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La banalità del male minore

Si potrebbe chiamare colonialismo della narrazione, disinfettare i comportamenti dell’Occidente o dei presunti Stati moralmente superiori. È l’atteggiamento che rende la stessa notizia pelosa e brutta se proveniente da qualche Paese lontano e un semplice accidente se il fatto avviene qui da noi. L’esempio più significativo nella storia recente è l’avversione spasmodica e totale nei confronti dei Talebani che si prendono l’Afghanistan. I Talebani sono (e lo sono davvero) brutti, sporchi e cattivi, perché non rispettano le donne –  addirittura le uccidono – che vengono viste solo come strumento per prolungare la specie. Viene comodo identificare la mancanza di diritti con un solo Stato perché ci assolve e semplifica e non c’è aspirazione più grande del sentirsi lontani e assolti dalle brutture del mondo, immaginandosi in un’isola felice (che sia l’Italia, l’Europa o l’Occidente).

Poi capita di scrivere, che so, che le donne benché compiano due terzi del lavoro della popolazione mondiale abbiano solo il dieci per cento del reddito complessivo e già non ti seguono più. Numeri troppo grandi, porzioni troppo grosse di mondo rendono il concetto complesso e si perde il filo. Molto più comodo dirci che fanno schifo i Talebani e stiamo a posto così. Anche oggi le donne degli altri le abbiamo difese. Più del 50 per cento della popolazione libica, ad esempio, ritiene inaccettabile che le donne abbiano un lavoro retribuito, eppure la Libia è un partner di cui non possiamo fare a meno.

Dal dibattito sul trattamento riservato alle persone gay in Arabia Saudita, a quello nel nostro Paese

Nei giorni scorsi si è parlato molto del trattamento riservato alle persone gay e trans in Arabia Saudita (che Paese meraviglioso che siamo, un fulgida civiltà che si ritrova a paragonarsi all’Arabia Saudita. Merito di un ex presidente del Consiglio, che si è messo a fare il porta a porta con i sultanati in giro per il mondo). Sembrava perfino essere emerso un quadro rassicurante, che comunque noi non fossimo messi così male, fossimo meglio dei sauditi. Almeno quello. Poi, però, qualcuno si è permesso di sottolineare che nell’area europea solo Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Italia, Lettonia, Moldavia, Polonia, Russia, Turchia e Ucraina non abbiano una tutela di legge nei confronti della comunità Lgbtqi+. Apriti cielo. Non sia mai che ci si permetta di dirlo: i Talebani non rispettano le donne e gli Emirati non rispettano i gay. Non complicate le cose. Dai, per favore, su.

Dai diritti civili alla condizione delle donne, ha ormai preso piede una narrazione che giustifica le proprie colpe guardando chi sta peggio
Matteo Renzi e Mohammed bin Salman (Twitter)

Il colonialismo della narrazione punta a identificare un Paese con un male e a dipingere noi stessi come quelli del comunque bene, nonostante qualche piccolo problema. Le impiccagioni che avvengono in giro per il mondo funzionano sempre, raccolgono visualizzazioni e portano pubblicità e mostrano profili stranieri che dovrebbero spingerci a dire che bravi che siamo, che fortuna essere qui, nei Paesi in cui queste cose non succedono.

L’esecuzione di John Marion Grant negli Usa, dove non si taglia la testa ma si usano le iniezioni letali

Qualche giorno fa negli splendenti Usa (quelli che il colonialismo della narrazione l’hanno inventato per mondare le schifezze compiute in giro per il mondo) John Marion Grant è stato giustiziato nella camera della morte del penitenziario dello Stato dell’Oklahoma. Poiché l’Occidente a cui noi siamo così affezionati è evidentemente più civile hanno deciso di non impiccarlo e non tagliargli la testa, ma iniettargli un’elegantissima dose di Midazolam, utile a far perdere conoscenza al condannato prima di iniettargli gli altri due farmaci che lo ammazzano alla meravigliosa maniera occidentale.

Solo che qualcosa deve essere andato storto (sia chiaro: è andato storto il farmaco, mica la nostra meravigliosa democrazia occidentale, eh) e John Grant al posto di perdere conoscenza ha cominciato ad avere convulsioni violentissime che gli hanno fatto strappare i civilissimi lacci con cui l’avevano inchiodato alla sedia, ha vomitato almeno una ventina di volte e ha sofferto come un cane per 21 minuti. Poi, bontà del grandioso Occidente, la culla del diritto ha vinto e John Grant è morto. La scena è stata raccontata dai familiari di John Grant che, poiché non siamo mica Talebani, hanno avuto il privilegio di assistere all’esecuzione per potersi accertare che non ci fossero riprovevoli gesti di maleducazione da parte del boia. Un piccolo particolare: John Grant non ha mai ricevuto in questi anni l’assistenza psicologica e le cure mentali di cui avrebbe avuto bisogno. Ma questo è solo un dettaglio.

Dai diritti civili alla condizione delle donne, ha ormai preso piede una narrazione che giustifica le proprie colpe guardando chi sta peggio
John Marion Grant (Facebook)

Anche in Italia le donne muoiono, ammazzate da mariti, fidanzati ed ex compagni

Qui in Italia ad esempio le donne muoiono, anche qui vengono ammazzate dai mariti, fidanzati o dagli ex compagni eppure non avviene come nei Paesi che ci fanno tanto spavento. Qui muoiono per amore e l’amore, lo sappiamo bene noi che siamo la culla della letteratura, porta a questi spiacevoli scompensi. Il colonialismo della narrazione funziona su tutto, come il cacio. Sta bene sui diritti dei lavoratori, sta bene sui diritti delle donne, sta bene sui diritti dei gay. Mostrare che c’è qualcuno che sta peggio di noi dovrebbe bastarci per sentirci dei privilegiati e quindi smetterla di cercare ossessivamente più diritti. Accontentavi di ciò che avete, dicono, e non aspirate a altro. Se vi viene il dubbio di non essere rispettati ecco qui la pagina del giornale che vi dice che quelli stanno peggio di voi. E se avete voglia di manifestare state tranquilli: c’è qualche Paese retrogrado che avrà sicuramente bisogno di voi.

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