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Belli, ciao

Così come ogni anno si addensano gli avvoltoi sul 25 aprile. Quest’anno riescono addirittura a fare peggio e impugnano i morti del presente per provare a riscrivere la storia passata. È così tutti gli anni, tutte le volte e i protagonisti sono sempre gli stessi: quelli che vorrebbero convincerci che la nascita della nostra democrazia e della nostra Costituzione sia qualcosa di vecchiopassato di moda, qualcosa di secondario rispetto alle urgenze del presente e ogni volta il presente viene usato come clava.

Così anche questo 25 aprile ci dobbiamo sorbire la nipote di Mussolini che viene a darci lezioni di libertà, fingendo di dimenticare che proprio grazie alla Liberazione ha lo spazio e il modo per esprimere la propria opinione e per presiedere un ruolo politico: ai tempi di suo nonno la mancanza di libertà sanguinava addosso e non era un tema di dibattito di certe trasmissioni del pomeriggio.

Anche questo 25 aprile ci dobbiamo sorbire l’ex ministro dell’inferno che ci invita a lavorare piuttosto che cantare Bella Ciao. Bella forza Salvini in quarantena: un uomo che non ha mai lavorato in vita sua (lo sancisce una sentenza, eh) che si finge operoso pur di sputare sul 25 aprile. Un guitto che solletica gli sfinteri dei fascisti per ottenere uno spicchio di luce e che affonda nelle sue contraddizioni. Chissà se qualcuno gli ha fatto notare che i suoi sondaggi sono in picchiata e che rimbalza ormai come un disco rotto.

Eppure quest’anno resistere assume un significato più profondo: resistere significa avere la schiena dritta per mettere insieme la libertà alla responsabilità, per ringraziare la Costituzione che nelle emergenze disegna la strada su cui muoversi e resistere significa sentire la responsabilità di essere una comunità. È una Festa della Liberazione che va vissuta con la mano ferma senza farsi svirgolare dalla condizione del presente. I padri costituenti ci avevan raccomandato di essere vigili e ora ci tocca essere vigili per salvarci.

Diceva Calamandrei: «la Liberazione fu veramente come la crisi acuta di un morbo che finalmente si spezzava dentro il nostro petto, come lo strappo risoluto con cui il popolo italiano riuscì con le sue stesse mani a svellere dal suo cuore un groviglio di serpi che per venti anni lo aveva soffocato».

Io lo trovo modernissimo, questo 25 aprile.

Non volete festeggiarla? Belli, ciao.

Buon venerdì.

 

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

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