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Per La Russa un figlio gay è una sciagura

“Se mio figlio mi dicesse di essere gay? Accetterei con dispiacere la notizia. Perché credo che una persona come me, eterosessuale, voglia che il figlio gli assomigli. Ma se non succede, pazienza”. L’ultima bestialità esce dalla bocca di Ignazio La Russa durante la registrazione della trasmissione Belve, intervistato da Francesca Fagnani. Per il presidente del Senato (che, ricordiamolo, è la seconda carica dello Stato) un figlio omosessuale “sarebbe un figlio che non mi assomiglierebbe. Sarebbe come se fosse milanista, è un paragone preciso quello che faccio”.

Dal busto di Mussolini in casa alle esternazioni omofobiche. Così La Russa sta macchiando la carica di presidente del Senato

Dura la vita di chi tutti i giorni si sveglia, sempre impegnato a creare scandalo con sprezzo del ridicolo per confermare quel suo fascino cavernicolo che tanto piace ai suoi elettori. La vera sfortuna in fondo è avere La Russa come padre, un padre che non riesce mai a essere all’altezza dei ruoli che ricopre, uno che parifica l’orientamento sessuale a una squadra di calcio, lasciando sottintendere – come fanno tutti gli omofobi – che l’omosessualità sia un vezzo, un’ossessione che non si riesce a frenare.

Nessun figlio meriterebbe di avere un padre con i busti di Mussolini a casa, come dice bene il deputato del Pd Alessandro Zan, ma soprattutto noi non meritiamo un presidente del Senato come Ignazio La Russa. Non meritiamo un politico che non riesce a spiccare se non per il suo essere inopportuno e comunque tronfio, non meritiamo il sorriso sardonico di chi si bea delle sue nefandezze dall’alto di uno scranno che gli consente di pronunciare frasi che al di fuori della politica lo renderebbero il più cretino del bar.

Come fa notare la presidente dei senatori Pd, Simona Malpezzi, La Russa “non è un semplice politico” (anche se qualche decennio fa la serietà dei politici sarebbe stata un prerequisito, ma ora è una battaglia persa): La Russa rappresenta il Senato italiano, e le sue parole “inaccettabili, offensive, divisive, stereotipate, sessiste” non sono un attacco al politicamente corretto. Come dice Malpezzi “si tratta di rispettare le istituzioni che si rappresentano e che noi continueremo a difendere”.

L’uscita di La Russa, sottolinea Fabrizio Benzoni, deputato di Azione-Italia Viva, “trasudano qualunquismo, superficialità e pregiudizio che non sono accettabili se ascoltate in una scuola, in un posto di lavoro, figurarsi quando vengono pronunciate dalla seconda carica dello Stato”. E questo è un problema innanzitutto politico e di gestione democratica delle istituzioni. A meno che tra i compiti del Senato ci sia la discriminazione, aggiunta in questo governo senza modifiche alla Costituzione.

C’è un punto interessante che sottolinea Fabrizio Marrazzo: “Se La Russa avesse detto che se avesse avuto un figlio ebreo, per lui sarebbe stato un dispiacere, con l’attuale Legge Mancino queste parole sarebbero potute essere utilizzate come elemento di discriminazione. Purtroppo, oggi non esiste una legge contro l’omofobia e quella di La Russa risulta come una libera espressione”.

Il punto sostanziale è sempre lo stesso: se Ignazio La Russa vuole continuare a fare il nostalgico agitatore di popolo lo faccia con la casacca del suo partito e non quelle delle istituzioni. Potrebbe essere semplicemente incapace di svolgere il suo incarico. Noi, a differenza sua, non lo derideremo e non ne gliene faremo una colpa. Se invece il suo scopo è quello di rendere potabile, con l’arma dell’ostentata e ciclica falsa simpatia, la discriminazione a uso comune sappia che troverà sempre chi puntualizzerà ogni volta, tutte le volte, le sue idiozie. Con tanta solidarietà per suo figlio.

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