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L’anno che varrà

Noi che abitiamo a Lodi il Covid non ce lo siamo scrollati di dosso. Non è una questione geografica o ambientale, è qualcosa che ha a che vedere con la solitudine di quel periodo in cui la pandemia non esisteva sui giornali, non stava sulle bocche dei politici, non aveva ancora partorito aspiranti virologi virali. Si leggeva nascostamente in qualche notizia breve di ciò che accadeva in Cina e il Covid da queste parti lo toccavi nelle sirene calanti delle ambulanze che percorrevano una città diventata un formicaio. Mentre il resto d’Italia (e poi del mondo) imparava ad avere paura del Covid, qui a Lodi avevano già scavato le trincee, sapevamo benissimo che forma avesse quel distacco violento, una feroce alienazione, che strappava i malati sradicandoli dalla famiglie e nessuno aveva nemmeno le parole per immaginare in che buco finissero. Quando l’Italia preparava le dighe contro il virus qui a Lodi si intravedevano già le macerie.

Mentre l’Italia si preparava al lockdown a Lodi c’era già l’odore del lutto

Mentre l’Italia si apparecchiava per il lockdown, mentre tutti lo intendevano come cautela per salvarsi, a Lodi c’era già l’odore del lutto. Non è facile scrivere cosa significhi vivere una pandemia lunga quasi due anni dallo scostamento di sassi da cui ha cominciato a sgorgare tutto. C’è continuamente una sensazione di anticipo sui tempi come un orologio della storia che solo qui da noi è in anticipo di qualche settimana, c’è lo straniamento nell’avere il dolorosissimo privilegio di osservare prime impressioni che qui sono già conosciute. Ricordo, nelle prime settimane di pandemia, spostandomi per lavoro, il male quasi fisico che mi provocava incontrare gente che dubitava perfino dell’esistenza di un virus che aveva chiuso le bare di gente con cui bevevo il caffè.

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Il reparto di terapia intensiva dell’ospedale Maggiore di Lodi (Getty Images).

La natura, la finanza e la società non hanno occhi per rispettare un calendario

Ho ingenuamente pensato che questa primogenitura potesse avere risvolti positivi. Sarà uno di quei dolori che franano addosso e poi ringrazieremo di non dover subire lo stillicidio dell’infiltrazione lenta, mi sono detto. Mi sbagliavo. Ci siamo sbagliati. Di questi mesi di pandemia la punta più dolorosa, perfino più dolorosa dei morti, è questa estenuante sensazione di avere dato quello che c’era da dare, di avere subito tutto, di poter raccogliere i caduti e poi guardarci negli occhi per dirci: «È finita» e invece non finiva. Non è finita dopo un’estate arrivata per risvegliare le papille da punire subito nell’autunno successivo. Non è finita con la fine del primo anno. Che tortura incredibile i Capodanni quando ti inducono a credere che possano coincidere con una svolta temporale reale, come se la natura o la finanza o la società avessero davvero occhi per rispettare un calendario.

La variante Omicron non ha risparmiato Lodi già lacerata dalle precedenti ondate

Le ondate sono ritornate, qui dove tutto è cominciato, senza nessun rispetto per la tragedia originale. Non abbiamo mai avuto il coraggio di dircelo ma siamo arrivati a confidare che fossero morti tutti i moribili. Quando l’essere umano non ha più spazio per la paura comincia a masticarla, diventa tutto potabile in tempo di pandemia. Gli effetti collaterali sono una lacerazione che non avresti mai creduto di essere capace di tollerare. Il Capodanno 2022 a Lodi vede la provincia tra le più colpite dalla variante Omicron. Niente di pericoloso, pochi finiscono in ospedale, pochissimi muoiono continuano a ripeterci, eppure tra i superstiti anche il più flebile segnale dolente basta per spaccare le croste faticosamente messe insieme. Al di là degli ingolfamenti organizzativi che non avremmo mai pensato di meritarci ancora, a Lodi c’è questo andare per strada con gli occhi bassi di chi è deluso di dover tornare ancora ad abitare nella propria nostalgia. Se ci fosse nel vocabolario una parola per chiamare il cordoglio quando diventa incessabile sarebbe l’angolo delle bocche che a Lodi in questi giorni si dicono che ci siamo ancora dentro, che per fortuna ora fa meno male per merito dei vaccini ma che davvero non ci saremmo meritati di indossare gli abiti delle persone che abbiamo pianto.

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Al primo gennaio 2022 in Italia sono state somministrate 111.161.728 dosi (Getty Images).

Che questo Capodanno sia un vero Capodanno non ci crede nessuno

C’è un lato umano di questa pandemia che, chissà perché, è stato dato per risolto senza nemmeno averci fatto i conti. E che questo Capodanno sia un Capodanno non ci crede nessuno ma che straordinario meccanismo è l’uomo che riesce a sperare senza intravedere la speranza nemmeno in penombra. Se un giorno dovessimo imparare a maneggiare questa consapevolezza avremmo tra le mani un’energia nucleare. E allora lì, quel giorno lì, sarà Capodanno. Buon 2022.

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