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Tre suicidi in un mese, la strage silenziosa del carcere di Pavia

Tre suicidi tra il 25 ottobre e il 30 novembre nel carcere di Torre del Gallo, a Pavia. Si tratta di 3 detenuti che scontavano una condanna definitiva: un italiano di 36 anni condannato per estorsione, un uomo 47enne condannato per violenze familiari e infine un romeno di 36 anni che avrebbe dovuto scontare ancora 14 mesi. Pochi giorni prima dell’ultimo suicidio, l’associazione Antigone era stata in visita nell’istituto e la presidente di Antigone Lombardia Valeria Verdolini aveva riscontrato «moltissime criticità: strutturali, di sovraffollamento, legate al personale sottodimensionato (medico, in primis, ma anche penitenziario e trattamentale); infine criticità connesse ad una popolazione detenuta particolarmente sofferente che si trova ristretta tra quelle mura, in parte composta da detenuti cosiddetti “protetti”, ovvero isolati dagli altri per tutelarli dai rischi di aggressione (uno dei più grandi reparti protetti del nord Italia con oltre 300 presenze) e in parte portatrice di una fragilità sociale e psichica, situata nella struttura per la presenza dell’articolazione di salute mentale lombarda».

Il presidente di Antigone Patrizio Gonnella riconosce che «ogni suicidio è un caso a sé e va considerato nella sua complessità» ma «è anche vero che quando il numero dei suicidi supera una certa soglia è necessario indagare oltre, per capire se ci sono delle cause di tipo sistemico». Per questo l’associazione che si occupa di detenuti nei prossimi giorni tornerà nell’istituto per un ulteriore sopralluogo. La Garante provinciale dei detenuti Laura Cesaris sottolinea anche l’affanno della medicina penitenziaria che ha costretto un medico a turni di 36 ore poiché «con le dimissioni in massa del personale sono rimasti solo due medici, di cui uno, psichiatra, appunto costretto a fare turni per coprire le guardie». All’interno della struttura risultano inagibili la palestra, la cappella e le sale colloqui. «Questa è una situazione che si trascina da tempo e che va a esasperare altre situazioni, come la presenza alta di detenuti con patologie psichiatriche – spiega Cesaris –. A questo bisogna aggiungere l’assenza di progetti per i detenuti, che possano rappresentare un’alternativa al malessere per la condizione della detenzione, come ad esempio i corsi scolastici, che da quest’anno si sono notevolmente ridotti».

Eleonora Grossi, presidente della Camera Penale di Pavia, all’Agi ha raccontato che dalle informazioni a disposizione «due delle tre persone che si sono tolte la vita avevano problemi psichiatrici»: «Sono molto preoccupata, – dice Grossi – non si sono mai verificati tanti suicidi in un arco così ristretto di tempo. Siamo in contatto con la direttrice con la quale avevano già programmato un accesso al carcere ai primi di gennaio. Alla luce di quello che sta succedendo, vogliamo ancor più capire le cause che hanno spinto questi reclusi a togliersi la vita e quali sono le difficoltà nell’esercitare il controllo che deve essere garantito a questi detenuti». Sono 47 i detenuti suicidi dall’inizio dell’anno, ma lo stato comatoso delle carceri non sembra avere sussulti nel dibattito nazionale.

L’articolo Tre suicidi in un mese, la strage silenziosa del carcere di Pavia proviene da Il Riformista.

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