Vai al contenuto

La lotta di classe esiste (ma non si può dire)

Come si delegittima una battaglia? Svilendone i termini, convincendoci che siano vuoti, desueti o addirittura pericolosi. Poi, si impone una feroce forma di perbenismo che tocca tutto ciò che non rientra nel pensiero che si vorrebbe diffondere. Le opinioni contrarie non vengono discusse, smontate con tesi o incalzate con ipotesi, ma semplicemente additate come allarmi. Non è una caso che in mancanza di qualsiasi forma brigatismo un certo mondo imprenditoriale (quello che riesce a fare quadrare i conti solo fottendosene dei diritti) si sia inventato ultimamente una sorta brigatismo lessicale. Così accade che usare certi vocaboli, seppur inseriti dentro un pensiero lineare, basti per essere considerati estremisti, sovversivi, non degni di essere nemmeno letti, perfino trascrivibili sull’elenco delle persone da tenere d’occhio.

Gli incidenti che, invece, sono degli omicidi colposi, ad esempio: 538 morti sul lavoro nel 2021 secondo i dati Inail del primo semestre e con un incremento tra i giovani con età compresa tra i 20 e i 29 anni. Si è parlato (troppo poco, a dire il vero) di Laila El Armi che a 41 anni è morta la mattina del 3 agosto, uccisa da una fustellatrice nell’azienda in cui lavorava, in provincia di Modena. Laila lascia una figlia di 4 anni e ci collega subito alla 22enne Luana D’Orazio travolta da un macchinario in un’azienda di Prato esattamente 3 mesi prima, il 3 maggio. Le regole del lutto sono ferocissime: se ci sono delle assonanze tra morti si amplificano a vicenda, sotterrando per la seconda volta quegli altri intorno. I 538 morti in 6 mesi, però, sono una consuetudine quasi scientifica: chiamarli incidenti è un insulto. Provate a farvi perdonare da una persona qualsiasi 538 errori in 6 mesi e poi diteci. Se li chiami per nome, che ne so, concorso esterno in omicidi colposi o cannibalismo capitalistico sei un brigatista lessicale. Affondato.

Il reddito è una parolaccia che non si chiede ma si riceve

Altro termine che rende l’idea è il reddito. Il reddito che ti devi meritare, il reddito di cui devi essere grato come se non fosse più l’equo compenso di una mansione professionale svolta, ma un privilegio che i superiori possono toglierti da un momento all’altro se non esprimi riconoscenza. Si continua a parlare di lavoro, di incentivi alle imprese ma il reddito è diventata una parolaccia oscena come se fosse un atto sessuale durante la messa. Anzi certi imprenditori sono tutti d’accordo che il reddito non si chiede, non se ne può discutere e ancor meno si può pretendere: si riceve, questo è tutto. I soldi sono volgari quando stanno in mano ai lavoratori e diventano il termometro del successo quando stanno addosso agli imprenditori. Lo fai notare? È un pericoloso ritorno alla lotta di classe, dicono, che richiama tempi bui. Affondato.

Svilire certi termini come reddito e stabilità è diventato il modo migliore per delegittimare alcune battaglie sociali
Un operaio al lavoro (Getty)

La stabilità è hybris che rende pessimi dipendenti e cittadini

Così, la stabilità l’è morta. Lavoratore non permetterti mai il lusso di aspirare a una vita degna di un programma più lungo dei prossimi tre mesi, del contratto che potrebbero non rinnovare. La stabilità è hybris, una tracotanza che fa di voi dei pessimi dipendenti e dei pessimi cittadini. La chiamano precarietà del lavoro, perché se si dovesse chiamare con il suo vero nome, precarietà della vita, dovresti subire le vertigini che dà il non poter promettere qualcosa di più lungo di qualche mese alle persone che ami. La stabilità è un concetto che identifica i fannulloni. Affondato.

Immaginate in tutto questo fango come potrebbero reagire quelli se sentissero parlare di una lotta di classe. Se ti permetti di fare notare che il conflitto tra le diverse classi di appartenenza è qualcosa che si è evoluto nel tempo, ma che è ben lontano dal potersi dichiarare estinto. In questo caso puoi stare sicuro di finire in qualche verbale della Digos come se avessi promesso un omicidio. Mischiare periodi politici e storici tra di loro è il trucco per fare apparire il tutto come nostalgia criminale. In questo modo l’argomento si spegne, qualcuno come sempre prova a spiegarci che tutti appartengono alla stessa classe che ha il logo della loro azienda (come se la libertà di alcuni di licenziare altri non sia già di per sé una caratterizzazione sostanziale) e si ricomincia con la tiritera dell’unica grande famiglia. Ti sei permesso di negare che il mondo del lavoro sia un’unica grande famiglia umana? Affondato.

Hanno travestito il familismo con il merito

Il familismo? Uguale. Se parli di familismo sei solo un fallito che avrebbe voluto essere un vincente. Lo chiamano odio. E così hanno travestito il familismo con la parola merito (mai così vuota come in questi tempi) e il discorso è chiuso, affondato. Poi magari accade che un politico che ha avuto un ruolo di primissimo piano sciorini una lezione sull’imparare a soffrire e in questo caso nessuno nota la violenza. Ma è normale, il campo è già vuoto, l’egemonia culturale costa e bisogna avere i soldi per poterla attuare.

L’articolo La lotta di classe esiste (ma non si può dire) proviene da Tag43.it.