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Saluto romano, non è sempre reato per la Cassazione: l’ennesimo spiraglio alla nostalgia che pretende di essere commemorazione

Tempi duri per il ritorno del fascismo in tutte le sue forme in questo Paese in cui la democrazia liquida sta diventando un “liberi tutti”.

Nonostante qualcuno insista nel raccontare cosa sia stato e provi a ribadire che essere antifascisti non significhi essere di sinistra ma semplicemente democratici (e attinenti alla Costituzione) il fascismo di ritorno si vede nelle azioni, nelle opere, nelle parole e nei pericolosi ammiccamenti.

E da oggi si nota anche nella molle sentenza della Corte di Cassazione che riabilita il saluto romano (uno degli incontestabili segni distintivi dei fascisti) con una sentenza destinata a far discutere.

Fare il ‘saluto romano’ per la Cassazione infatti non sempre è un comportamento penalmente perseguibile: in particolare, non lo è nell’ambito di commemorazioni, senza alcun collegamento con un “pericolo di ricostituzione” del partito fascista.

La Cassazione lo ribadisce (aveva già affermato questa linea giurisprudenziale con una pronuncia del 2018) nelle motivazioni della sentenza, depositate il 4 marzo 2022 dalla prima sezione penale, con la quale, lo scorso ottobre, decise di assolvere “perché il fatto non sussiste” 4 esponenti del gruppo Lealtà e azione, finiti sotto processo poiché, il 25 aprile 2016, al cimitero Maggiore di Milano, avevano, secondo l’accusa, compiuto “manifestazioni usuali del disciolto partito fascista”, quali la “chiamata del presente” e il “saluto romano”.

Il tribunale di Milano, in primo grado, aveva assolto gli imputati, applicando la legge Scelba, mentre il verdetto era stato ribaltato in appello, con la condanna a un mese e 10 giorni di reclusione e al pagamento di una multa di 200 euro ciascuno per violazione della legge Mancino: la sentenza di secondo grado è stata annullata senza rinvio dalla prima sezione penale della Cassazione lo scorso ottobre.

Secondo i giudici “il profilo descrittivo dell’accusa e la stessa attività istruttoria svolta nei due gradi di giudizio di merito hanno inquadrato non già la ascrivibilità del gruppo Lealtà e Azione al novero dei gruppi vietati” dalla legge che punisce ogni forma di discriminazione razziale, quanto “incentrato la ricostruzione sull’avvenuto utilizzo delle manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, in un contesto innegabilmente commemorativo dei caduti della Rsi”.

Per questo, vi è “l’assenza di profili in fatto valorizzabili in chiave di punibilità, per assenza del pericolo concreto di ricostituzione del disciolto partito fascista”.

Saluto romano: la Cassazione contraddice se stessa

La sentenza ribalta la pronuncia della stessa Cassazione nel 2019, in cui il saluto romano veniva definito una “manifestazione esteriore propria o usuale di organizzazioni o gruppi” indicati nella legge Mancino e “inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale ed etnico”.

La sentenza apre l’ennesimo spiraglio alla nostalgia che pretende di essere commemorazione.

Sono anni che qualcuno (dai seguaci di Meloni ai fan più esagitati di Salvini) usano la “rievocazione storica” come alibi per riproporre il fascismo sotto mentite spoglie nei loro discorsi e nelle loro azioni.

Sono anni che ciò che prima era orribile e inaccettabile diventa un fiancheggiamento al fascismo che vorrebbe passare come provocazione o rievocazione.

Ora con questa sentenza i fascisti di casa nostra (quelli che non hanno nemmeno il coraggio di ammetterlo) non dovranno nemmeno fingere di essere stati fraintesi“era solo una commemorazione”, ci diranno. Come se non sapessimo che commemorare è il primo passo di un mantenimento o addirittura di una ricostruzione.democrazia liquida sta diventando un “liberi tutti”.

(scritto per La Notizia)