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Accoglienza al collasso: un Report certifica il fallimento sistemico di uno Stato senza strategia

L’accoglienza in Italia è allo stremo. Non per un’improvvisa emergenza migratoria, non per un’impennata di arrivi, ma per una gestione volontariamente inefficace, che ha reso strutturale l’eccezione e precaria ogni forma di tutela. Il rapporto “Centri d’Italia – Accoglienza al collasso”, realizzato da ActionAid e Openpolis, traccia un quadro in cui il sistema di accoglienza è lasciato senza programmazione, senza controlli e con servizi ridotti al minimo.

Il decreto 20/2023 ha introdotto un nuovo schema di capitolato per i centri di accoglienza, ma la sua attuazione è arrivata con un anno di ritardo. Nell’attesa, il 71% dei bandi è stato assegnato con affidamenti diretti, pratica meno trasparente e più esposta a clientele e malagestione. Il Ministero dell’Interno non monitora i centri temporanei, lasciando che proliferino strutture prive di servizi essenziali.

La degenerazione del sistema: numeri e scelte politiche

Il 68,3% dei posti nel sistema di accoglienza è occupato dai CAS, strutture che dovrebbero essere “straordinarie” ma che rappresentano ormai la norma. Tra il 2022 e il 2023, la capienza dei centri con oltre 300 posti è aumentata del 360%, mentre l’accoglienza diffusa è stata progressivamente smantellata. Al Nord prevalgono centri più piccoli e distribuiti, al Sud dominano grandi strutture, spesso sovraffollate e senza possibilità di inclusione sociale.

L’assistenza per le persone vulnerabili è quasi inesistente. Sono stati azzerati i servizi di orientamento legale, supporto psicologico e corsi di lingua italiana. Nel 2023, oltre 700 minori stranieri non accompagnati sono stati collocati in strutture per adulti, in aperta violazione delle norme di tutela.

Opacità e abuso dell’emergenza

La trasparenza è un miraggio. L’ultima relazione ufficiale del Viminale sul sistema di accoglienza risale al 2021. L’accesso ai dati è ostacolato sistematicamente: quando richieste di accesso agli atti vengono inoltrate, il ministero si limita a negare informazioni o a rinviare alle singole prefetture, che a loro volta forniscono dati lacunosi o inesistenti. Il risultato è un sistema impenetrabile, in cui l’assenza di controlli permette la proliferazione di irregolarità.

Centri temporanei: accoglienza senza accoglienza

Nel 2023 sono stati introdotti i centri di accoglienza temporanei, strutture che forniscono solo vitto, alloggio e assistenza sanitaria minima. Non esiste alcun servizio sociale e, secondo il ministero, nemmeno un sistema centrale di monitoraggio. Eppure, i costi per ospite risultano spesso più alti rispetto ai CAS, a fronte di un’assenza totale di servizi per l’integrazione.

Il ministero sostiene che questi centri siano solo di passaggio, ma non esistono dati su quanti ospiti vi transitino e per quanto tempo. L’assenza di informazioni ufficiali è la più chiara dimostrazione della loro funzione reale: depositi umani senza futuro né prospettiva, dove le persone vengono trattenute nel limbo dell’irregolarità forzata.

Trattenimento e deportazioni: il modello albanese

L’accoglienza italiana non è più tale. È un sistema punitivo in cui il trattenimento amministrativo si sovrappone sempre più all’accoglienza. Nel 2023, il 39% delle persone ospitate nei centri Sai proveniva da paesi considerati “sicuri”, ma l’idea che questi migranti non abbiano diritto alla protezione è smentita dai numeri: migliaia di loro ottengono l’asilo o una forma di protezione. L’accordo con l’Albania è la naturale evoluzione di questo approccio: un sistema pensato non per proteggere, ma per allontanare, delegare, rimuovere il problema dalla vista.

Conclusione: un fallimento annunciato

L’accoglienza in Italia non è in crisi. È stata deliberatamente trasformata in un sistema disfunzionale. Si crea emergenza dove non c’è, si smantella ogni infrastruttura di integrazione e si favorisce l’inefficienza come strumento di deterrenza. L’unico risultato certo è una spesa pubblica più alta per un sistema che garantisce meno diritti e più precarietà. Chi ci guadagna Di certo non le persone migranti, né le comunità locali, né la collettività. Il caos, evidentemente, è un affare per qualcuno.

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