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Curavano i profughi, la procura archivia indagine su coppia di Trieste

Sarà quest’ansia di vedere trafficanti dappertutto o sarà l’idiosincrasia per la solidarietà, ma l’archiviazione di Gian Andrea Franchi e la moglie Lorena Fornasir dopo averli additati come finissimi capibanda dediti al personale arricchimento grazie al traffico di essere umani è l’ennesima spregevole pagina di una magistratura e di una politica che osserva con sospetto la solidarietà e puntualmente cerca (fallendo) di criminalizzarla.

Che un docente di filosofia in pensione di 84 anni e una psicoterapeuta di 67 anni potessero essere collegati a una rete criminale di altre 32 persone avrebbe potuto già sollevare qualche dubbio alla Digos di Trieste e al Servizio per il Contrasto all’estremismo e al terrorismo esterno, gli stessi che si sono presentati a casa della coppia alle 5 del mattino per prelevare documenti, cellulare e computer alla ricerca di prove a sostegno dell’ipotesi di reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Solo che quella abitazione è anche la sede dell’Associazione Linea d’Ombra ODV per cui Franchi e Fornasir, tutti i giorni, allestiscono un piccolo presidio medico all’esterno per offrire prima assistenza ai migranti che percorrendo la cosiddetta rotta balcanica passano il confine croato per arrivare fin lì. Dal 2019 la coppia arriva tutte le sere in piazza della Libertà a Trieste, dove vive, per dare testimonianza di «un atto di resistenza alla criminalità dei confini e dell’esistenza di persone rese invisibili e disumanizzate», come spiegano i due. Curano le ferite che i migranti si procurano durante il lunghissimo viaggio a piedi, Lorena Fornasir arriva con il suo conosciutissimo carrettino verde che contiene bende, antinfiammatori e antidolorifici. Tutto è sempre avvenuto in pubblico, sotto gli occhi delle forze dell’ordine e della cittadinanza.

Gian Andrea Franchi viene indagato per fatti risalenti a luglio del 2019 (lo stesso anno di fondazione della loro associazione) «con le aggravanti ad effetto speciale del concorso di tre o più persone e dell’uso di documenti contraffatti, con l’ulteriore aggravante d’aver commesso il fatto al fine di trarre profitto. Sotto i riflettori degli investigatori finisce l’ospitalità data a una famiglia iraniana di quattro persone, due genitori e i figli di 9 e 11 anni, che non sapeva dove passare la notte e che era partita la mattina successiva in treno per raggiungere la Germania.
Poco dopo viene indagata anche Lorena Fornasir e l’inchiesta dal tribunale di Trieste passa al tribunale di Bologna poiché Fornasir è anche giudice onorario presso il tribunale dei minori di Trieste e dunque presente nei ranghi della magistratura della città.

Il tribunale e il giudice per le indagini preliminari di Bologna hanno semplicemente letto le carte e emesso l’archiviazione. Archiviazione disposta «non emergendo elementi che consentano la sostenibilità dibattimentale dell’accusa». L’indagine triestina si inserisce nel clima pesante nei confronti di chi fornisce assistenza ai migranti. Il “reato di solidarietà” evidentemente viene cercato con pervicacia da chi si ostina a credere che i bisogni dei migranti sfuggano al diritto nazionale e internazionale. «Il succo di questa vicenda – spiega la coppia – sta appunto nel rendere ancora una volta evidente il carattere politico delle denunce nei confronti degli attivisti solidali con i migranti: così è caduta la denuncia contro Mediterranea e prima ancora quella contro Carola Rackete. Crediamo che cadrà anche quella di Andrea Costa di Baobab di Roma. Diverso è caso di Mimmo Lucano perché gli inquirenti ritengono che si tratti di un esempio pericoloso in quanto avrebbe potuto diffondersi presso altri piccoli comuni spopolati come esempio di rinascita sociale».

Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir ora promettono di «continuare la lotta» e stanno già organizzando il loro prossimo viaggio in Bosnia dove regolarmente vanno per portare aiuti, vestiti e medicinali. Ancora una volta si scopre che la solidarietà non è reato. Un po’ tardi, come sempre.

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