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Riscrivere la storia dell’Antimafia. Ecco il vero piano delle destre

A loro non interessa la Commissione Antimafia. Quello è solo uno dei tanti orpelli che servono per corroborare la narrazione. E la narrazione sulla mafia di questo governo è spaventosa perché nega gli ultimi 30 anni di storia di questo Paese. L’elezione di Chiara Colosimo come presidente è l’ennesimo anello di una riscrittura generale della storia.

Colosimo in sella alla Commissione Antimafia è l’ultimo anello. La macchina della contronarrazione è già al lavoro

Accade in tutti i campi, figurarsi se poteva mancare un tema così sensibile come la criminalità organizzata su cui il centrodestra ha ancora molto da spiegare. Negare gli accadimenti e se possibile ribaltarli. Il primo passo consiste nel sotterrare le notizie: che un ex sottosegretario come Nicola Cosentino, uomo forte di Silvio Berlusconi in Campania e collega di governo di Giorgia Meloni, sia stato condannato in via definitiva come punto di riferimento politico dei Casalesi è passato sotto traccia.

Poco si è parlato anche dell’assoluzione di Roberto Saviano che fu querelato dall’attuale ministro Gennaro Sangiuliano per essere stato definito “galoppino” di quello stesso Cosentino. è solo una delle tante notizie sparite dai radar del dibattito pubblico: l’importante è tenere separata la mafia dalla politica per poterla normalizzare. È una lezione che conosciamo da decenni. È naturale che in uno scenario di questo tipo anche la riabilitazione di Marcello Dell’Utri (e il silenzio sul ruolo di Berlusconi) diventino un gioco da ragazzi.

A ricordaselo sono i giovani che sfilano a Palermo che vorrebbero urlarlo al sindaco Lagalla e al governatore Schifani. Non c’è problema, basta manganellarli. L’altro ieri in Aula il senatore Maurizio Gasparri ha mostrato le coordinate del revisionismo: “C’è chi ha concretizzato l’opera e l’azione di Falcone e chi lo ha contrastato da vivo e lo ha celebrato da morto. E anche su Borsellino, c’è chi ha archiviato l’inchiesta su mafia e appalti, ci sono le firme. Eh, lo so, ce ne sono anche in quest’Aula…”. Il riferimento è chiaro: il campione dell’antimafia sarebbe Berlusconi e il nemico di Borsellino dovrebbe essere l’ex magistrato Roberto Scarpinato, oggi senatore del Movimento 5 Stelle. Anche questo è un veleno che circola da tempo. Per svilire l’antimafia basta delegittimare i simboli.

Peccato che proprio su questa vicenda siano stati condannati per diffamazione lo scorso febbraio i giornalisti Piero Sansonetti e Damiano Aliprandi. Il reato? Lesione della reputazione dello stesso Scarpinato e del magistrato Guido Lo Forte accusati di avere “affossato” un’inchiesta che invece non è mai stata archiviata. La narrazione di questa maggioranza però della verità storica e perfino della verità processuale se ne frega. Quello che conta è occupare i posti per moltiplicare le voci che spandono menzogne.

Così 31 anni dopo accade serenamente che si possa definire il maxi processo istruito da Falcone e Borsellino come simbolo della “perversione di un sistema giurisdizionale trasfigurato in missione sociale, l’aberrazione dell’azione penale che esporta l’ordine costituzionale e la legalità andando a strascico nel territorio-canaglia”. Lo scrive il “riformista” sito de Linkiesta – mica Libero o Il Giornale – spiegandoci che Falcone ”pur in perfetta buona fede, e pur dedicandovisi al costo della vita ebbe del proprio ruolo un’idea molto discutibile: e della giustizia in generale un concetto missionario in nome del quale magari si è fatto male alla mafia, ma sicuramente non si è fatto bene a quel che si dice lo Stato di diritto”. La narrazione anti-anti-mafiosa è servita.

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