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Giulio Cavalli

Muro delle destre, no a Corsini e Bortone in Vigilanza. Bocciata la richiesta di audizione che può imbarazzare Gasparri

Niente audizione in Commissione vigilanza Rai per il direttore Approfondimenti Rai Paolo Corsini e la giornalista Serena Bortone in merito alla partecipazione censurata dello scrittore Antonio Scurati con un monologo sul 25 aprile. La maggioranza ha votato contro la proposta di Stefano Graziano (Pd) sostenuta da tutta l’opposizione. “Meglio aspettare l’indagine interna”, dicono dai partiti della maggioranza, riferendosi all’atto ispettivo annunciato dall’ad Rai Roberto Sergio.

Bocciata anche la richiesta di audire Corsini e Bortone dopo l’audizione dei vertici Rai fissata per l’8 maggio. Corsini non può rispondere alle domande dei parlamentari, nonostante sia disponibile – secondo quanto ha riportato ieri Repubblica – a rispondere alle telefonate di capi di governo stranieri, come l’albanese Edi Rama. La giornalista Bortone invece agita la maggioranza che preferisce attaccarla via stampa come ha fatto il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Tommaso Foti evocandone addirittura le dimissioni.

Il retroscena

Tra i preoccupati di un’eventuale audizione della giornalista Rai spicca anche il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri. Su Gasparri e Bortone in Rai circola da settimane una storia tutt’altro che edificante per l’azienda pubblica. In occasione della puntata di Report che fece infuriare il senatore – tanto da scomodare la commissione per mettere sotto torchio Sigfrido Ranucci – si dice che la Rai avrebbe inviato a tutti i talk politici in onda sulla rete un invito (di quelli che sarebbe meglio non rifiutare) per concedere a Gasparri lo spazio per rispondere all’inchiesta.

Questione di riequilibrio, era la giustificazione usata con i conduttori. A ribellarsi a quel diktat fu proprio Serena Bortone con la sua trasmissione Chesarà. Una rapida osservazione delle puntate di quei giorni certifica la rumorosa assenza. La notizia non uscì dai corridoi di Viale Mazzini ma avrebbe potuto essere un’interessante domanda da porre a Bortone nella sua audizione in Vigilanza, anche per comprendere se il “caso Scurati” sia un inciampo oppure rientri in una più complessa e preoccupante strategia di occupazione del servizio pubblico.

Non se ne farà niente. Bortone è oggetto di una pubblica discussione che non può pubblicamente discutere. La maggioranza ha deciso così. Con il voto pure del senatore Gasparri.

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Lo stigma di Regeni sugli accordi con l’Egitto

Il ricercatore italiano Giulio Regeni è stato ucciso “tra le 22,00 del 31 gennaio e le 22,00 del 2 febbraio del 2016”. Le torture subite sono “provate e documentate” nonostante l’autopsia egiziana sia stata, forse volutamente, superficiale e incompleta. Per gli avvocati si tratterebbe di un’autopsia sotto gli standard minimi richiesti. Giulio Regeni è stato ucciso dopo le richieste di collaborazione all’Egitto formulate dall’ambasciatore italiano Maurizio Massari (il 25 gennaio 2016) e dall’ex presidente del consiglio Matteo Renzi e dall’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni (31 gennaio 2016), che chiedevano al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi notizie sul cittadino italiano scomparso. È stato torturato per sei giorni.

“Sul corpo di Giulio Regeni – dicono i consulenti – sono state trovate quasi tutte le lesività elencate nella letteratura sulla tortura tipica in Egitto”. È un elenco dell’orrore. Torture ricorrenti, quelle elencate negli studi. Pugni, calci, mazze, percosse, bruciature, l’utilizzo di un “pettine chiodato” e la “Falanga”: le bastonate sui piedi che provocano la rottura di tutte le ossa, “riscontrata ahimè sul corpo di Giulio Regeni”, conferma il medico. La causa di morte comunicata dai medici egiziani, ovvero la “lesione cranica subdurale” è incompatibile con i risultati degli esami effettuati dai periti. Questi sono gli elementi emersi ieri a Roma durante il processo ai quattro 007 egiziani. Queste sono le mani sporche di sangue del presidente egiziano al-Sisi che da anni insozzano stringendole quelle dei più importanti leader europei. Ogni accordo con l’Egitto ha questo colore, questo odore, questi frantumi.

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Ci vorrebbe un 25 aprile ogni giorno

Dal 22 ottobre del 2022, giorno di insediamento del governo Meloni, in Italia è accaduto che un ministro della Repubblica abbia detto durante una trasmissione televisiva pomeridiana che l’antifascismo è colpevole di molti morti nella storia d’Italia. In 550 giorni è accaduto che l’antifascismo sia divenuto la costola vincente del comunismo in una guerra tra fazioni, distorcendo le origini della nostra democrazia e dimostrando un’abissale ignoranza della nostra Costituzione e della nostra storia. In 550 giorni è accaduto che la seconda carica dello Stato esibisca i busti di Benito Mussolini nella sua abitazione con un sardonico sorriso.

Da fine 2022 a oggi l’Italia è diventato quel Paese in cui l’aborto viene definito delitto, i giornalisti rischiano il carcere, le torture sono sdoganate come metodo di pubblica sicurezza, la repressione delle manifestazioni di piazza viene segnalata dalle Ong nel mondo, gli scrittori entrano nel mirino del governo, gli ambientalisti sono considerati delinquenti, i pacifisti sono raccontati come sabotatori, l’economia di guerra è un culto, gli autocrati telefonano ai dirigenti della nostra televisione pubblica per chiedere di imbavagliare le inchieste, la capa del governo trascina in tribunale un intellettuale, i giornali vengono silenziati con querele molto spesso temerarie.

In 550 giorni si è sancito il reato di troppi salvataggi in mare, le presenze nelle carceri sono aumentate nonostante la diminuzione dei reati, più membri dell’esecutivo e della maggioranza hanno dipinto la povertà come una colpa. Anche gli studenti sono una categoria da tenere a bada. In 550 giorni in Italia sembra che siano passati 102 anni, tutti all’indietro. Se la liberazione italiana è una pace da costruire giorno per giorno – come ammonivano i padri costituenti – qui la strada sembra essersi fatta ancora più lunga. Chissà se ora è chiaro che non si tratta di una commemorazione: è la manutenzione di un meccanismo delicato e complesso che si chiama democrazia. Resistere deriva dal latino resistĕre e significa “fermare”. Buon 25 aprile, ma tutti i giorni.

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Per Amnesty c’è un allarme repressione in Italia

No, l’allarme repressione in Italia non è un’invenzione di qualche oppositore politico, “l’uso sproporzionato e non necessario della forza” per reprimere proteste di piazza “lo ha confermato anche la nostra Task Force osservatori, specializzata nel monitoraggio del corretto svolgimento delle proteste da parte delle forze dell’ordine, che abbiamo inviato in diverse manifestazioni”. A sancire la discesa di libertà di manifestazione è Amnesty International nello studio sull’Italia contenuto del ‘Rapporto 2023-2024 – La situazione dei diritti umani nel mondo‘, che prende in esame 155 Paesi. 

Ilaria Masinara, responsabile dell’Ufficio campagne di Amnesty International, fa riferimento recenti manifestazioni contro il G7 a Napoli oppure i tanti cortei organizzati in tutta Italia in solidarietà con la Striscia di Gaza dai movimenti filo-palestinesi, oppure per la giustizia climatica o i “no Tav”. “Non è ovviamente messo in discussione il diritto degli agenti alla loro sicurezza, – precisa Amnesty – che va sempre garantita. La polizia tuttavia dovrebbe trovare meccanismi di disengagement, facendo un uso proporzionato della forza” dice Masinara, avvertendo che “si registra spesso l’uso di armi meno letali, come i gas lacrimogeni – lanciati anche ad altezza persona – o i manganelli”. L’Ong sottolinea la mancanza di codici identificativi degli agenti in tenuta antisommossa che garantirebbe trasparenza. 

I segnali preoccupanti secondo Amnesty international

Nel nostro Paese, scrive Amnesty, si assiste anche “alll’arretramento sul reato di tortura”: preoccupano le proposte di revisione della legge e le notizie di violenze registrate nel carcere minorile ‘Beccaria’ di Milano”, uscite in questi giorni, “ce lo ricordano”. Masinara segnala anche una “crescente narrativa negativa, che presenta gli attivisti come criminali e facinorosi, mentre la disobbedienza civile viene inquadrata come un ostacolo. Penso agli ambientalisti che in questi mesi hanno bloccato le autostrade”. La responsabile continua: “In questi casi non viene quasi mai posta l’attenzione sulle richieste degli attivisti né lasciato a loro il compito di spiegare le istanze, che invece sono illustrate da altri”. 

C’è poi la storica carenza di diritti nella gestione delle migrazioni. “Cancellando la protezione internazionale, l’accoglienza e l’assistenza, nel nostro Paese è stata peggiorata la situazione; lo dimostrano tragedie come la strage di Cutro, in Calabria, ma anche gli accordi che il governo ha stretto con Libia, Tunisia e Albania, con cui l’Italia delocalizza la gestione delle persone”. Per quanto riguarda le questioni di genere”aspettiamo – dice Masinara – ancora la legge che adegui il reato di stupro alla Convenzione di Istanbul nonché la legge che tuteli le persone Lgbt dai crimini d’odio e dai discorsi odio”. Questo a fronte di una “crescente narrativa pubblica discriminante nei confronti di figli nati da coppie omosessuali e su persone con identità di genere non binaria nelle scuole”. Nel 2023 si sono poi “registrati 97 femminicidi, 67 dei quali commessi da partner o ex partner, mentre i servizi di aiuto sono sottofinanziati”. 

C’è infine la questione del diritto di aborto, messo in discussione proprio in questi giorni con l’emendamento inserito dalla maggioranza nel decreto Pnrr per aprire le porte dei consultori alle associazioni antiabortiste. La responsabile di Amnesty spiega che a causa del numero di medici obiettori di coscienza “in molte regioni le donne non hanno adeguato accesso all’aborto, mentre si moltiplicano le azioni regionali a tutela del feto”.  Infine la Ong segnala l’astensione dell’Italia nel voto Onu che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza mentre il nostro Paese continua a vendere armi a Israele. 

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“L’insulto sistematico, adoprato come metodo di governo, alla dignità morale dell’uomo”

(Ma siamo sicuri che il termometro del ritorno del fascismo stia nei busti di Mussolini di qualche nostalgico? Siamo sicuri che rileggere Calamandrei – solo per citarne uno – non sia spaventoso? Buon 25 aprile)

«Delle cause e degli aspetti del fascismo, storici di diverse tendenze hanno già dato svariate interpretazioni: e hanno messo in evidenza, secondo le premesse politiche o filosofiche da cui partivano, i fattori psicologici e morali e quelli sociali ed economici di questa crisi: L’esasperazione contingente del primo dopoguerra, o le lontane tare tradizionali di servaggio e di conformismo, che tenta di sbarrare il cammino alle nuove forze progressiste che avanzano. Forse in ognuna di queste concezioni c’è una parte di vero.

Ma ciò che soprattutto va messo in evidenza del fascismo è, secondo me, il significato morale: l’insulto sistematico, adoprato come metodo di governo, alla dignità morale dell’uomo: l’umiliazione brutale, ostentata come una gesta da tramandare ai posteri, dell’uomo degradato a cosa.

Un cammino di millenni, muovendo dalla filosofia e dalla poesia greca e dal Cristianesimo, era riuscito in Europa a porre a base della convivenza dei popoli civili il principio della uguaglianza di tutti gli uomini. Questa esigenza, che fu il fermento della Rivoluzione francese, era già viva e operante nell’illuminismo del ‘700: e il nostro Beccaria la enunciava in parole lapidarie, quando scriveva: “Non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettono che, in alcuni eventi, l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa”.

Ora il fascismo fu la rinnegazione di questa esigenza. Per la bestiale ferocia dello squadrismo fascista, l’uomo tornò ad essere una cosa: non solo oggetto di sfruttamento servile, come una bestia da tiro, per i padroni finanziatori delle spedizioni punitive, ma oggetto di beffa sanguinaria e di straziante dileggio da parte dei sicari. Il ritorno della tortura, la quale pareva ormai soltanto un fosco ricordo di età barbare felicemente superate, comincia da qui. Nel manganello e nell’olio di ricino c’erano già quei primi micidiali germi del flagello, che venti anni dopo, sviluppati fino alle loro spaventose conseguenze dalla gelida consequenziarietà teutonica, dovevano fatalmente portare allo sterminio scientifico delle camere a gas. Nel macabro cerimoniale in cui gli incamiciati di nero, preceduti dai loro osceni gagliardetti, andavano solennemente a spezzare i denti di un sovversivo o a verniciargli la barba o a somministrargli, tra sconce risa, la purga ammonitrice, c’era già, ostentata come un programma di dominio, la negazione della persona umana. Il primo passo, la rottura di una conquista millenaria, fu quello: il resto doveva fatalmente venire.

[…]

Nella concezione fascista, come in quella di tutti i totalitarismi, viveva questo residuo di goffo e tracotante feudalesimo: il germe del razzismo è qui: l’idea di una classe eletta, composta di privilegiati, di gerarchi, di superuomini che hanno diritto di governare gli Stati perché la Provvidenza li ha fatti così, E perché questa distinzione tra poveri e ricchi, tra padroni e servitori sarebbe una fatale distinzione voluta da Dio. Contro questa concezione feudale e totalitaria della società, che il fascismo per vent’anni riportò in vigore tra noi, la Resistenza sorse a rivendicare per tutti gli uomini uguale dignità sociale. La libertà non è una merce di lusso riservata ai ricchi, la cultura non è una raffinata droga che cosiddetti intellettuali posso consumare nelle lussuose alcove delle loro torri d’Avorio. In realtà la cultura, ridotta sotto il fascismo ad uno sterile giuoco di cortigiani, non ha ragion d’essere se non è espressione di popolo, di una consapevolezza di questa condizione umana che è comune a tutti gli uomini: espressione di una comune solidarietà sociale ed umana».

(Piero Calamandrei, Forlì, 25 aprile 1955)

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Schmidt e l’aborto ma degli altri

Il candidato sindaco di Firenze per il centrodestra, Eike Schmidt, intervistato dal programma radiofonico ‘Newsline/Tutti al voto!’ su Controradio ha espresso la sua contrarietà a legiferare sull’aborto. Quella dell’aborto secondo Schmidt “è una questione molto molto personale. Da un punto di vista morale ognuno deve decidere per sé, è una decisione molto difficile. Capisco argomenti pro e contro – dice il candidato sindaco – ma alla fine è una decisione della potenziale mamma. Ci sono tanti casi dove sappiamo che la madre ha una malattia o c’è stato uno stupro, e allora una legislazione come è avvenuta in alcuni Stati degli Stati Uniti mi trova fortemente contrario”.

Eike Schmidt corre per la destra. Qualcuno glielo spieghi. L’aspirante sindaco abortista e antifascista

Schmidt è perentorio: “lo Stato non dovrebbe guardare nella pancia dei suoi cittadini, né nelle loro case, a meno che non ci sia un’ipotesi di reato, ovviamente. L’aborto è una questione molto personale. E, da un punto di vista morale, ognuno deve decidere per sé”.

È curioso che il candidato della destra volga lo sguardo agli Usa quando per trovare politici che vorrebbero legiferare sui corpi delle donne potrebbe tranquillamente aprire i gruppi whatsapp di coloro che gli stano facendo campagna elettorale. Forse al direttore degli Uffizi nonché candidato sindaco sfugge ciò che gli sta accadendo intorno. Ma questa frase fa il paio con una dichiarazione di Schmidt in cui si dichiara apertamente antifascista e dice di vergognarsi da tedesco per ciò che la Germania ha compiuto nei tempi del nazismo. “Io non credo di avere come compagni di viaggio elementi di destra-destra”, ha detto Schmidt. Immaginate come possa governare una città qualcuno che ha una così fragile contezza politica della realtà. 

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Ogni Pnrr è buono per attaccare l’aborto

L’introduzione di norme sull’aborto nel decreto legge sul Pnrr è “l’ennesimo attacco del governo alle donne”. Lo affermano Cgil e Uil, che questo pomeriggio a Roma sono in presidio nei pressi del Senato, per dire “no all’inserimento nel decreto sull’attuazione del Pnrr, già approvato alla Camera, di un articolo che favorisce la presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori.

Per Cgil e Uil l’introduzione di norme sull’aborto nel provvedimento collegato al Pnrr è “l’ennesimo attacco del governo alle donne”

Il Pnrr avrebbe dovuto migliorare la condizione delle donne: incrementare l’occupazione, riservando posti di lavoro creati dai bandi pubblici in particolare alle donne e ai giovani, e aumentare i servizi pubblici a sostegno della genitorialità, a partire dagli asili nido. Nulla di tutto questo. In compenso il Governo continua nel suo intento, ormai chiaro, di attaccare la libera scelta delle donne sul loro corpo”. Per Cgil e Uil “è inaccettabile, un attacco alle donne che contrastiamo”. 

La maggioranza però non sembra sentire ragioni e conferma di voler tirare dritto. Lavinia Mennuni, senatrice di Fratelli d’Italia e componente della commissione Bilancio annuncia che voterà “convintamente a favore” dell’emendamento “al decreto Pnrr che prevede la possibilità dell’inserimento nei consultori delle associazioni che sostengano le donne nella difficile scelta in cui possano trovarsi e offrire loro sostegno affinché non interrompano la gravidanza”. A nulla sembrano valere le obiezioni dell’Unione europea che ha già chiarito l’impossibilità di utilizzare i fondi del Pnrr per sostenere iniziative che non hanno nulla a che vedere con il piano europeo. Ieri il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni ha chiarito che l’emendamento “è una legge che riguarda il Pnrr italiano, ma non ci sono finanziamenti europei coinvolti in questa iniziativa”. “In questi anni la Commissione ha pienamente sostenuto il diritto delle donne alla libera scelta”, ha aggiunto Gentiloni.

Il governo tira dritto e inserisce una norma farlocca nel decreto Pnrr per aprire le porte agli anti abortisti nei consultori

L’orbanizzazione dell’Italia continua in maniera ostinata e contraria. Il governo decide di aprire le porte dei consultori ai pro vita per mandare un segnale chiaro: la legge 194 forse – per ora – non verrà toccata ma sarà utilizzato ogni mezzo per svuotarla poi di quanto lo sia già. Mentre la Francia inserisce il diritto all’aborto nella Costituzione, mentre l’Ue inserisce l’interruzione di gravidanza tra i diritti prioritari da manutenere, mentre la Germania ricorda che le sue norme che costituiscono la base della consulenza sui cosiddetti ‘conflitti in gravidanza’ escludono la presenza di associazioni pro-vita dedicate nei centri di consulenza riconosciuti”, il governo Meloni spinge sulla famiglia così com’è intesa nel trittico con Dio e la Patria. La fotografia del momento politico sono le parole della vicedirettrice del Tg1 Rai Incoronata Boccia espresse sabato sera nel programma di Serena Bortone Che sarà e ribadite in alcune interviste nei giorni successivi: “l’aborto è un delitto, non un diritto”. Un pensiero talmente progressista da indurre Forza nuova a conferirle la tessera ad honorem per il suo “messaggio potente che dovrebbe essere diffuso e riconosciuto come un esempio di civiltà”. 

Dalla maggioranza assicurano che non cambierà nulla e viene naturale chiedersi allora che bisogno ci fosse di scrivere quell’emendamento. Nelle Case della comunità (che rientrano nella Missione 6, componente 1 del Pnrr) è già previsto che debbano trovare posto le associazioni del Terzo settore di sostegno al benessere dalla persona (Croce rossa, associazioni di familiari, ecc.). Aggiungere i gruppi anti abortisti sotto mentite spoglie è un messaggio che non ha bisogno di troppe interpretazioni. 

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Il caso Scurati accende lo scontro Lega-Fdi in Rai

Il caso Scurati in Rai come grimaldello per danneggiare gli alleati di governo. Il punto focale della censura dello scrittore in Rai – con il monologo sul 25 aprile che è stato cassato nel modo più cretino e improvvido possibile – è la nomina del nuovo consiglio di amministrazione della televisione pubblica che verrà a breve. Alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni interessa poco il dibattito sulla libertà e sull’antifascismo. La vera ossessione è difendere il direttore generale Giampaolo Rossi già pronto sulla rampa di lancio per diventare amministratore delegato. 

In casa Lega la poltrona dell’ad in Rai era ormai data per persa ma lo scivolone sullo scrittore Antonio Scurati ha riacceso le speranze. Gli uomini di Salvini imputano a Fratelli d’Italia gli insuccessi degli ultimi mesi: il crollo degli ascolti, le trasmissioni fallimentari chiuse dopo poche puntate, un piano editoriale confuso e poco convincente e perfino l’addio di Amadeus. Una serie di flop che negano in pubblico per addossare in privato alla gestione meloniana. È l’eterno gioco tra la Lega decaduta e Fratelli d’Italia regnanti, un logoramento quotidiano per erodere voti, potere e qualche posto di potere. 

La Lega sfrutta lo scivolone sul monologo di Scurati per attaccare il direttore generale Giampaolo Rossi, uomo di fiducia di Meloni in Rai

Chi è vicino a Meloni assicura che Giampaolo Rossi non si tocca. Il direttore generale è la persona di fiducia della presidente, a lui da Palazzo Chigi è partita immediatamente la telefonata per capire cosa fosse successo con Scurati nella trasmissione di Serena Bortone, a lui è arrivato l’ordine da spandere a cascata di virare la polemica sul compenso. Mentre la Lega tenta l’assalto Forza Italia – che non ama Rossi – preferisce non avventurarsi in uno scontro che finirebbe solo per indurire Meloni senza possibilità di incassare un risultato. Per questo Tajani avrebbe invitato i suoi a non entrare nella disputa accontentandosi della nomina a presidente di Simona Agnes, vicina al presidente di Forza Italia e al sempreverde Gianni Letta. 

A rischiare seriamente il posto è invece Paolo Corsini, responsabile Approfondimenti della Rai e avvezzo a uscite spericolate. È Corsini che si è immolato con una nota parlando di “compenso più elevato di quanto previsto” per il monologo di Scurati  venendo smentito in pochissimo tempo da Repubblica che ha pubblicato la lettera con sui si annullava “per motivi editoriali” il monologo sull’antifascismo. Nei corridoi della Rai confermano che è proprio Corsini ad avere letto il testo di Scurati prima di azionare la tagliola della censura. Del resto le simpatie destrorse del dirigente Rai in quota di Fratelli d’Italia sono note da tempo. Scorrere la bacheca dei suoi social è un tuffo nel passato nero tra idolatria del Ventennio, amicizie vicine al terrorismo nero. Indelebile rimane la sua conduzione ad Atreju quando usava il “noi” per parlare di Fratelli d’Italia e attaccò la segretaria del Pd Elly Schlein occupata a decidere “come vestirsi o di che colore utilizzare piuttosto che confrontarsi”. Lo scivolone Scurati potrebbe essere l’ultimo atto. È già pronta Angela Mariella, direttrice delle Relazioni Istituzionali, in quota Lega.

Per i consiglieri che verranno votati dal 21 maggio il Partito democratico vorrebbe puntare su Antonio Di Bella ma l’interessato ha fatto sapere ha fatto sapere di essere disponibile solo per il ruolo di presidente di garanzia. Il M5s punta sulla riconferma di Alessandro Di Majo. Nella Lega il redivivo Marano preoccupa per i troppi conflitti di interesse e alla fine Salvini potrebbe virare sull’ex parlamentare Federica Zanella. Tanto alla fine comanda sempre lei, sarà sempre TeleMeloni. 

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La lezione dell’Urnwa

Questa mattina Francesca Mannocchi su La Stampa scrive del rapporto Colonna, commissionato dalle Nazioni Unite a seguito delle accuse israeliane sui presunti legami del personale dell’Unrwa con Hamas. «A marzo Israele ha reso pubbliche affermazioni secondo cui un numero significativo di dipendenti dell’Unrwa sono membri di organizzazioni terroristiche. Tuttavia, Israele deve ancora fornire prove a sostegno di queste affermazioni», si legge nell’analisi del gruppo di esperti coordinati da Catherine Colonna, ex ministra degli Esteri francese. 

Nel rapporto si legge che l’Unrwa dovrebbe rafforzare il controllo sui suoi dipendenti e che Israele non ha mai mosso obiezioni sui nominativi dei lavoratori dell’agenzia, forniti in elenco a Israele fin dal 2011. 

Il furioso dibattito sull’Unrwa, come molti degli scontri che strumentalizzano le guerra, è stato superato dai bombardamenti tra Israele e Iran. Chi sfrutta le guerre per acuire le polarizzazioni politiche ha trovato altro pane per i suoi denti. Intanto l’agenzia si ritrova con i fondi tagliati (solo gli Usa contribuivano al 30% delle sue attività), i dipendenti additati come criminali e alcuni conti correnti bloccati. 178 dipendenti dell’agenzia dell’Onu sono stati uccisi e gran parte delle sue strutture sono state distrutte dai bombardamenti. 

La morale della storia sarebbe l’ennesimo invito alla cautela di fronte alle informazioni in tempo di guerra, usate come armi non convenzionali per giustificare le armi convenzionali. Ma la lezione – anche questa – non servirà. 

Buon martedì. 

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Il partito dei poveri noi

Bagheria come specchio del Paese. Nel piccolo comune siciliano qualche giorno fa è uscita la foto del sindaco uscente e ricandidato Filippo Tripoli, di Italia Viva, mentre pranzava allegro con Carmelo Fricano, detto “mezzo chilo”, un noto imprenditore bagherese arrestato il 13 settembre nell’operazione della Dda di Palermo: è considerato prestanome del boss Leonardo Greco. Accusato di associazione mafiosa ed estorsione, secondo le indagini dei carabinieri di Bagheria “mezzo chilo” era al servizio del gruppo mafioso. Secondo la procura, Fricano era a completa disposizione del capo mandamento, partecipava a riunioni riservate del clan, sosteneva economicamente i detenuti e i familiari, e all’occorrenza, si intrometteva nelle regole dettate dal sodalizio mafioso ai commercianti. Il sindaco si difende dicendo che al tempo Fricano era incensurato. In compenso ieri durante il confronto con gli altri candidati si è offeso perché un suo avversario ha osato fare domande sulla questione. 

A proposito di Bagheria il sesto candidato è Salvatore Baiardo. L’uomo che ha scontato quattro anni di carcere per favoreggiamento e riciclaggio di denaro a favore dei fratelli Graviano. Baiardo è stato da poco condannato per calunnia ai danni di Giletti, ex conduttore di Non è L’Arena su La7, per averlo accusato di aver reso false dichiarazioni al pubblico ministero riguardo all’esistenza della presunta foto, e per favoreggiamento nei confronti di Berlusconi e di Marcello Dell’Utri. Ora vorrebbe fare il sindaco con un certo “partito dei poveri”. I poveri evidentemente siamo noi che osserviamo un Paese in cui nemmeno una condanna per mafia spinge le persone a provare un minimo di vergogna. 

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