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I pentiti al cubo

Dopo l’assoluzione in appello dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti e le scuse di Di Maio per aver alimentato la gogna mediatica, rimane il dubbio che tutto questo clamore sia semplicemente opportunismo politico

Si è alzato improvvisamente un rinnovato soffio di garantismo dopo l’assoluzione in appello dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti che l’ha completamente scagionato da tutte le accuse («il fatto non sussiste», ha sentenziato il giudice) e dopo l’uscita di Luigi Di Maio in cui ha riconosciuto che lui e il M5s alimentarono «la gogna mediatica» per motivi elettorali, con modalità che furono «grottesche e disdicevoli». Però il caso in questione apre delle riflessioni che vale la pena fare, al di là del caso specifico.

Innanzitutto risulta piuttosto pelosa questa accusa verso i 5 Stelle di essere stati gli unici a cavalcare quest’onda: sul tintinnare di manette si sono cotti la propria credibilità fior di giornalisti (oltre che di politici di tutti gli schieramenti), di giustizialismo erano le radici dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro (e lo stesso Di Pietro), di giustizialismo sono spesso farciti i messaggi di praticamente tutti i partiti. Nel caso in esame, ad esempio, Matteo Salvini mimò il gesto delle manette mentre a Lodi faceva campagna elettorale per la sua candidata (che è diventata sindaca), il sito di riferimento della Lega in quel periodo (ilnord.it, altri tempi) iniziava un editoriale con la frase: «La scoperta del bubbone corruzione impersonificato dal sindaco di Lodi…» (da notare che in quel processo non è nemmeno stata contestata la corruzione). «Non passa giorno per il Pd senza che arrivi un’indagine o un arresto per un suo importante esponente» dice Paolo Grimoldi, segretario della Lega Lombarda e deputato della Lega Nord. Eppure chissà perché la Lega e Salvini sembrano “salvi” da questa ondata di indignazione (da cui tra l’altro hanno guadagnato la sindaca in città). Curioso, no? Niente strali contro la Lega?

Anche Giorgia Meloni usò Uggetti per picconare Renzi: «Siamo in piena campagna elettorale, è appena stato arrestato un sindaco del Pd (il riferimento è a Simone Uggetti) e Renzi prontamente si collega a Facebook per annunciare che vuole abolire il bollo auto e tagliare l’Irpef. Il mago della distrazione di massa», disse baldanzosa mentre era candidata sindaca al comune di Roma. Perché nessuno gliene chiede conto? Mistero.

Poi ci sono gli “amici”. Nel Pd e in Italia Viva ora si levano voci accorate ma le cose andarono un po’ diversamente: Matteo Renzi scaricò Uggetti in un nanosecondo («Renzi purtroppo tra i suoi tanti difetti ha anche quello della voracità. Per cinico calcolo politico decise di non difendermi perché da lì a poco ci sarebbero state le elezioni di Roma e Torino e quindi venni liquidato», dice Uggetti in un’intervista in questi giorni) e il padre politico di Uggetti ed ex sindaco di Lodi Lorenzo Guerini fu piuttosto “tiepido”, per usare un eufemismo.

Infine ci sono i giornali. Il Fatto Quotidiano in queste ore sta dando il meglio di sé: ieri Travaglio se la prende con Di Maio per avere chiesto scusa perché Uggetti secondo lui avrebbe «confessato» (stessa tesi proposta l’altro ieri sempre sul Fatto da Gianni Barbacetto): falso, completamente. Se avessero avuto voglia di leggere le carte del processo (non solo quelle dell’accusa) dovrebbero sapere che non esiste da nessuna parte nessun riferimento a nessuna confessione. E questa è solo la più clamorosa delle bugie riportate. Insomma, da certe parti il garantismo è qualcosa di molto lontano perfino a processo concluso.

No, non siamo di fronte a una “stagione nuova”, almeno per ora. Ieri la grillina Barbara Lezzi ha detto che quello di Di Maio «è un messaggio intempestivo, si rischia di dare il segnale di un abbassamento della guardia. Se lui è pentito, io non lo sono» aggiungendo di non avere niente «da chiedere scusa» perché secondo lei «i fatti ci raccontano che ci fu pure una confessione da parte sua: dichiarò di non essere stato proprio lineare in quella operazione». I fatti che non esistono, ancora, ma che Lezzi probabilmente ha letto da Travaglio. Siamo sempre lì.

C’è infine un particolare che nota molto intelligentemente Luca Sofri: «Il paradosso della lettera di Di Maio è che se Uggetti fosse stato condannato non l’avrebbe scritta: e forse non avrebbe concluso di avere sbagliato, lui e il suo partito (e quello di Salvini). Implicando così che il giudizio di oggi sulle “insinuazioni” e sulle “modalità grottesche e disdicevoli” di quella “battaglia”, se la prossima volta lo si vuole usare con maggiore e saggia prudenza prima di sbagliare, debba prevedere con certezza quale sarà la sentenza». Siamo ben lontani dal “Nessuno tocchi Caino”.

Allora rimane il dubbio che tutto questo clamore sia semplicemente opportunismo politico. E alla fine si pentiranno di essersi pentiti, quando tornerà utile. Pentiti al cubo.

Buon lunedì.

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