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Oggi piangete per l’Afghanistan ma chi fugge da Kabul non è così diverso da chi volete rimandare a casa

Saranno stati quegli uomini caduti come uccelli senza ali dalla carlinga di un aereo militare degli Stati Uniti in decollo, sarà stata la foto della pancia di quello stesso velivolo in cui si sono strette 640 persone disperate e in fuga come animali sull’Arca o sarà che la paura gocciola dalle voci e dalle immagini ma la caduta dell’Afghanistan in mano ai talebani ha riportato la guerra sugli schermi con una potenza impressionante, riattivando (per fortuna) uno scricchiolante senso di compassione collettivo.

Troppo vero quello scappare disperato per non smuovere un senso di cura che difficilmente avviene per le guerre degli altri, isolati come siamo in un sovranismo delle responsabilità che ci invita quotidianamente ad occuparci dei ristretti cortili personali e delle cose nostre. Così per naturale empatia (sempre dileggiata in questi anni) sono ore in cui è terribilmente trendy affannarsi per mostrarsi preoccupati.

Il rischio però è sempre lo stesso: che la sofferenza diventi combustibile per la narrazione finché tira e che la complessità del mondo rimanga schiacciata in una vicenda totalizzante nei media. Le telecamere sono puntate sui fuggitivi afghani eppure nel Mediterraneo due navi bollono in mezzo al mare con disperati ripescati tra le onde in attesa di un porto assegnato dal governo italiano; in Libia, nel Sahel, nel Tigray etiope la gente fugge per non finire ammazzata; c’è la guerra de Kashmir, il conflitto interno in Birmania, la storica guerra nella Striscia di Gaza, si spara in Siria, si muore in Somalia e in Donbass, in Yemen, nelle Filippine. Il mondo è peggiore di come lo immaginiamo.

L’ultimo rapporto dell’Agenzia ONU per i Rifugiati parla chiaro: «Nonostante la pandemia, nel 2020 il numero di persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni dei diritti umani è salito a quasi 82,4 milioni». Si tratta di un aumento del 4 per cento rispetto alla cifra record di 79,5 milioni di persone in fuga toccata alla fine del 2019. Oggi, l1 per cento della popolazione mondiale è in fuga e ci sono il doppio delle persone costrette ad abbandonare le proprie case rispetto al 2011, quando il totale era poco meno di 40 milioni.

E i dolori nonostante parlino lingue diverse e provengano da diverse latitudini sono gli stessi. Sono uguali le cicatrici, sono ugualmente cupe le paure: le persone che fuggono suonano tutte la stessa nota lacerante. E sono quelli a cui noi chiudiamo in faccia le porte, sono quelli che in Europa finiscono nelle discariche umane a cui abbiamo appaltato i confini (come la Turchia e come la Libia). Sono quelli a cui non facciamo caso o che addirittura sentiamo come respingenti. Lo sappiamo vero? Perché prima o poi la narrazione cesserà ma le guerre no.

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