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Ora si potrebbero appoggiare gli occhi di tigre e si potrebbe cominciare a parlare di diritti

Cosa insegna lo sfacelo che si è concesso a Calenda Siamo sempre al solito antico peccato originale del Partito democratico: la sua irrefrenabile voglia di annacquarsi a destra per accontentare una delle due anime che si sono unite alla fondazione del partito e che non sono mai riuscite a trovare una sintesi.

Una campagna elettorale persa completamente nella sua fase iniziale può essere rilanciata parlando dei temi: una transizione ecologica che no,  non è un “bagno di sangue” come furbescamente detto da Cingolani; diritti individuali e collettivi (ddl Zan, ius scholae e altro) che ora si possono proporre senza cercare la mediazione con chi più o meno apertamente li osteggia; un attacco sincero alle rendite che bloccano questo Paese e impoveriscono il welfare; un salario minimo che non sia delegato a chi i salari li ha scassati in questi ultimi anni; un Reddito di cittadinanza (chiamatelo come vi pare) che salvi le persone dalla povertà (partendo dal milione di persone salvate che tutti fingono di non vedere); una narrazione che si scosti dai frigni di imprenditori troppo furbi e che si focalizzi sulla mancanza di opportunità dignitose per chi un lavoro lo cerca; una progressività delle tasse com’è scritta nella Costituzione e che sia la destra che il centro vogliono continuare a violare; la cancellazione dei vergognosi patti con la Libia che hanno le impronte digitali di Minniti e la bava di Salvini e di Meloni.

Il cambio di paradigma nell’alleanza elettorale del centrosinistra è un’opportunità se non ci si metterà in testa di inseguire gli elettori dei più draghiani di Draghi e se si smetterà di cercare gli elettori che poi sono gli stessi che esultano per la rottura di Calenda. E magari, una volta tanto, si potrebbe smettere di pensare che la politica funzioni con addizioni di partiti illudendosi di fare massa di elettori.

Questa è l’occasione. Come andrà, non so.

Buon lunedì.

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