La situazione all’aeroporto di Kabul continua ad essere drammatica, i talebani stanno smettendo di recitare la parte degli illuminati e il G7 sull’Afghanistan non ha risolto praticamente nulla
È iniziata male ma finirà addirittura peggio. E non solo perché la situazione all’aeroporto di Kabul continua a essere drammatica come può essere drammatica una fiumana di disperati disposti a morire pur di infilarsi in un buco che basterà per pochissimi di loro ma soprattutto perché i talebani stanno lentamente smettendo di recitare la parte degli illuminati e tornano veloci alla propria natura forti della posizione conquistata nel Paese.
«Il 31 agosto ci aspettiamo che tutti i soldati stranieri se ne vadano. Altrimenti sarà considerata un’estensione dell’occupazione», ripetono e gli Usa sembrano non avere intenzione di cimentarsi in nessun braccio di ferro. Persino la resistenza organizzata dal figlio del comandante Massud nella valle del Panjshir non sembra impensierire gli studenti coranici, sempre più convinti che il gioco degli oppositori sia semplicemente una mossa mediatica per ottenere più soldi dai loro possibili finanziatori stranieri e un maggiore peso nella composizione del nuovo governo.
Il G7 di ieri non ha risolto praticamente nulla. Le pressioni di Boris Johnson e di Angela Merkel per ottenere una proroga della permanenza in Afghanistan e salvare più persone possibili hanno trovato il muro degli Usa che hanno anzi chiarito di dover smettere con le evacuazioni alcuni giorni prima per avere il tempo di smontare le basi logistiche e preparare armi e bagagli. E senza gli americani la permanenza dei Paesi europei in Afghanistan diventa praticamente impossibile. Ora la posizione di dialogo con il nemico (che da noi era stata infelicemente strumentalizzata per le tristi liti da cortile dei nostri provincialissimi capi di partito) comincia a farsi strada e perfino Draghi ribadisce la necessità di «mantenere un canale di contatto anche dopo la scadenza del 31 agosto e la possibilità di transitare dall’Afghanistan in modo sicuro».
Mezz’ora prima del summit il portavoce dei Taliban, Zabihullah Mujahid aveva detto chiaramente «I Taliban non permetteranno più ai cittadini afghani di raggiungere l’aeroporto di Kabul, le persone dovrebbero tornare a casa». Per mostrare i muscoli ha aggiunto: «Gli americani stanno facendo qualcosa di diverso, quando c’è la calca sparano e la gente muore. Sparano alla gente. Noi vogliamo che gli afghani siano al sicuro da questo». Un successo di relazioni dopo la disfatta militare, insomma.
Sullo sfondo rimane anche la solita Europa frammentata e inumana che non riesce nemmeno a trovare un’ombra di linea comune sull’accoglienza. I talebani controllano ormai i confini con i Paesi limitrofi (che sono già stati chiusi) e dalla riunione dei 7 non si è nemmeno riusciti a trovare una linea comune per eventuali corridoi umanitari. Stesso discorso per quanto riguarda il riconoscimento formale con il nuovo regime: I leader del G7 hanno fatto sapere che i rapporti della comunità internazionale coi talebani dipenderanno dalle azioni future del gruppo, la stessa formula che avevano usato qualche giorno fa ministri degli Esteri dei Paesi del G7 al termine di una riunione che avrebbe dovuto preparare quella di ieri e che invece riporta le stesse conclusioni. Nessun passo in avanti.
Qualcuno propone di coinvolgere Cina e Russia nella gestione della crisi: «Credo che il G20 possa aiutare il G7 nel coinvolgimento di altri Paesi che sono molto importanti perché hanno la possibilità di controllare ciò che accade in Afghanistan», ha detto Draghi ai suoi colleghi, riferendosi anche all’Arabia Saudita, alla Turchia e all’India.
Suona la campana dell’ultimo giro, quella che arriva insolente per risvegliarci dalla trance alcolica (o agonistica, ché di campane dell’ultimo giro ne esistono diverse ma la tristezza del senso di fine è sempre la stessa). Finirà male, com’era ovvio che fosse, bastava leggere la storia per intero fino a qui.
Buon mercoledì.
Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.