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Blaterano di meritocrazia e poi risparmiano sulla formazione

Sembra una notizia locale e invece è il termometro della deriva di questo Paese. In Lombardia, grazie a Letizia Moratti, dopo il super-infermiere sta per arrivare il vice-infermiere: Oss con 300 ore di corso post base potranno sostituire il professionista infermiere e a basso costo. Ciò che conta è avere manodopera poco formata che viva ogni occasione di lavoro come un privilegio, disposta a essere pagata sempre il meno possibile.

Lo scrive bene Assocarenews: «L’idea è dell’assessore al ramo Letizia Moratti, che già qualche settimana fa aveva introdotto la figura del super-infermiere o vice-medico, il professionista sanitario capace di sostituire il medico nelle cure primarie e di base. Insomma una confusione di ruoli e di responsabilità legate a presunte carenze da una parte di medici, dall’altra di infermieri. In realtà si cerca di risparmiare il più possibile attribuendo a figure come infermieri od Oss compiti di professioni più elevate. Pertanto il super-infermiere e il super-Oss servono a sostituire da una parte i medici di famiglia, dall’altra gli infermieri in Rsa e case di riposo e farlo a bassissimi costi. Da mesi si polemizza sul super-Oss in Veneto, ora la polemica si sposta in Lombardia dove anche la Federazione nazionale dei medici (Fnomceo) ha ribadito più volte che “un infermiere non potrà mai sostituire un medico”. Di contro la Federazione nazionale degli infermieri (Fnopi), ad oggi, non si è mai espressa direttamente contro la nascita del super-Oss. Eppure gli Infermieri restano insostituibili. Vedremo cosa accadrà, il rammarico resta e resta la sensazione che nel nome del dio denaro tutto è possibile, anche chiamare infermiere un operatore socio sanitario (senza laurea e con lo stipendio da Oss) o medico un infermiere (con laurea triennale, ma con stipendio da fame)».

Intanto sulla presunta “ripresa del mercato del lavoro” la Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione pubblicata da Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal ci dice che un terzo dei 2,1 milioni di contratti a termine (mai così tanti, osservando le serie storiche) attivati tra gennaio e marzo era per incarichi di meno di 30 giorni, il 9,2% un solo giorno. Solo il 27,5% da due a sei mesi e un piccolo 1% scavalla l’anno. Ma c’è di più: dalle Comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro si rileva una crescita dell’incidenza dei contratti di brevissima durata sul totale delle attivazioni. Quelli fino a una settimana sfiorano il 20%, ossia il 2,9% in più rispetto al primo trimestre del 2021. E sono in aumento anche i lavoratori somministrati e quelli a chiamata. Insomma il precariato impazza e questi la chiamano occupazione.

Quando ci si renderà conto della piega che ha preso questo Paese diventeranno minuscole le beghe di partito con fuoriusciti e nuovi fondatori. Siamo un Paese che non ha speranza nei numeri e che continua a non accorgersene.

Buon mercoledì.

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