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La memoria dimenticata

Esercitare la memoria non significa imparare perfettamente le date e i protagonisti degli eventi che furono. Esercitare la memoria significa tenere a mente i segnali degli accadimenti che furono e allenare le antenne per riconoscerli nel presente. Conoscere significa riconoscere gli eventi quando provano a ripetersi.

I morti della Shoah furono moltissimi perché intorno allo sterminio degli ebrei (e delle popolazioni slave delle regioni occupate nell’Europa orientale e nei Balcani, dei neri europei, dei prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, massoni, minoranze etniche come rom, sinti e jenisch, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali, omosessuali e portatori di handicap mentali e/o fisici) si crearono le condizioni per essere ferocemente indifferenti e si instillò la normalizzazione degli eventi.

La normalizzazione delle morti oggi è una sindone laica che contiene il sangue dei profughi annegati nel mediterraneo (il vagone merci del binario 21 è stato sostituito da qualche barchino pericolante che affronta le onde), c’è il sangue dei bambini nello Yemen ammazzati dai sauditi considerati addirittura amici, c’è il sangue che scorre in Siria, ci sono i bambini congelati nel confine del Canada, c’è il sangue degli annegati nel canale de La Manica, ci sono i morti di freddo sulla rotta balcanica, c’è il sangue senza ossigeno degli emigranti che sono morti senza farsi trovare.

La normalizzazione delle idee che portarono a quegli eventi sta nella “matrice” che qualche partito di destra insiste nel non voler scorgere, nei nuovi fascismi che oggi indossano l’abito della festa e fingono di essere illuminati, sta nell’antifascismo visto come sentimento di parte e non come sentimento di democrazia.

Veniamo da giorni in cui 7 migranti sono morti di freddo uccisi da un’Europa che appalta le frontiere, un dodicenne a cui è stato augurato il morire nei forni perché ebreo e un co-fondatore di Fratelli d’Italia che ha collezionato una bella quantità di voti per la presidenza della Repubblica.

C’è da fare, più che ricordare.

Buon giovedì.

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