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Giulio Cavalli

I veri pacifinti sono quelli della Lega

Hai voglia a dire “pacifinti”, il termine dispregiativo coniato dalla furia bellicista che si abbevera con i conflitti armati in giro per il mondo. Nella distorsione di notizie che accompagna il dibattito politico e pubblico fin dall’invasione russa in Ucraina c’è una partito che riesce nella mirabile impresa di risultare belligerante quanto basta per piacere a Giorgia Meloni e che con l’altra mano incassa (anche) il sostegno di chi crede nella pace: è la Lega di Matteo Salvini. Un’analisi dell’Istituto demoscopico Noto Sondaggi condotta per Repubblica dice che dopo il Movimento 5 stelle è il Carroccio a incassare i voti di coloro che vorrebbero la pace. O meglio: che si definiscono pacifisti. 

Infatti per circa 1/3 degli elettori è il partito di Conte a essere ritenuto più vicino a questa ideologia, per uno su cinque è invece la lista Alleanza Verdi Sinistra a esprimere posizioni più in linea, solo l’11% riconosce nel Pd una forte dose di “pacifismo” ma il 10% vede nella Lega il partito che intercetta anche questo mondo e che dunque diventa la forza di governo più vicina. E anche nelle intenzioni di voto la Lega si conferma tra i partiti con maggiore attrazione dopo Il M5s (con il 40%) e il Pd (14%). 

I veri pacifinti sono quelli della Lega

Con il partito di Salvini così in alto nelle posizioni si conferma che il concetto di pacifismo è ormai piuttosto deteriorato. Che il sovranista Salvini possa essere considerato parte della filosofia nata dal premio Nobel Ernesto Teodoro Moneta nel 1907, poi sviluppata da Gandhi e quindi ispiratrice della politica di Martin Luther King è una delle fotografia di questo tempo, dove sotto l’ombrello del pacifismo vengono messi gli intellettuali della non violenza e del disarmo insieme agli arruffoni della propaganda elettorale. Il partito di Salvini a livello nazionale ha approvato i principali decreti-legge presentati dal governo Draghi e poi del governo Meloni, insieme alle risoluzioni e agli ordini del giorno legati al conflitto. Anche al Parlamento europeo, i rappresentanti della Lega hanno approvato le principali risoluzioni relative al conflitto, compresi i pacchetti di sanzioni contro la Russia. Se ha parlato di pace Salvini l’ha fatto solo per guastare o sabotare l’atleta Meloni, come a gennaio di quest’anno quando in Senato il capogruppo Massimiliano Romeo chiedeva un maggiore impegno per la soluzione diplomatica del conflitto parlando di stanchezza dell’opinione pubblica. Quel testo è stato infine modificato togliendo quel passaggio e i passaggi più scettici sullo scenario del conflitto. 

Il cosiddetto pacifismo di Matteo Salvini (che a differenza di altri pacifisti non sembra riconoscere mai apertamente le responsabilità ad esempio di Vladimir Putin) sembra più un volersi nascondere tra le pieghe dei conflitti in corso per lucrare sulle posizioni degli avversarsi e degli alleati che ha intenzione di logorare. Perfino l’odiato Papa Francesco, spesso citato dal ministro dei Trasporti come simbolo di decadenza della Lega, gli torna utile per non essere costretto a usare parole sue. 

Le contraddizioni sul pacifismo dei partiti è un tema molto dibattuto. Nel Pd qualcuno sottolinea la sostanziale differenza di approccio tra l’ala più vicina alla segretaria Schlein e quella che appoggia l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, poco diverso dall’attuale ministro Crosetto. Nella nuova formazione di Michele Santoro (che nasce con il pacifismo al primo punto del programma) alcuni criticano l’ambigua posizione verso la Nato. Nel M5s si sottolinea l’equidistanza tra Biden e Trump, sottolineando come il secondo con la violenza abbia tentato di rovesciare il risultato delle elezioni. Il tema è complesso, il pacifismo di Salvini proprio per niente. 

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Gli ultimi complicati giorni della libertà di stampa in Italia

“Un’altra ferita all’articolo 21 della Costituzione e alla libertà di stampa”. Non usano perifrasi il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Bartoli e la segretaria generale della Federazione nazionale della Stampa italiana, Alessandra Costante in merito alla vicenda del collaboratore de Il Mattino di Padova Edoardo Fioretto che venerdì si trovava a Palazzo Zabarella, a Padova insieme agli attivisti di Ultima generazione che avevano annunciato un’azione dimostrativa. Il cronista è stato trattenuto in Questura per quattro ore senza sapere quale fosse la motivazione, gli è stato impedito di comunicare con i legali del giornale e non ha potuto usare il suo telefono. Alle 20 è stato rilasciato senza nessun verbale di contestazione. 

“Come giustificazione non si può accettare quella del mero errore. – scrivono oggi Cnog e Fnsi – La vicenda di Edoardo Fioretto ricorda troppo da vicino un altro caso: a Messina, all’inizio di novembre, un altro giornalista che stava documentando le azioni di Ultima Generazione era stato fermato e portato in questura, sottoposto a perquisizione e trattenuto alcune ore”. Bartoli e Costante hanno chiesto un incontro urgente al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per chiedere “garanzie che il diritto di cronaca venga sempre garantito, anche dalle forze dell’Ordine”. 

Gli ultimi complicati giorni della libertà di stampa in Italia

Negli stessi giorni sempre in Veneto, a Venezia, alla televisione di Stato è stato impedito di riprendere il dissenso. Come racconta l’associazione per la libertà di stampa Articolo 21 la troupe Rai aveva pensato di poter documentare una protesta organizzata da un comitato per il diritto alla casa in Comune, “un posto dove il sindaco ha dato ordine di issare la bandiera israeliana nonostante la protesta dopo le stragi di Gaza. Il comitato aveva osato alzare la voce contro la politica del Comune – spiega Articolo 21 – che non sta aiutando le famiglie a restare in città, gioiosamente trasformata in un divertimentificio a uso dei turisti. Quando la troupe si è avvicinata per filmare un gruppo di funzionari di polizia si è avvicinato impedendo il lavoro dei giornalisti”. 

È di pochi giorni fa anche la protesta dei giornalisti Rai. Con un comunicato letto alla fine delle edizioni serali di Tg1, Tg2 e Tg3, le redazioni delle testate Rai hanno espresso il proprio punto di vista contro una “maggioranza di governo ha deciso di trasformare la Rai nel proprio megafono”, come recita il comunicato UsiGrai, che contesta le nuove norme sulla par condicio volute dal governo.  “Questa non è la nostra idea di servizio pubblico, – ha scritto Usigrai – dove al centro c’è il lavoro delle giornaliste e dei giornalisti che fanno domande (anche scomode) verificano quanto viene detto, fanno notare incongruenze. Per questo gentili telespettatori vi informiamo che siamo pronti a mobilitarci per garantire a voi un’informazione indipendente, equilibrata e plurale”. 

Due giorni fa le condizioni della stampa in Italia sono finite anche in apertura del sito Reporters sans frontières che ha dedicato l’apertura del sito al “Divieto di esercitare la professione di giornalista” in Italia a causa dell’ultima proposta di elevare sanzioni pesanti nei casi di contestata diffamazione con un emendamento del meloniano Berrino che prevede addirittura il carcere. La Federazione europea dei giornalisti (Efj) ha parlato di “una deriva orwelliana particolarmente pericolosa, che ricorda i tempi bui dell’Italia fascista”. Oggi Fratelli d’Italia ha dichiarato di voler ritirare gli emendamenti. Ma il segnale è chiaro. Questi sono solo gli ultimi giorni, questa è l’aria greve che si respira. 

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Le contemporanee recensisce I mangiafemmine

Che succederebbe se domattina vi svegliaste e scopriste che la Presidenza del Consiglio, onde arginare il problema sociale da esso rappresentato, avesse deciso di legalizzare nientepopodimeno che il femminicidio? 
Lo ha immaginato Giulio Cavalli nel suo ultimo romanzo uscito l’anno scorso e intitolato “I Mangiafemmine”.

La storia, una distopia ambientata in un Paese senza nome ma dagli inconfodibili cliché socio-culturali, è attuale a livelli inquietanti.

Si svolge in piena campagna elettorale dove un Ministro ambisce a vincere, nel frattempo i femminicidi si susseguono, le femministe urlano furenti e le domande della gente (in primis dei giornalisti) si fanno sempre più pressanti: che intenderà fare il nuovo governo? Perché non affronta di petto la questione dei femminicidi? Perché sembra eludere il problema tramite benaltrismo e svicolamenti vari?

Il Ministro se ne infischia delle donne, vive o uccise che siano, vuole solo vincere le elezioni. Ripiega quindi sulla retorica populista, su recriminazioni maschiliste e risposte sarcastiche e sessiste.
Poi, inaspettatamente per l’elettorato, viene eletta una donna, una donna di destra, palesemente manipolabile, ignorante e inadatta al ruolo che ricopre. La Presidente annuncia di voler legalizzare il femminicidio equiparandolo ad attività venatoria e pulizia di genere: una donna vuole lasciare il marito? Va eliminata in quanto storta. Una donna è vecchia e pesa sui figli? Va eliminata in quanto scarto. Un’amante rischia di rappresentare un pericolo per l’uomo sposato con cui ha una relazione? La si elimina per salvare il sacro vincolo del matrimonio di lui.

La legge è lacunosa al punto giusto, caratteristica analoga anche nel nostro, di Paese. Si stabilisce un metodo di eliminazione-esecuzione: quello usato per abbattere gli ovini. Inoltre si stila un elenco approssimativo per appianare un tragico gap: visto che nel Paese le donne sono in numero maggiore (e noi non siamo sessisti) eliminiamo il surplus tramite pratiche venatorie! Come si andasse a caccia, così i femminicidi si ridurranno di conseguenza. Sì sa, dopotutto, che gli uomini sono geneticamente più propensi alla caccia, no? Bisogna pur conviverci! Una volta finito di leggerlo, il libro lascia un gran senso di inquietudine e molte questioni. Probabilmente il femminicidio non verrà mai legalizzato e infiocchettato come soluzione al sessismo sistemico – la Storia comunque insegna che le possibilità lunari possono realizzarsi se affiancate dalle opportune condizioni – ma è anche vero che possedere zero tutele, o peggio, delle leggi non applicate, oltre ad approssimazioni giudiziarie, non è tanto distante nei risultati finali. 

Forse leggerlo in anticipo potrebbe smuovere la coscienza collettiva. Anche riguardo chi ci governa e sostiene di lavorare nei nostri interessi che, ribadiamolo, dovrebbero innanzitutto voler prevenire la violenza maschile contro le donne.

(fonte)

La battaglia di Valditara contro le feste “non riconosciute”

Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara insiste: “non sarà più possibile chiudere una scuola in occasione di una festività non riconosciuta dallo Stato”, ha annunciato ieri a Varese, ospite della festa della Lega che ha stancamente festeggiato i suoi 40 anni. Secondo il ministro ci sarebbe un “provvedimento in dirittura d’arrivo”. Inevitabili gli applausi dei sovranisti. Nel mirino ovviamente c’è la fantomatica scuola di Pioltello che ha deciso di rimanere chiusa il 10 aprile, giorno di chiusura del Ramadan, per evitare di lasciare la classe sguarnita. 

Sul caso della scuola “Iqbal Masih” di Pioltello già il ministro dei Trasporti e leader della Lega Matteo Salvini aveva detto che “è giusto spiegare ai bambini di ogni etnia, di ogni religione, quanto è bello conoscerci. Però siamo in Italia. Quindi occorre la reciprocità: non penso che in nessun Paese islamico chiudano per il Santo Natale o per la Santa Pasqua”. Il ministro Valditara fiutando l’aria ha voluto cavalcare la propaganda del collega ministro per scaldare i cuori dei leghisti presenti annunciando una legge. C’è un piccolo problema: un’eventuale riforma del genere è molto più complessa della propaganda. 

Valditara alla festa della Lega: “il provvedimento è in dirittura d’arrivo”. Ma dimostra di non conoscere la Costituzione

Il primo fondamentale punto è che la scuola di Pioltello non ha in nessun modo voluto celebrare una festa di altre religioni. Ogni anno il Ministero dell’Istruzione, con un’ordinanza, definisce il calendario delle festività nazionali, che vengono rispettate da tutte le scuole di ogni ordine e grado. L’unica festività di tipo locale è quella del Santo Patrono, differente per ogni comune. Allo svolgimento delle lezioni sono assegnati almeno 200 giorni per garantire la validità dell’anno scolastico. Su questi limiti ogni Regione elabora poi un proprio calendario scolastico con una data di inizio e di fine lezioni, i giorni di chiusura per feste natalizie e pasquali e eventuali chiusure. Infine ogni istituto – ed è qui che vorrebbe intervenire il ministro Valditara – può decidere di discostarsi per poche giornate, garantendo il numero complessivo dei giorni di lezione e rispettando le indicazioni nazionali e regionali. Si tratta dell’attuazione della legge 59 del 1997 sull’autonomia scolastica stabilita dall’articolo 33 della Costituzione italiana. 

Ricapitolando: il ministro Valditara parla di “festività non riconosciute” che nulla centrano con la decisione delle scuole di chiudere eventualmente i propri istituti e annuncia di aver un provvedimento in dirittura di arrivo che dovrebbe essere una riforma costituzionale, con tutto quello che comporta in termini di iter legislativo. La scuola di Pioltello ha adottato la decisione della chiusura della scuola nell’ambito del quadro giuridico riconosciuto dalle leggi e dalla Costituzione. L’istituto scolastico ha definito il calendario delle lezioni in relazione a esigenze concrete della propria comunità scolastica e senza introdurre una festività ulteriore rispetto a quelle fissate a livello centrale ma semplicemente sfruttando la propria autonomia per evitare assenza che avrebbero interferito con il programma scolastico. 

Ci altri due aspetti non secondari. Non sono “feste riconosciute” nemmeno il cosiddetto martedì grasso che corrisponde alla chiusura delle scuole e non sono “feste riconosciute” nemmeno i giorni di ponte che abitualmente collegano il Natale al Capodanno. Infine c’è l’avversione (inutile, come abbiamo visto) alle altre fedi religiose e tradizioni. Quest’ultima è una pratica che non ha nulla a che vedere con le leggi ma è molto di questo tempo e di questo governo e si chiama razzismo. 

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Spesa sanitaria come esempio: la realtà e il percepito.

Il nuovo Documento di economia e finanza presentato dal governo guidato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni c’è scritto nero su bianco che nel 2023 la spesa sanitaria è stata più bassa rispetto a quanto previsto dal governo Meloni. Il calo rispetto al 2022 c’è stato anche nel rapporto tra spesa sanitaria e Prodotto interno lordo (Pil): si è infatti passati dal 6,7 per cento al 6,3 per cento. La spesa sanitaria è passata dai 131,7 miliardi del 2022 a 131,1 miliardi, calando anche in rapporto al Pil. 

È interessante notare però come i membri dei partiti di maggioranza, del governo e perfino Giorgia Meloni abbiano sempre ripetuto (e insistono ancora) che non c’è nessun calo, convinti evidentemente di poter piegare i numeri alla propaganda. In una democrazia funzionale e matura la compagine governativa potrebbe semplicemente spiegare ai cittadini quali siano le le cause della contrazione della spesa sanitaria, senza perdere tempo e autorevolezza insistendo su un’affermazione falsa.

A colpire è soprattutto il senso di impunità di chi è convinto di poter imporre una bugia nel dibattito pubblico – sicumera dai connotati berlusconiani – senza avere nessun timore della smentita certificata dalle cifre. Il cosiddetto “controllo della stampa” sta tutto qui, nella consapevolezza di avere accesso alle leve che potranno inquinare il sistema informativo trasformando il giornalismo in narrazione che contribuisce al percepito. Così alcuni lettori di centrodestra oggi sono convinti che la spesa sanitaria sia aumentata e che i numeri facciano sporca propaganda.

Buon lunedì. 

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La pericolosa deriva orwelliana del governo

Sentite cosa ha scritto la Federazione europea dei giornalisti (Efj) sulla proposta del carcere per i giornalisti, sta tutto qui: “Si tratta di una deriva orwelliana particolarmente pericolosa, che ricorda i tempi bui dell’Italia fascista”, ha dichiarato sempre a LaPresse Ricardo Gutiérrez, segretario generale dell’Efj. “Si tratta semplicemente di criminalizzare l’esercizio del giornalismo in Italia e di imporre un’autocensura generalizzata. Il diritto di accesso alle informazioni dei cittadini italiani sarebbe completamente compromesso qualora tali disposizioni venissero adottate”.

Per l’Efj la proposta del carcere per i giornalisti è “una deriva orwelliana particolarmente pericolosa, che ricorda i tempi bui dell’Italia fascista”

L’Efj è la più grande organizzazione di giornalisti in Europa, che rappresenta oltre 320.000 cronisti, con 73 membri in 45 Paesi. “Confondere diffamazione e notizie false è il culmine della perversità”, ha detto ancora Gutiérrez. “Lo strumento definitivo di censura che consentirà a chi è al potere di incarcerare i giornalisti che servono l’interesse pubblico denunciando gli eccessi di chi è al potere. Come principale organizzazione rappresentativa dei giornalisti in Europa, siamo sconvolti da tali proposte. Non avremmo mai pensato di arrivare a un delirio così liberticida, degno delle peggiori dittature“. E ancora: “Questi tentativi di imporre la censura legale vanno completamente contro gli standard legali europei sulla libertà di stampa, basati sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Queste proposte sono del tutto contrarie anche al nuovo regolamento europeo sulla libertà di stampa, che entrerà automaticamente in vigore nei prossimi mesi. Con tali proposte la maggioranza di governo italiana si autoesclude dall’Europa dei diritti umani e dall’Unione europea“.

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Netanyahu ha deciso di rispondere all’attacco dell’Iran

Israele non ha intenzione di colpire l’Iran dopo l’attacco della notte scorsa. Lo ha detto un portavoce dell’esercito israeliano (Idf) durante una conferenza stampa. “Siamo pronti e all’erta, valutiamo ogni scenario e al momento non abbiamo intenzione di estendere le nostre operazioni militari” ha detto Daniel Hagari. Lo stesso Hagari ha però specificato che sono stati approvati piani “operativi sia offensivi che difensivi”.

Il Times of Israel racconte che dopo diverse ore di discussione il gabinetto di guerra israeliano deve ancora decidere come e quando rispondere all’attacco. Che i ministri abbiano sospeso le discussioni senza una decisione lo riferisce anche riferisce il notiziario Channel 12. Secondo numerosi resoconti dei media ebraici, il ministro del gabinetto di guerra Benny Gantz e il suo collega del partito di Unita’ Nazionale Gadi Eisenkot, un osservatore nel gabinetto di guerra, hanno entrambi proposto di reagire all’Iran mentre l’attacco iraniano era ancora in corso. Questo suggerimento è stato fermamente contrastato dal ministro della Difesa Yoav Gallant, dal capo dell’Idf Herzi Halevi e da altri in parte a causa della difficolta’ di intraprendere un’azione simultanea quando l’aviazione era concentrata sull’intercettazione dei missili e dei droni iraniani in arrivo.

Il Gabinetto di guerra israeliano approva piani “operativi sia offensivi che difensivi”

Successivamente, quando il successo dei sistemi di difesa aerea israeliani è stato evidente ed è stato chiaro che l’attacco iraniano aveva causato pochi danni, e dopo che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva parlato con il primo ministro Benjamin Netanyahu, l’idea di una risposta israeliana immediata è stata accantonata. La posizione di Netanyahu nelle discussioni sui tempi e sulla natura di una risposta israeliana non è chiara. Channel 12 afferma che gli Stati Uniti non hanno cercato di porre il veto su alcuna risposta israeliana, ma che hanno detto a Israele di voler conoscere in anticipo qualsiasi reazione. Gli Stati Uniti hanno pubblicamente chiarito che non parteciperanno ad alcuna risposta israeliana. Channel 12 sostiene inoltre che Israele sta cercando di verificare se, in cambio di moderazione, pu’ raggiungere una sorta di “patto strategico” con gli Stati Uniti contro l’Iran, senza dover prendere impegni su questioni come la questione palestinese.

Due funzionari Usa hanno detto ai giornalisti che gli Stati Uniti non parteciperanno ad un eventuale contrattacco israeliana contro l’Iran. Il capo della Cia William Burns avrebbe telefonato al capo dell’intelligence turca Ibrahim Kalin per chiedere la mediazione di Ankara. Il G7 si è riunito d’urgenza, sollecitato dagli Stati Uniti e convocato dalla presidente di turno Giorgia Meloni, e dopo poco meno di un’ora di confronto produce una dichiarazione in cui si ribadisce il “pieno sostegno alla sicurezza” a Tel Aviv e si lancia un appello “per porre fine alla crisi a Gaza attraverso la cessazione delle ostilità e il rilascio degli ostaggi da parte di Hamas”. Sono formule diplomatiche all’insegna dell’equilibrio che però esplicitano tutte le urgenze geopolitiche dell’area, dove la tensione è salita ulteriormente di livello dopo l’offensiva del regime degli ayatollah. C’erano tutti i leader, inclusi quelli Ue (Ursula von der Leyen e Charles Michel) e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, collegato dalla Cina dove è appena arrivato per una visita di tre giorni. Gli intenti diplomatici sono allineati, anche se Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno avuto anche un ruolo operativo al fianco di Israele per “sconfiggere” la pioggia di “centinaia di droni e missili” scatenata da Teheran, come ricorda anche la dichiarazione congiunta finale.

Il G7 (e Tajani) provano a smorzare. I bellicisti fomentano mezze verità e omissioni piene

E mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani invita alla prudenza intravedendo “segnali incoraggianti” nelle dichiarazioni del G7 e nella volontà espressa dall’Iran di non procedere con ulteriori attacchi il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti anticipa il profluvio di bellicisti che compariranno nei prossimi giorni. “Di fronte all’attacco dell’Iran a Israele non si può stare che da una parte sola, dalla parte di Israele ovviamente che non solo ha il diritto a difendersi ma anche a rispondere a quelli che sono veri e propri attacchi alla propria esistenza e incolumità”, ha detto Toti in una diretta Facebook. “Tutto questo – aggiunge Toti – non ci deve far scordare alcune cose essenziali, la prima è che la crisi in Medio Oriente è partita dall’attacco violentissimo portato da Hamas contro civili israeliani durante i negoziati di pace, che qualcuno non vuole”. Solo che nella foga di ricordarci tutto Toti si è scordato di ricordarsi del bombardamento israeliano su Damasco del 21 febbraio scorso. Per soffiare sulla guerra del resto si ha sempre bisogno di mezze verità e omissioni piene

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New Times: Biden ha convinto Netanyahu, nessuna risposta all’Iran

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annullato un attacco di ritorsione immediato a quello subito dall’Iran nella notte dopo essere stato dissuaso dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Lo scrive il New York Times, sottolineando che diversi membri del gabinetto di guerra avevano chiesto a Netanyahu di rispondere subito. Ma la mancanza di gravi danni in Israele e il colloquio tra Biden e Netanyahu hanno fatto sì che la rappresaglia non avesse luogo nell’immediato.

“Il presidente voleva congratularsi con il premier Netanyahu per un incredibile risultato militare, il primo ministro era molto grado per il supporto che il presidente ha offerto e dimostrato in sostegno di Israele”, ha spiegato John Kirby, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, intervistato dalla Cnn. Alla domanda se veramente Biden abbia detto a Netanyahu che gli Usa non erano disposti a sostenere una risposta israeliana all’attacco di Tehran Kirby non ha confermato, o negato, questa ricostruzione, ma ha ribadito che l’amministrazione Biden “non crede” che dopo l’attacco dell’Iran ad Israele un allargamento del conflitto sia inevitabile “né crede che debba essere”. “Quasi tutto quello che ha fatto il presidente dall’inizio, sin dal 7 ottobre, è stato favorire la de-escalation, cercare di limitare le opportunità di una più ampia guerra regionale”, ha aggiunto. Riguardo al colloquio con Netanyahu, Kirby ha sottolineato che “il presidente ha messo in chiaro che l’autodifesa di israele è qualcosa che prendiamo seriamente e continueremo a prendere seriamente”.

Secondo il Ny Times Benjamin Netanyahu ha annullato un attacco di ritorsione immediato a quello subito dall’Iran nella notte dopo essere stato dissuaso dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden

Josep Borrell, alto Rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, ha annunciato sul suo account X di avere convocato per martedì una riunione straordinaria in videoconferenza dei ministri degli Affari esteri dell’Unione europea. “Il nostro obiettivo – ha detto il rappresentante Onu – è contribuire a una de-escalation e alla sicurezza della regione”. Nelle scorse ore Borrell aveva “condannato gli attacchi inaccettabili dell’Iran contro Israele”, scrivendo, sempre su X, che “questa è un’escalation senza precedenti e una grave minaccia per la sicurezza della regione”. E’ invece convocata per le 22 ora italiana la riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, come comunicato da un portavoce del governo maltese, che ha la presidenza di turno.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ospite di ‘In mezz’ora’ su Rai Tre si è augurato che “prevalga il buonsenso”. “Vedremo quale sarà la reazione del governo israeliano, – ha detto il titolare della Farnesina – credo che siano ancora riuniti e speriamo che prevalga anche a Tel Aviv il buon senso, perché ormai c’è stata la vittoria militare. E credo che si possa chiudere con questo successo militare israeliano questa vicenda. Fermo restando che si continuerà a combattere nel nord di Israele, al sud del Libano: ci saranno ancora scambi di lanci di missili tra Hezebollah e truppe israeliane al nord, ma mi auguro che non ci siano più conflitti diretti tra Israele e Iran”.

Intanto nel conflitto si inseriscono anche gli Houti, che hanno da tempo aperto un altro fronte sul Mar Rosso. Un portavoce dei ribelli yemeniti houthi ha definito “legittimo” l’attacco dell’Iran contro Israele, considerandolo una risposta per i raid contro il consolato di Teheran a Damasco. Lo riporta Al Jazeera. Il portavoce ha aggiunto che gli houthi ormai controllano la gran parte dello Yemen del nord e si sono scontrati direttamente con Israele dopo l’inizio della guerra a Gaza, attaccando il porto israeliano meridionale di Eilat con missili e droni e impedendo alle navi israeliane di navigare attraverso il Mar Rosso.

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Strage di Cutro, i mancati salvataggi dettati dalla politica

Un nuovo documento racconta la realtà che molti sospettavano: è la politica a decidere discrezionalmente un eventuale intervento della Guardia costiera che fino ad allora usciva per operazioni di salvataggio senza nessuna interferenza e in modo indipendente rispetto alle altre forze di polizia. La mail firmata dal capitano di vascello Gianluca D’Agostino, capocentro operativo nazionale e dell’ Imrcc ( il centro di ricerca e soccorso della guardia costiera) e inviata a tutte le capitaneria è stata mostrata in esclusiva dalla trasmissione Rai “Il cavallo e la torre” condotta da Marco Damilano e risale al 27 giugno 2022 quando al Viminale sedeva la ministra Luciana Lamorgese affiancata dal viceministro leghista Nicola Molteni.

“A seguito di tavoli tecnici interministeriali – scrive D’Agostino – sono state impartite dal livello politico alcune disposizioni tattiche per gli assetti della Guardia di finanza che, di fatto, in parte impongono alcune riflessioni sul nostro modus operandi. A far data dalla presente, le attività di intervento delle unità navali della Guardia costiera, in caso di eventi connessi al fenomeno migratorio, si dovranno sviluppare nel rispetto dei seguenti parametri”. Nella mail si precisa che gli interventi della Guardia costiera dovranno avvenire “solo dichiarando evento Sar”, ovvero solo su diretta indicazione del centro di ricerca e soccorso di Roma.

La trasmissione “Il cavallo e la torre” mostra un documento che imputa a Roma i mancati salvataggi

È quello che è accaduto nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 quando la segnalazione di un’imbarcazione nei pressi di Steccato di Cutro diede il via all’uscita della Guardia di finanza (e quindi a un’operazione di polizia, non di salvataggio) che dovette fare rientrare la sua imbarcazione per le difficili condizioni di navigazione. Guardia costiera e Guardia di finanza sapevano da sei ore di quel caicco in difficoltà avvistato dall’aereo Eagle 1 di Frontex, ma i soccorsi in mare non sono mai partiti. Alla fine furono 94 i morti accertati (26 sono donne e 34 bambini) oltre ad almeno 11 dispersi. Pochi giorni dopo la strage fu il comandante della Guardia costiera di Crotone Vittorio Aloi a parlare di Guardia di finanza che doveva “intervenire per prima”. “Abbiamo operato  – disse Aloi spiegando che quelle persone avrebbero potuto essere salvate- secondo le nostre regole di ingaggio che non promanano neanche dal nostro ministero ( quello delle Infrastrutture e trasporti) ma da quello dell’Interno. Ci sarebbe bisogno di specificare molte cose, dovreste conoscere le regole che ci sono a livello interministeriale”. Aloi è stato trasferito ad altro incarico e non ha mai chiarito quelle sue parole che oggi trovano conferma in un documento ufficiale. Per quell’incidente sono indagati sei ufficiali, tre della Guardia di finanza e tre della Guardia costiera. I reati ipotizzati sono l’omissione di soccorso e il disastro colposo. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni negò in Parlamento che l’Italia fosse stata avvisata dell’imbarcazione in difficoltà. Disse il falso. E ora sappiamo che la politica decideva se le persone dovessero essere salvate.

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Missili e droni nella notte su Israele. Mobilitati Onu e G7

Sono 350 missili e centinaia di droni lanciati dall’Iran quelli che nella notte sono piovuti su Israele. L’Idf (le forze di difesa israeliane) confermano di avere intercettato “il 99% delle minacce verso il territorio israeliano”. “Questo è un risultato strategico molto importante”, ha affermato il portavoce dell’IDF Avichay Adraee. Secondo Israele, “dei circa 170 droni lanciati dall’Iran, nessuno di loro è riuscito a penetrare nello Stato di Israele, poiché gli aerei da guerra dell’aeronautica militare e i sistemi di difesa aerea nostri e dei nostri alleati ne hanno intercettati dozzine. Degli oltre 30 missili da crociera lanciati dall’Iran, nessuno è penetrato nel territorio israeliano”.

350 missili e centinaia di droni lanciati dall’Iran quelli che nella notte sono piovuti su Israele. il 99% è stato intercettato e respinto

SecondoTimes of Israel nell’area di Arad, nel sud di Israele, una bambina di sette anni sarebbe in gravi condizioni dopo essere stata colpita da alcune schegge in seguito all’intercettazione di un drone. Il servizio di emergenza di Magen David Adom (MDA) ha dichiarato che sono in totale 31 le persone  soccorse per avere subito ferite lievi. Insieme agli Stati Uniti e ad altri partner siamo riusciti a difendere il territorio dello Stato di Israele. Sono stati causati pochissimi danni. Questo è il risultato delle impressionanti operazioni dell’esercito”, ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant.

In mattinata l’Iran ha fatto appello a Israele attraverso la sua rappresentanza di Teheran presso le Nazioni Unite a New York dichiarando la questione “chiusa”. “Ma se il regime israeliano commetterà un nuovo errore, la risposta sarà considerevolmente più dura”, ha dichiarato l’ambasciatore Saed Iravani, che ha inviato una lettera alla presidenza del Consiglio di sicurezza Onu e al segretario generale Antonio Guterres affermando che l’attacco contro Israele “rientra nell’esercizio del diritto di Teheran all’autodifesa”.

Il presidente Usa teme una risposta sproporzionata di Israele: “gli israeliani non sempre prendono le migliori decisioni strategiche”

Il presidente Joe Biden secondo la Cnn avrebbe chiarito a Netanyahu che gli Usa non parteciperanno a nessuna operazione offensiva contro Teheran e non sosterranno una tale operazione. “Non cerchiamo un conflitto con l’Iran ma non esiteremo ad agire per proteggere le nostre forze e sostenere la difesa di Israele” ha confermato il ministro della Difesa americano Lloyd Austin. Le forze americane sono state coinvolte nella difesa di Israele: hanno intercettato più di 70 droni e almeno tre missili balistici. Ma Biden, scrive Axios, ha precisato a Netanyahu che gli Usa non sosterrebbero eventuale attacco di Israele contro l’Iran. Biden, che nelle dichiarazioni ufficiali ha ribadito il sostegno “ferreo” alla difesa di Israele, in privato, secondo la Nbc, si sarebbe detto preoccupato che Netanyahu stia cercando di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto più ampio e profondo. La Casa Bianca ritiene che gli israeliani non stiano cercando uno scontro diretto con l’Iran, alla luce delle risorse impiegate nella guerra a Gaza, ma non ne ha la certezza. Washington aveva ritenuto troppo azzardato l’attacco al consolato iraniano, giudicandolo dannoso per la trattativa sulla liberazione degli ostaggi prigionieri di Hamas. “Non penso che avessero una strategia”, ha confidato all’Nbc un alto funzionario dell’amministrazione statunitense, “gli israeliani non sempre prendono le migliori decisioni strategiche”

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha convocato per il primo pomeriggio di oggi una videoconferenza a livello leader, per discutere dell’attacco iraniano contro Israele. Lo si apprende da fonti di Palazzo Chigi. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che giusto venerd’ aveva parlato con l’omologo iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, in un’intervista al Corriere della sera, racconta di avergli chiesto tre giorni fa “moderazione e senso di responsabilità”. Secondo Tajani “il primo obiettivo” è “gettare acqua sul fuoco” per evitare “una spirale che la politica potrebbe non riuscire più a controllare”.

Alle 22 italiane sarà convocato, su richiesta di Israele, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La Russia, che aveva mostrato sostegno all’Iran dopo l’attacco al consolato in Siria, si è espressa solo attraverso il suo vice rappresentante al Palazzo di Vetro, che ha paventato una “nuova acuta crisi”. La Cina ha espresso “profonda preoccupazione” e ha invitato le parti alla “calma”. L’Arabia Saudita e l’Egitto, che ha messo il suo esercito in stato di allerta, hanno chiesto ai contendenti la “massima moderazione”. I media israeliani hanno lasciato trapelare la promessa di Netanyahu di una reazione “significativa”, o addirittura “senza precedenti”, all’iniziativa iraniana. Washington e’ subito intervenuta per correggere il tiro. Secondo i media israeliani, Biden, nella sua telefonata con il primo ministro di Tel Aviv, gli avrebbe chiesto di non reagire. Le testate americane danno poi voce ad alti funzionari che esprimono preoccupazione per la condotta militare “frenetica” dell’alleato e temono che Israele replichi in modo frettoloso e sproporzionato. Qualcosa nel frattempo si muove e altri ben informati riferiscono poco dopo al New York Times che Israele coordinerà la sua reazione con gli alleati.

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