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Il sangue iraniano e noi che arriviamo tardi

Un giovane poco più che trentenne è morto in Iran dopo venti giorni di coma a seguito di torture. Era stato arrestato, pestato a sangue e poi rilasciato. L’hanno fatto tornare a casa perché avevano paura che morisse in cella. E infatti è morto a casa.

Si chiamava Mehdi Zare Ashkzari, era un ex studente di farmacia all’Università di Bologna e due anni fa era tornato in patria. Ed è Amnesty International Italia a diffondere le prime informazioni sul caso. Poi il messaggio di Patrick Zaki che, con la scomparsa del trentenne iraniano, sottolinea come l’Università di Bologna abbia «ora una nuova vittima della libertà di espressione». Zaki, che di anni di carcere se n’è già fatti due in Egitto per un “reato d’opinione”, lo dice benissimo: «Purtroppo, questa volta, era troppo tardi per salvarlo».

Mehdi Zare Ashkzari «era uno di noi», dice all’Ansa Sanam Naderi, iraniana che vive a Bologna. «Era conosciutissimo, molti studenti sono stati da lui, hanno mangiato la pizza dove lavorava. Era sempre sorridente». Mehdi si era iscritto all’università nel 2015 e per un periodo aveva lavorato come fattorino, per mantenersi agli studi, poi come aiuto-cuoco in una pizzeria.

Secondo l’ultimo aggiornamento di Hrana, l’agenzia di stampa iraniana per i diritti umani, ammonterebbero a 508 le persone uccise durante le proteste divampate nel Paese, inclusi 69 bambini. Un dato impressionante, che si è aggiunto al numero di arrestati (oltre 18mila). Il report, peraltro, ha segnalato che al momento sono andate in scena più di 1.200 manifestazioni di contestazione in 161 città. I dati forniti dall’agenzia, per la cronaca, fanno riferimento al periodo dal 26 settembre al 7 dicembre.

Buon anno nuovo.

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