, da anni vive sotto scorta per le sue prese di posizioni contro la mafia, dopo le rilevazioni di un pentito. Il suo è un romanzo distopico, inquietante, grottesco, attuale e, forse, necessario. Contro le onde che nascono dagli eventi, contro l’indifferenza. Un pugno che arriva diritto allo stomaco, una sorta di iperbole narrativa che guarda alla realtà e, soprattutto, all’attualità: i migranti. L’autore inizia da una cittadina sul mare: DF, dalla vita tranquilla, dove un giorno un anziano pescatore trova nella rete il cadavere di uomo di pelle nera, il fatto non fa molto rumore se non fosse che a quel cadavere ne seguono altri. Molti spiaggiati dietro una duna e, infine, mentre l’allarme si fa generale un’ondata gigantesca ne butta un’infinità per le strade e sopra le case di DF, facendo 14 morti tra gli abitanti. Ad una prima conta risultano 24.712 corpi, ma saranno di più. I cittadini s’ingegnano prima difendendosi, poi per trasformare il dramma in business. Dei corpi non si butta nulla: vengono lavorati e trasformati in combustibile per una centrale elettrica. E ancora in cibo, giocattoli e pelle da concia con la quale costruire divani e progettare borse. La città viene definita con un acronimo DF è il Distrito Federal raccontato da Roberto Bolaño? Sì l’ispirazione è quella, mi interessava non dare ai lettori un nome preciso, volevo che il romanzo fosse disinfettato da tutte le questioni che potevo sollevare. Doveva essere una provincia del Sud, che però ha uno spirito imprenditoriale di una provincia del Settentrione. Ma non possiamo pensare che non ci sia alcun riferimento alla politica del ministro dell’Interno. In realtà il libro è stato scritto molto prima che nascesse il Governo Di Maio-Salvini. Volevo solo uscire da alcune retoriche utilizzando una narrazione che non desse giudizi, ma offrisse altre forme di pensiero per quanto portate all’esasperazione. Nessuna retorica, quindi? Certo che no. Mi interessava mettere in evidenza dove può arrivare l’uomo quando lascia da parte, si dimentica che cosa sia l’etica e sposta l’asticella del sentimento e dell’indignazione sempre più in alto. Non volevo giudicare nessuno mentre accade sempre più spesso, dimenticando che non tutti hanno strumenti culturali e sociologici per potersi opporre a qualcosa o a qualcuno. Gli abitanti di DF stanno imboccando un declino etico impressionante, non solo il cadavere di un immigrato diventa indifferenza, ma anche cibo. Potevo scrivere un libro sulla retorica delle idee, invece ho provato a scrivere un bel romanzo, forse più accessibile. Perchè “Carnaio” come titolo? Siamo abituati ad ascoltare numeri singoli quando si parla di imbarcazioni di migranti che affondano nel Mediterraneo, ma le dimensioni sono completamente diverse. In uno spettacolo teatrale avevo detto che, con tutti i cadaveri si sarebbe potuta costruire una montagna altissima, e solamente con i morti degli ultimi 10 anni. Con questo titolo volevo fosse soffocata la parola emergenza e che si parlasse di una città, così cambiano anche le dimensioni che possiamo avere di quanto accade in quel braccio mare o lungo i confini di terra. Il messaggio che vuole lanciare? Diciamo che persone molto lontane da me politicamente e non solo hanno apprezzato il libro, ed è già una vittoria. Inoltre ritengo di essere riuscito a tenere un argomento, così abusato, nei confini della letteratura. C’è chi vi ha letto profezia, altri fantasia. Siamo alla quinta ristampa e, probabilmente, ai lettori piace. E poi bisogna smettere con la retorica dell’emergenza: l’Europa deve dimostrare una volta per tutte di non essere solamente un’unione finanziaria. Il trattato di Dublino credo debba essere rivisto e riscritto perchè dalla guerra e dalla fame si continuerà sempre a scappare. A DF qualcuno si ribella… Ma tutti alla fine senza scampo. Mancano leader come nel nostro Paese. I politici per guadagnare popolarità diventano solo populisti. •Chiara Roverotto