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Borghese e i giovani fannulloni, tormentone e miopia dell’Italia

Esce il primo sole e insieme ai consigli di bere molta acqua e di non uscire nelle ore più calde arrivano i ruspanti imprenditori italiani (meglio se stellati o televisivi) che lanciano l’allarme perché non riescono a trovare giovani virgulti per le loro cambuse. La sceneggiatura in fondo è sempre la stessa dal 2012, quando a margine di un convegno l’allora ministra Elsa Fornero disse che «i giovani non devono essere troppo choosy», inaugurando di fatto un genere letterario.

Salvini e Renzi fuoriclasse del paternalismo

L’anno scorso, manco a dirlo, tra i fuoriclasse del paternalismo fuori luogo ci siamo sorbiti Salvini che ammoniva i giovani di voler «stare sul divano a guardare gli Europei» piuttosto che lavorare. Manco a dirlo a ruota si ritrovano ogni volta tutti i liberali che si definiscono liberali ma non sono altro che agenti infiltrati della parte peggiore di Confindustria con una sola semplice regola d’ingaggio: demolire il mondo del lavoro per poter lavorare più selvaggiamente, fottendosene dei diritti. Indimenticabile, va detto, anche Matteo Renzi che giusto un anno fa ci informava che la “sofferenza” è un irrinunciabile elemento di crescita, cultore di un’educazione siberiana in salsa italica che consiste nell’ingagliardirsi facendo per un po’ lo schiavo.

il tormentone dei giovani fannulloni torna puntuale anche quest'anno
Alessandro Borghese (da Facebook).

Quest’anno la stagione l’ha inaugurata Alessandro Borghese

Quest’anno il primo gol lo mette a segno Alessandro Borghese, noto chef e conduttore di diversi programmi televisivi, che intervistato dal Corriere (sempre così appassionato delle analisi sociologiche di gente che fa tutt’altro nella vita) ci racconta l’ultimo tragico evento a cui dover far fronte: «Sa cosa è successo lo scorso weekend?», esordisce il cuoco nella sua intervista, «quattro defezioni tra i ragazzi della brigata, da gestire all’ultimo minuto, e nessuno disposto a sostituire. Così a cucinare siamo rimasti io e il mio braccio destro: 45 anni io, 47 lui». Un episodio che capita a molti tra quelli che lavorano (chiedere a aziende e uffici in questi due anni di pandemia) ma che spinge Borghese a tirare le somme: secondo lo chef i ragazzi «preferiscono tenersi stretto il fine settimana per divertirsi con gli amici. E quando decidono di provarci (a lavorare, nda) lo fanno con l’arroganza di chi si sente arrivato». Così, netto come un taglio di una cipolla, ecco il manifesto della gioventù italica, l’etichetta pronta e servita. Come se non bastasse il cuoco dice che essere pagati è un accessorio a cui si può rinunciare («Sarò impopolare ma non ho alcun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati», spiega al giornalista) e che lui è diventato Borghese perché ha «lavorato sodo» e fatto »sacrifici». Insomma, siamo alle solite: i “vincenti” (incuranti della loro provenienza) chiedono ai “falliti” di inseguire il sogno americano e mettersi proni a servire.

Il mantra è accettare qualsiasi mestiere a qualsiasi stipendio 

Insuperabile, a ruota, la stellata Michelin Viviana Varese, del ristorante Viva di Milano, che spiega di incontrare «gente che ha bisogno di lavorare, ma non ha la voglia né l’umiltà per farlo. E quindi cosa propone la chef? «Proprio per questo», spiega, «sono fermamente convinta che si debba in qualche modo generare fame». Sì ad aiuti statali alle donne e agli over 40. No agli under 35. Ovvero a quella fascia di età, per quel che noto io, senza mordente, senza maturità, senza un obiettivo nella vita perché iper tutelata e accudita in famiglia. Non si tratta di voler punire, ma di cercare di creare una classe lavoratrice strutturata. Il lavoro c’è, bisogna solo avere fame. Se uno non l’ha dentro, allora la si induce». Creare povertà per fare accettare qualsiasi mestiere con qualsiasi stipendio è la strategia di parecchia industria italiana: Viviana Varese ha il coraggio (o l’ingenuità) di dirlo chiaro e tondo.

Borghese e i giovani fannulloni
Il rapporto di Migrantes sugli italiani all’estero rileva che dai 3,1 milioni del 2006 si è passati ai 5,5 milioni attuali.

Quei cervelli in fuga in cerca di qualsiasi lavoro che nessuno vuole vedere

Ora, statene certi, arriveranno a ruota tutti gli altri, ripartiranno anche le cannonate sul Reddito di cittadinanza e sui giovani “mammoni”. Come ogni estate assisteremo alle lagne di imprenditori turistici che accuseranno i giovani di “rovinare la stagione” pronti per essere smentiti dai dati ufficiali come è accaduto l’anno scorso (anche se nessuno dei lamentosi ha avuto modo di chiedere scusa). E nessuno si interroga sui dati Istat del 2019 che dicono che il numero di giovani italiani trasferitisi all’estero in cerca di opportunità è in continuo aumento (+4.5 per cento, 122 mila unità nel 2019), mentre il rapporto di Migrantes sugli italiani all’estero rileva che dai 3,1 milioni del 2006 si è passati ai 5,5 milioni attuali (+76.6 per cento). E la maggior parte di essi è composta da diplomati «in cerca di un qualsiasi lavoro».

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