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Il clima sta cambiando, perché noi no?

Mercoledì c’è stata una discussione intorno alla mancanza di neve sull’Appennino fortemente emblematica. Il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini (nonché candidato favorito al congresso del Partito democratico) e l’assessore al Turismo Andrea Corsini hanno chiesto di sostituire i vecchi cannoni spara neve con modelli più evoluti: «Quelli che permettono di mantenere la neve artificiale anche a temperature più elevate», chiedono al governo. Fanno riferimento alle tecnologie che verranno utilizzate nel 2029 per l’appuntamento dei Giochi invernali in Arabia Saudita.

La preoccupazione di tutti, ministra Santanchè compresa, è che i turisti cancellino come stanno già facendo i propri appuntamenti per mancanza di neve e l’economia locale ne risenta pesantemente. Investimenti, mutui e liquidità sono le richieste degli operatori. Il tutto con il plauso del sindaco di Lizzano, Sergio Polmonari, lo stesso che qualche giorno fa negava il cambiamento climatico («Io credo poco a questi scienziati che guardano al futuro») e teorizzava un «complotto contro la montagna».

La politica che si interroga su come sparare neve su una montagna drammaticamente calda è l’immagine di quest’epoca. Affidata a un tecnologismo disperato (e disperante), osserviamo la classe dirigente del Paese che usa un cerotto per coprire un burrone mentre in tutti i settori economici l’innalzamento delle temperature sta interferendo con il naturale svolgimento degli affari. Seguendo lo stesso macabro principio dell’occuparsi solo degli effetti negando le cause si potrebbe rispondere all’allarme di ieri della Coldiretti (che avvisava della fioritura a gennaio di mimose e limoni) affidandosi a mele fabbricate in laboratorio o pane estratto dal polistirolo.

L’imbarazzante ignoranza della classe politica italiana di fronte alla crisi climatica è l’elefante nella stanza che nessuno vede mentre una ciurma di benpensanti si accapiglia sulle pene da infliggere agli attivisti che sottolineano l’allarme. Si giunge così al paradosso di un presidente del Senato come Ignazio La Russa (quello che da giovane manifestante guidava il corteo del “giovedì nero” a Milano che con un bomba uccise il poliziotto Antonio Marino a Milano) che strepita per la vernice lavabile seguito da moralisti di destra e di sinistra. Si va avanti così per giorni senza che le ragioni dell’atto non violento vengano nemmeno discusse.

C’è un muro di gomma di gomma che avrà bisogno di molto di più di un secchio di vernice per essere abbattuto. La questione della giustizia climatica è stata sventolata dai partiti ma non trova nessun riscontro nei fatti. L’ambientalismo è uno spazio politico che non trova dimora nei partiti mentre l’elaborazione politica è molto più avanzata nei movimenti. La macchia (quella sì, indelebile) è il dislivello tra la consapevolezza che c’è nella base del movimento ambientalista e le moine nei partiti. E anche la questione politica, come quella ambientale, prima o poi ci scoppierà in mano.
Buon giovedì.

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