Il nuovo genere letterario sono i razzisti che, vergognandosi di dichiararsi razzisti, hanno inventato una goffa forma di anti-anti-razzismo frignando di essere oppressi (loro) da una presunta cancel culture che li strozzerebbe nelle loro pulsioni.
Ieri, dopo le critiche ricevute per non avere aderito nelle precedenti partite di Euro 2020, cinque calciatori della nazionale italiana di calcio si sono inginocchiati contro il razzismo all’inizio della partita contro il Galles. Poiché gli avversari erano tutti compatti nell’aderire al gesto simbolico si potrebbe dire che nell’immagine che ha fatto il giro del mondo risaltano quei giocatori italiani che invece hanno deciso di starsene lì in piedi, come se passassero di lì per caso, come se il tema del razzismo non li interessasse, loro troppo concentrati a drammi ben peggiori come il non scivolare sui tacchetti.
I calciatori della Nazionale sono liberi di aderire o meno? Certo, assolutamente. Ma sia chiaro: i calciatori della Nazionale sono dei personaggi pubblici che vengono profumatamente pagati per la risonanza delle loro azioni (e delle loro inazioni) e si sottopongono inevitabilmente al giudizio del pubblico. Questo per quello che riguarda il campo.
Fuori dal campo invece oggi abbaia la schiera di quelli che ritengono qualsiasi gesto simbolico in difesa dei diritti un tema “divisivo”. Non hanno tutti i torti, in fondo, se perfino una partita di calcio riesce a pungere i loro istinti tanto da disturbarli profondamente.
Sono quelli che ci tengono a precisare di non essere razzisti ma ci aggiungono sempre un ma, quelli che sottolineano come il razzismo non si combatta con gesti simbolici (chissà che ne penserebbero Peter Norman e Jesse Owens), quelli che non si inginocchiano per “stare in piedi a testa alta con onore” (lo sentite l’odore, la reminiscenza?), quelli che definiscono pagliacciata qualsiasi presa di posizione.
Ci dicono che il razzismo vada sconfitto con i fatti. E allora sarebbe da chiedergli, cari anti-antirazzisti, cosa facciano nella loro vita di così concreto e di così poco pagliaccesco loro per combattere il razzismo. Sarebbe da chiedergli cosa ci sia di così terribilmente divisivo in un gesto del genere.
Ma andrebbero in tilt. Guardano le ginocchia degli altri perché sono troppo codardi per parlarci nel merito. Chiamano “politicamente corretto” il disgusto che proverebbero gli altri se solo avessero il coraggio di confessarsi razzisti. Del resto non tutti i vigliacchi sono razzisti ma tutti i razzisti sono vigliacchi. E proni.