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Carlo Calenda esiste solo quando riesce a dividere

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Carlo Calenda ha partecipato alla sua prima campagna elettorale nel 2012, tra le fila di Scelta Civica di Mario Monti. Non venne eletto ma Enrico Letta lo premiò con un posto da viceministro dello sviluppo economico.

Da Scelta Civica in poi Carlo Calenda ha collezionato una carriera di polemiche e rotture

Poi Matteo Renzi subentrò a Letta e l’allora segretario del Partito Democratico decise di lasciarlo lì. Nel 2015 annuncia di lasciare Scelta Civica e di aderire al Pd. Ci ha messo un po’: nel 2018. Passano pochi mesi e lancia il suo contenitore all’interno del Partito democratico, “Siamo Europei”. Poi siamo al presente: Calenda lascia il Pd e fonda il suo partito personale, Azione. 

Basta questo per capire facilmente che Carlo Calenda esiste quando riesce a dividere. «Il cattivo gusto e la maleducazione di Calenda si commentano da soli. Oltre ad essere confuso, è un ragazzino viziato e cafone», disse di lui Mara Carfagna, ora sua compagna di partito.

Nell’alleanza elettorale che ha in mente Enrico Letta, suggellata oggi con un patto sottoscritto insieme a +Europa, Calenda nel giro di pochi giorni di campagna elettorale è riuscito ad attaccare il Pd per avere «abbandonato troppo presto l’agenda Draghi». Poi se l’è presa con i Verdi e con Bonelli per il loro «ambientalismo ideologico». Poi ha chiamato la comunità di Sinistra Italiana «frattaglie di sinistra» non disdegnando almeno un attacco al giorno a Nicola Fratoianni.

Calenda non ha mai smesso nemmeno di menar colpi anche al suo ex amico Matteo Renzi, colpevole, secondo lui, di lavorare per un polo di centro in cui Calenda non abbia il ruolo di unica guida. 

Calenda si è auto-candidato a Presidente del Consiglio, dimenticandosi di essere un piccolo partito all’interno di un’alleanza elettorale di cui il Partito Democratico è baricentro (lo dicono i voti). Quando qualcuno gli ha fatto notare che voler prendere il posto di Mario Draghi fosse un eccesso tragicomico di narcisismo Calenda ci ha spiegato che «la politica si fa candidandosi».

A modo suo ha ragione: per lui la politica è tutt’uno con il potere. Nel frattempo se l’è presa con Tabacci che ha regalato a Di Maio la possibilità di candidarsi senza raccogliere le firme. Di Maio e Tabacci, cale la pena sottolinearlo, dovrebbero essere nell’alleanza di Calenda, insieme a Bonelli e Fratoianni.

Si è dimenticato Calenda che lui ha usato lo stesso trucco: il simbolo di +Europa gli permette di saltare a piè pari la raccolta delle firme. Ma Calenda è fatto così: ciò che fa lui è incontestabile, sempre. Del resto perfino l’ex ministra Gelmini, protagonista della distruzione della scuola in Italia, ora è diventata una statista. 

Ieri ha passato tutta la giornata a sputare veleno sul PD e sui suoi ipotetici alleati per la campagna elettorale. Il “grande pericolo della destra sovranista” si è rimpicciolito di colpo perché Calenda vuole sapere che si fa sul rigassificatore di Piombino. Intanto ha sempre in tasca la sua proposta sul nucleare che ha fatto sbellicare dalle risate (per tempi e costi) anche i nuclearisti. Il PD, dopo una giornata frenetica, ha chiesto di non porre veti. Come ha risposto Calenda «Enrico Letta sei troppo intelligente per considerare questo appello una risposta». La risposta passivo-aggressiva del resto è una delle sue specialità. 

Non è nemmeno importante sapere come andrà a finire, alla fine si rimetterà a cuccia. Ciò che conta, soprattutto in campagna elettorale, è l’idea di unità di intenti – se non di programmi – di ogni alleanza che si presenta alla corsa. Ieri il “campo largo” di Letta non aveva “occhi di tigre” ma sbrodolava picche e ripicche. Gli unici punti di programma sono l’inossidabile narcisismo di Carlo Calenda e il PD che si umilia inseguendolo.

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