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Una dose di incertezza

Essere all’altezza dell’incertezza. Non dico governarla, l’incertezza è per definizione ingovernabile, ma avere l’onestà di raccontarla senza la truffa della dissimulazione. Eccoci qua, al Natale che segna il punto in cui siamo costretti a ricordare che no, che non ne siamo usciti, che non si sa quanto sarà lunga e come se ne uscirà. Questo Natale, si può dire, è il fallimento di mesi di comunicazione. Sarebbe bello farci il regalo di confessarlo, senza strepiti e senza strumentalizzazioni politiche, che la pandemia è prevedibile e non si capisce proprio perché qualcuno abbia voluto rivenderla come il semplice svolgimento di un itinerario sanitario e matematico di cui si conoscono tutte le curve e gli spigoli. Anziché assistere a monumenti della sicumera, avremmo dovuto pretendere una sincera ammissione di fallibilità e questo 25 dicembre non sarebbe stato così sfiduciato e stancante.

La comunicazione, la nuova dea, si è data il ruolo di rassicurare, nonostante non ci siano basi per rassicurare. «Il governo non poteva fare altro, il virus è imprevedibile e cangiante» dicono gli smussatosi professionisti, intenti a non rovinare la luna di miele dell’esecutivo. Che una pandemia mondiale sia imprevedibile è falso. Almeno questo diciamolo. I piani pandemici esistono per affrontare le pandemia. Così, che una pandemia con tutte le sue varianti possa rinvigorirsi, mentre sta per affievolirsi, addirittura risorgere come un’araba fenice più virulenta di prima, era chiaro fin dall’inizio, eppure non ha voluto dirlo quasi nessuno. Questo è il punto: quanto è corretto e onesto tranquillizzare come unico fine? Perché, mentre noi siamo qui a strapparci i capelli per i no-vax, forse dovremmo ritagliarci un minuto anche per gli errori dei sì vax. Dei sacerdoti del vaccino, che quest’anno non hanno tenuto a freno il proprio narcisismo esibito rassicurando sempre di più, sempre più forte.

Basta definire negazionista ogni critica alle mosse del governo 

Per essere all’altezza dell’incertezza potremmo ad esempio finirla con questa stupida battaglia tra guelfi e ghibellini, qui dalle parti basse, mentre lì sopra si brinda. Si potrebbe smetterla di spostare ogni minima critica alle mosse dei governi nel cassetto dei sospettosi o negazionisti del vaccino. Basta una ricerca veloce in rete per ritrovare le parole del virologo Bassetti, che in questo 2021 si è piaciuto come non gli era mai capitato nella vita. (Ognuno ha vissuto un’estate in cui si è sentito irresistibilmente bello e per alcuni virologi questa estate è durata tutto l’anno). Bassetti giurava e spergiurava che non sarebbero mai più servite altre dosi di vaccino per debellare il virus. Anzi, di più, Bassetti si era lanciato a dire che, proprio il fatto che non sarebbero serviti ulteriori richiami era la prova inconfutabile che il vaccino fosse affidabile.

La situazione che stiamo vivendo in questo Natale si sarebbe potuta affrontare in maniera diversa con una comunicazione più onesta
Matteo Bassetti (Facebook)

Una voce che ha così tanto spazio in televisione (su questo ha pienamente ragione Giorgetti) dovrebbe sapere che su un tema delicato come la credibilità della scienza e come la fiducia nel vaccino sarebbe stata doverosa una misurata cautela. Non bisogna essere virologi, basterebbe essere seri. Sarebbe stato anche serio ribadire che il vaccino non avrebbe assicurato «il ritorno alla normalità» (che formula schifosa il «ritorno alla normalità») e che servivano e servono ancora tutte le cautele possibili. Che Draghi abbia potuto dire in una conferenza stampa che il vaccino assicurasse «il non essere contagiosi» è qualcosa che sta scritto nello stenografato del Parlamento. Mesi passati a portarci come esempio Paesi che «ormai ne erano fuori» e che ora sono messi maluccio, tutto il mondo è nelle stesse condizioni.

Bisognerebbe avere il coraggio di dirci che, se è vero che i governi fanno quel che possono (tutto il mondo è Paese di fronte a una pandemia, si chiama pandemia proprio per questo) per affrontare il virus, è altresì vero che la comunicazione è a dir poco scadente. Non è un problema di Covid. La polarizzazione come unico metodo per trattare il dibattito è figlia di una cultura elementare nella gestione delle complessità. Per ogni no vax incallito si è creato qualche sì vax più incallito di lui. Non importa che siano tutti e due dei cantanti, degli opinionisti di spettacolo o dei concorrenti di reality: conta solo il ring, il bianco contro il nero. Invece la pandemia, come la vita, è un’ingarbugliatissima scala di grigi.

La situazione che stiamo vivendo in questo Natale si sarebbe potuta affrontare in maniera diversa con una comunicazione più onesta
il presidente del consiglio Mario Draghi (Getty)

Perché gli italiani hanno buoni motivi per prendersela con la classe dirigente

E allora forse hanno più di qualche ragione gli italiani ad essere incazzati. Hanno qualche buon motivo per prendersela con questa classe dirigente che ha usato verità assolute come bromuro, poi sgretolatesi sotto l’inverno di questo Natale 2021. Zygmunt Bauman scrisse nel 2017 (nel libro Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze, edito da Castelvecchi) che il mondo in cui stiamo vivendo (non c’era nessuna pandemia) è caratterizzato da frammentazione, discontinuità, in particolare da mancanza di logica. Bauman affermava che in una situazione del genere è saggio, anzi a volte indispensabile, non fare progetti a lungo termine, meno che mai investire in un futuro troppo lontano. E ancora: è bene non legarsi a un luogo, né a un gruppo di persone. È consigliabile non fissare una certa immagine di se stessi. Essere previdenti oggi – scriveva Bauman – significa evitare di assumere particolari impegni. È bene muoversi liberamente e attendere un’opportunità che bussa alla porta. Ovviamente sapendo che potrebbe smettere di farlo in poco tempo. Perché questa comunicazione, che comunica così velocemente e così frequentemente, ha come unico risultato quello di farci sentire terribilmente soli. Come in questo Natale. E il vaccino all’incertezza è la serietà di riconoscersi fallibili e comportarsi di conseguenza.

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