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Il 27 febbraio in 50 sono annegati al largo della città di Sabratha, a ovest di Tripoli

Hanno scelto un pessimo periodo per morire le 50 persone circa che sono affondate al largo della città di Sabratha, a ovest di Tripoli, il 27 febbraio. Ieri Alarm Phone ha fatto sapere che non ci sarebbero sopravvissuti ma che una dozzina di cadaveri sono stati ritrovati sulla costa. I volontari di Mezzaluna Rossa libica hanno recuperato sette cadaveri dalla spiaggia.

Secondo una fonte vicina alla guardia costiera libica, i morti sarebbero stati portati alla stazione di polizia di Sabratha. È l’ennesimo naufragio fantasma che si consuma lontano da qualsiasi testimonianza e difficilmente entra nelle pagine dei giornali. Ma potrebbe non essere l’unica tragedia del mare dell’ultima settimana. Non si hanno più notizie anche di una barca con 60 migranti partita dalla Tunisia, ormai cinque giorni fa.

“I parenti ci chiedono di un gruppo di 60 persone – scrive sempre Alarm Phone – non sono ancora arrivate”. Le autorità ci dicono di non avere informazioni su cosa sia accaduto loro. Chiediamo risposte”.

Mentre l’Europa apre (in modo intermittente) le porte a chi fugge via terra la nave Geo Barents di Medici Senza Frontiere ha raccolto 111 superstiti e aspetta che gli venga assegnato un porto. Ci sono donne e bambini, sei dei quali con meno di 4 anni. Molti dei 111 superstiti sono curati perché il carburante mischiato all’acqua salata gli ha bruciato la pelle. Risposte? Nulla, come al solito, Malta e Italia rimangono mute.

Non si hanno già notizie, ad esempio, della famiglia bloccata nella foresta tra Polonia e Bielorussia (madre, padre e due bambini, di cui uno autistico) che sopravvivevano bevendo acqua piovana intrappolati nel braccio di ferro tra i due Stati che si prolunga da mesi e che si siamo presto dimenticati. Da qualche giorno se ne sono perse le tracce e Nawal Soufi, la volontaria che si occupava di loro, rischia addirittura l’arresto.

Questa Europa che filosofeggia di accoglienza, dovremmo avere il coraggio di dircelo chiaramente, non ha nessuna credibilità Ha aperto le porte e ha concesso la protezione temporanea a chi scappa dalla guerra in Ucraina (non tutti, per la verità, con la direttiva che non si applica a chi in Ucraina ci lavorava o ci studiava senza averne la residenza) ma è sempre la stessa Europa che utilizza Erdogan come tappo via terra (profumatamente pagato) per lasciare fuori i migranti che non piacciono perché sono troppo scuri o perché vengono da una guerra abbastanza lontana per poter fingere che non esista.

È la stessa Europa che da anni foraggia le milizie libiche che fingono di essere uno Stato quando sono un’accolita di criminali e che addestra (con l’Italia in prima linea) la cosiddetta Guardia costiera libica ammaestrata per riacciuffare chi prova a scappare dai lager libici (condannati dall’Onu e da tutti quelli che hanno avuto occasione di vederli di sfuggita) e da Papa Francesco.

È la stessa Europa che ha scelto di essere un privilegio per pochi, che ha promesso accoglienza agli afghani che invece stanno ai bordi dell’Ue scappati dai Talebani e senza nessun posto dover poter stare. La “solidarietà” ora serve per comunicare la propria partecipazione alla guerra ma, come dicono gli stessi ucraini, il rischio è che poi ci si dimentichi in fretta. Dalle nostre parti la solidarietà accade quando è utile a chi la compie, non quando serve a chi la riceve.

(il mio pezzo per La Notizia)