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L’omicidio Regeni e la fabbrica dei falsi

Ma ci sono novità sulla morte di Giulio Regeni? Sì, ci sono, eccome, e dicono chiaramente che la pressione diplomatica sull’Egitto da parte dello Stato italiano funziona, ha funzionato e non si capisce perché sia stata abbandonata. Il procuratore reggente di Roma Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco che da quattro anni indaga sul caso del giovane ricercatore in Egitto sono stati ascoltati dalla commissione parlamentare d’inchiesta e hanno raccontato come nell’anno e mezzo in cui l’Italia ha ritirato il suo ambasciatore in Egitto, era l’aprile del 2016, l’autorità egiziana ha fornito elementi utili al raggiungimento della verità. Il rapporto di collaborazione si è poi bruscamente interrotto di nuovo nell’agosto del 2017 quando il governo italiano è tornato alle normali relazioni diplomatiche: la procura ora non riesce nemmeno a ottenere i dati dei cinque funzionari degli apparati di sicure per notificare l’indagine a loro carico. Siamo messi così.

Però i fatti sono ostinati e molto (troppo) lentamente stanno venendo a galla: Giulio Regeni è stato torturato a più riprese tra il 25 e il 31gennaio di quattro anni fa ed è morto presumibilmente l’1 febbraio «per la rottura dell’osso del collo». I magistrati italiani sembrano avere le idee chiare: Giulio Regeni sarebbe finito al centro di «una ragnatela in cui gli apparati si sono serviti delle persone più vicine a Giulio al Cairo tra cui il suo coinquilino avvocato, il sindacalista degli ambulanti e Noura Whaby, la sua amica che lo aiutava nelle traduzioni». Non sembrano esserci dubbi sulla responsabilità della National Security egiziana.

Colaiocco e Prestipino hanno messo in fila anche i quattro tentativi di depistaggio che hanno rallentato le indagini: «Sono stati fabbricati dei falsi per depistare le indagini – hanno raccontato alla commissione -. In primis l’autopsia svolta al Cairo che fa ritenere il decesso legato a traumi compatibili con un incidente stradale. Altro depistaggio è stato quello di collegare la morte di Giulio ad un movente sessuale: Regeni viene fatto ritrovare nudo». Nel marzo 2016 poi accade che un ingegnere racconti alla tv egiziana di avere visto Regeni litigare con uno straniero vicino al consolato italiano: il traffico telefonico dello studente indica che il giovane fosse da tutt’altra parte e si scopre che il falso testimone fosse imboccato da un ufficiale della sicurezza nazionale egiziana.

Il quarto depistaggio accertato, dicono i magistrati italiani, «è legato all’uccisione di cinque soggetti appartenenti ad una banda criminale morti nel corso di uno scontro a fuoco. Per gli inquirenti egiziani erano stati loro gli autori dell’omicidio».

Insomma, la morte di Giulio Regeni fa schifo fin dal primo momento e continua a fare schifo di fronte alla reticenza e all’insabbiamento del governo egiziano che continua a godere di una certa morbidezza da parte del governo italiano. Dicono bene i genitori di Giulio: «In questi anni abbiamo dovuto lottare contro violenze, depistaggi, omertà, prese in giro e tradimenti. Siamo grati ai nostri procuratori e alle squadre investigative per il lavoro instancabile svolto in questi quattro anni in sinergia con noi e la nostra legale. Se oggi abbiamo i nomi di alcuni dei responsabili del sequestro, delle torture e dell’uccisione di Giulio e se alcuni di quei nomi sono iscritti nel registro degli indagati, lo dobbiamo a loro».

Con fatica si scava nella verità giudiziaria, chissà quando ci arriverà decisa la politica.

L’articolo di Giulio Cavalli è tratto da Left in edicola dal 24 gennaio

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