Nella città di DF un giovane uomo, Fausto Albini, mentre passeggia sulla spiaggia, senza una apparente ragione, è colto da un turbamento violento e sviene. Immediatamente soccorso viene ricoverato in ospedale nel reparto Disturbi affettivi dove medici solleciti vogliono indagare quel che gli è successo. È una reazione, infatti, incomprensibile perché a DF, come nel resto dello Stato, vige da decenni un governo che attua un programma rigido e severo: quello della Rotondità sentimentale ossia l’assenza totale di emozioni.
Sono banditi sensazioni, sentimenti, desideri. Tutto è pianificato perché né risa né pianto, né moti del cuore né affetti possano turbare lo scorrere di una vita che è pianificata secondo rigide regole: da quelle alimentari a quelle coniugali. C’è una rotazione settimanale per i cibi, pluriennale per le coppie che generano figli, poi vengono separatamente riassegnati ad altri partner così come i bambini, a rotazione, presso coppie di genitori temporanei.
A DF le case sono tutte uguali, arredate allo stesso modo, ogni libro è bandito, come pure i colori. È permesso solo il grigio. Per attuare il fine ultimo della Rotondità sentimentale ai neonati subito dopo la nascita viene somministrato un mix di vaccini che permette di crescere per il resto della vita in assenza totale di emozioni: né dolore, né gioia, né odio, né amore. Se ogni empatia sarà impedita i cittadini saranno tutti «docili alle imposizioni e facili da regolamentare come un gregge mansueto». In questo mondo impenetrabile ad ogni forma di reazione emotiva tuttavia qualcosa non va secondo il verso giusto. Qualcuno non regge, prova sofferenza perché percepisce la condizione in cui si trova. E si suicida. Qualcuno prova a reagire, a godere del colore rosso, a gustare il sapore del vino e del cioccolato, a leggere un libro. Naturalmente tutto questo alimenta un piccolo e fiorente mercato nero. E clandestinamente alcuni si organizzano in una resistenza e vanno a formare le Brigate sentimentali. Anche Albini sottoposto alle cure in ospedale, non reagisce ai tentativi di riallinearlo all’ottundimento emotivo, anzi si innamora della dottoressa che dovrebbe curarlo, Anna Cordio. Sarà proprio lei a recitargli la massima del Vangelo apocrifo di Tommaso: «Se fai accadere ciò che è dentro di te, questo ti salverà. Non fai accadere ciò che è in te, questo ti ucciderà». È un romanzo distopico Nuovissimo testamento (Roma, Fandango 2021, pagine 290, euro 19) di Giulio Cavalli, per molti versi ansiogeno proprio perché, nel potere che governa DF intravvediamo, sia pure deformati e paradossali, alcuni aspetti, striscianti che appaiono nel mondo presente, quello che abitiamo tutti.
Quanto siamo empaticamente vicini al prossimo? Quanto emotivamente partecipi della vita della famiglia, della comunità? L’abbondanza di informazioni da ogni angolo del mondo non rischia di generare indifferenza? Quante volte capita di non voler più sapere, vedere l’inferno di dolore e violenza che c’è nel mondo. Per eccesso o assenza di empatia. Se in parte è così allora, ci dice Nuovissimo Testamento, si possono trovare degli antidoti, così come faranno alcuni temerari in DF. L’antidoto però non garantisce la bontà delle emozioni. Queste possono essere anche di odio, di violenza, di rabbia. Sta al singolo viverle in direzione positiva, generosa, vitale.
In un bellissimo dialogo tra Marco Polo e Kublai Kan ne Le città invisibili di Calvino, stanco e rassegnato Kublai dice: «Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale». E Marco: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, quello è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
di Giulia Alberico