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Sardine, Benetton, Mapuche

Dicono le sardine che si scusano con i famigliari delle vittime di Genova se si sono sentiti toccati dalla loro foto con i Benetton. Quell’improvvida foto è stata subito associata alle tensioni tra governo e la società che gestisce le autostrade italiane (di cui i Benetton fanno parte) che proprio in queste settimane entra nel confronto più aspro.

Ma sui Benetton forse sarebbe il caso di accendere la luce sulla questione Mapuche e su ciò che avviene in Patagonia. Su Left ne abbiamo parlato molte volte, dedicando al tema reportage e approfondimenti. Per riassumere brevemente la vicenda, potremmo citare ciò che ha scritto Massimo Venturi Ferriolo, filosofo, professore ordinario di Estetica al Politecnico di Milano, che era membro della Fondazione Benetton studi ricerche e che proprio per lo scontro con i Mapuche decise di rassegnare le dimissioni.

Racconta Venturi Ferriolo di essere venuto a conoscenza di questi fatti dai suoi colleghi argentini dell’Universidad de Buenos Aires: «L’azienda Benetton acquisisce nel 1991 la compagnia Tierras De Sur Argentino, divenendo proprietaria di 924.000 ettari di terra. La maggior parte di queste costituiscono il territorio ancestrale degli indigeni Mapuche argentini, che vengono sfollati dai luoghi dove hanno da sempre vissuto, anche se alcuni saranno impiegati come lavoratori dall’azienda. I Mapuche, il cui nome indica uomo della terra, rivendicano il loro antico possesso ancestrale e la reclamano nonostante la repressione e l’accusa di terrorismo. Nella repressione di una pacifica manifestazione contro la Benetton e la detenzione di un loro leader, Francisco Facundo Jones Huala, il 1 agosto 2017 è scomparso Santiago Maldonado, difensore dei diritti dei Mapuche. Su questi fatti c’è una ricca documentazione raccolta da Tristan Bauer nel suo film documentario El camino de Santiago (2018)».

Alla vicenda di Santiago Maldonado Left dedicò una storia di copertina. Il suo corpo è stato poi ritrovato a fine ottobre 2017 in un fiume a 70 metri, meno di un isolato, dal luogo in cui i gendarmi avevano attaccato i Mapuche il primo di agosto, come ha scritto Marcelo Figueras sulle nostre pagine. Sul caso non si è mai arrivati ad una verità giudiziaria, e lo scorso settembre si è riaperto il processo.

Ma non è tutto, scrive ancora Venturi Ferriolo «Nelle terre di Benetton vengono allevati 260 mila capi di bestiame, tra pecore e montoni, che producono circa 1 milione 300 mila chili di lana all’anno i quali sono interamente esportati in Europa. Nello stesso terreno sono allevati 16 mila bovini destinati al macello. Inoltre, dalle notizie ricavate da documenti pubblici reperibili in internet, nel 1996 inizia lo sfruttamento di giacimenti di oro e di argento attraverso la Compañia Mineras Sur Argentino S.A.»

E ancora: «La Benetton investe 80 milioni di dollari in diverse attività, tra cui l’installazione di commissariati per il controllo della zona, la realizzazione di una stazione turistica e l’apertura del Museo Leleque. Per la creazione di quest’ultimo un’intera famiglia Mapuche è stata sfrattata, nonostante l’azienda abbia destinato il museo al racconto e alla conservazione della memoria della Patagonia e degli abitanti originari Mapuche. Questo museo è stato curato dal contestato antropologo Rodolfo Casamiquela, tacciato di razzismo, e considerato offensivo dalle comunità mapuche in quanto nega la loro preesistenza e le oppressioni subite dal colonialismo europeo.»

Fino ad uno degli episodi di maggior conflitto con le popolazioni indigene, raccontato sempre da Venturi Ferriolo: «La contesa Benetton-Mapuche ha avuto il momento più drammatico, direi anche terribile, con la violenta cacciata da parte della Gendarmeria della famiglia mapuche Curiñanco dall’Estancia Santa Rosa, dove si erano stabiliti nel 2002 avvisando il commissariato locale e avvalendosi del diritto ancestrale. Qui iniziano ad allevare bestiame, creano un sistema di irrigazione e risistemano lo steccato. Risultato: dopo la causa perduta in tribunale nonostante le leggi che avrebbero potuto tutelarli, il 2 ottobre del 2003 i coniugi con i figli vengono sgomberati dagli agenti della gendarmeria, intervenuti a seguito di una denuncia da parte di Benetton. I campi e la casa distrutti, gli animali uccisi e le persone trascinate per i capelli. Questo fatto è l’inizio di una causa impopolare che ha contrapposto i Mapuche a Benetton».

C’è anche una lettera aperta di Adolfo Pérez Esquivel, al signor Benetton del 14 luglio 2004, dove il premio Nobel per la Pace chiede la restituzione dei 385 ettari di Santa Rosa ai legittimi proprietari, «un gesto di grandezza morale». Esquivel chiede soprattutto a Luciano Benetton di andare in Patagonia perché «incontri i fratelli Mapuche e che divida con loro il silenzio, gli sguardi e le stelle».

E poi, rivolgendosi alla proprietà, Esquivel – come ha ricordato Checchino Antonini su Left – proseguiva: «Lei si sta comportando come i signori feudali che alzavano muri di oppressione e di potere nei loro latifondi (…). Deve sapere che quando si toglie la terra ai nativi li si condanna a morte, li si riduce alla miseria e all’oblio. Ma deve anche sapere che ci sono sempre dei ribelli che non zoppicano di fronte alle avversità e lottano per i loro diritti e la loro dignità come persone e come popolo». Alla missiva i Benetton risposero: «Abbiamo semplicemente seguito le regole economiche in cui crediamo: fare impresa. Innovare, operare per lo sviluppo, continuare a investire per il futuro».

Ecco, forse le sardine potrebbero prendere spunto dal loro errore per raccontare una storia che sembra così difficile da raccontare. No?

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.