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Concorso esterno in tortura

Torture pluriaggravate ai danni di detenuti, lesioni personali, depistaggio: sono 52 le misure di custodia cautelare per poliziotti e impiegati del carcere di Santa Maria Capua Vetere. E Salvini annuncia subito che andrà a portare loro la solidarietà della Lega

Ieri il gip di Santa Maria Capua Vetere su richiesta della Procura locale ha firmato l’esecuzione di 52 misure di custodia cautelare nei confronti di poliziotti e impiegati del Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria della Campania. Le accuse sono: torture pluriaggravate ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico aggravato, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio. “Un’orribile mattanza”, si legge nell’ordinanza, riferendosi alle violenze che scoppiarono in occasione della rivolta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nell’aprile 2020, quando 150 detenuti circa misero in atto una rivolta dopo avere saputo di un contagio Covid nella struttura.

Dopo la protesta il 6 aprile ci fu una perquisizione straordinaria nei confronti di quasi tutti i carcerati del reparto Nilo. Secondo i magistrati si trattò di violente rappresaglie, a cui avevano partecipato 283 unità, sia interne all’organico del carcere sia provenienti dal Gruppo di supporto agli interventi. Secondo la procuratrice Maria Antonietta Troncone le immagini di videosorveglianza dimostrerebbero “l’arbitrarietà delle perquisizioni, disposte oralmente”, e fanno emergere “il reale scopo dimostrativo, preventivo e satisfattivo, finalizzato a recuperare il controllo del carcere e appagare presunte aspettative del personale della Polizia Penitenziaria, essendosi conseguentemente utilizzato un atto di perquisizione”. Le immagini, prosegue il procuratore, “rendevano una realtà caratterizzata dalla consumazione massificata di condotte violente, degradanti e inumane, contrarie alla dignità ed al pudore delle persone recluse”. Alcuni detenuti erano stati lasciati senza biancheria e nonostante avessero i segni delle violenze non sarebbero mai riusciti ad accedere alle cure mediche.

Dai video acquisiti, scrive la procuratrice, “era possibile accertare, in modo inconfutabile, la dinamica violenta, degradante e inumana che aveva caratterizzato l’azione del personale impiegato nelle attività, persone difficilmente riconoscibili perché munite di DPI ed anche, quanto a numerosissimi agenti, di caschi antisommossa, unitamente a manganelli in dotazione, illegalmente portati con sé, ed anche di un bastone”. I detenuti del reparto Nilo, ricostruiscono i magistrati, erano stati costretti a camminare attraverso un “corridoio umano” formato dai poliziotti e percossi al passaggio con “un numero impressionante di calci, pugni, schiaffi alla nuca e violenti colpi di manganello, che le vittime non riuscivano in alcun modo ad evitare”. Si tratterebbe di “uno dei più drammatici episodi di violenza di massa perpetrato ai danni dei detenuti in uno dei più importanti istituti penitenziari della Campania”, “un vero e proprio uso diffuso della violenza, intesa da molti ufficiali ed agenti della Penitenziaria come l’unico espediente efficace per ottenere la completa obbedienza dei detenuti” e “una orribile mattanza”.

I messaggi tra gli agenti di Polizia penitenziaria sono terribili: “Allora domani chiave e piccone in mano”, “li abbattiamo come vitelli”, “non sempre il mefisto serve ai banditi per fortuna”, “spero che pigliano tante di quelle mazzate che domani li devo trovare tutti malati”, “si deve chiudere il reparto Nilo per sempre, il tempo delle buone azioni è finito”, scrivono prima delle perquisizioni. Subito dopo gli eventi, altri messaggi che li commentano: “Il sistema Poggioreale”, “quattro ore di inferno per loro”, “qualche ammaccato tra i detenuti… cose normali”; “Abbiamo ristabilito un po’ l’ordine”, “ho visto cose che in sei anni non immaginavo nemmeno”, “c’è stato un carcerato che ha dato addosso a un collega e lo hanno portato giù alle celle e come di rito ha avuto pure la parte sua”, “Dalle 16 alle 18 abbiamo fatto tabula rasa” e “Oggi si sono divertiti al Nilo”. Dopo l’acquisizione dei video, invece, il tenore cambia. C’è la paura di venire identificati, di pagare le conseguenze. Quindi i messaggi sono del tutto diversi: “Temo che da domani sarà una carneficina”, “Ci andranno pesante”, “mò succede il terremoto”, “pagheremo tutti, 300 agenti e una decina di funzionari”, “decapiteranno mezza regione”, “è stata gestita male e sta finendo peggio” e “finirà come la cella zero”.

Gli agenti e diversi ufficiali sono accusati di avere prodotto delle false fotografie, scattate ad armi e oggetti atti a offendere sequestrati in altre circostanze, spacciandole per materiale trovato durante e subito dopo la protesta. Tra questi, gli scatti che ritraevano dei pentolini sui fornelli, che nei racconti sarebbero diventati quelli utilizzati per riscaldare olio e acqua da gettare sui poliziotti. Ora un processo accerterà i fatti e le responsabilità.

Appena uscita la notizia Matteo Salvini ha dichiarato: “Giovedì sarò a Santa Maria Capua Vetere per portare la solidarietà, mia e di milioni di italiani, a donne e uomini della Polizia Penitenziaria che lavorano in condizioni difficili e troppo spesso inaccettabili”, ha spiegato Matteo Salvini, “La Lega sarà sempre dalla parte delle Forze dell’Ordine”. Si tratta di un’affermazione gravissima perché ancora una volta la provocazione di Salvini è quella di stare “con i poliziotti” non per un giusto garantismo ma proprio perché colpevoli: quell’esprimere solidarietà è un modo per niente sottile di dichiarare di voler essere dalla parte dei violenti e dei colpevoli in appoggio a un autoritarismo che non ha niente a che vedere con la democrazia. In calo di consensi Salvini si spinge fino ai limiti della democrazia per dirci che, come avviene per gli stranieri, i detenuti sono i “deboli” che è giusto trattare come scarti della società, “altro” da noi. Ovviamente solo se i “detenuti” sono dei poveri disperati: chissà cosa direbbe Salvini se a essere lasciato in carcere senza diritti fosse stato il suo quasi suocero Denis Verdini. Del resto è lo stesso Salvini che ancora fatica a riconoscere le violenze dei carabinieri (già condannati) su Stefano Cucchi. E una frase del genere dovrebbe fare incazzare proprio i poliziotti onesti (che sono la stragrande maggioranza) che vedono un leader politico sporcare la loro credibilità.

Se esistesse il reato di concorso esterno in tortura Matteo Salvini sarebbe il primo indiziato d’Italia. Ancora una volta l’ex ministro dell’Interno si mostra fiero dalla parte sbagliata per un pugno di voti. E chissà se avremo ancora la voglia di dircelo quanto sia grave una roba così.

Buon martedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.