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Giulio Cavalli

A due passi dal Duomo, Samarani Cafè, il ristorante con la mafia tutto intorno

La Gdf di Milano, nell’ambito dell’inchiesta della Dda sulla presunta cosca mafiosa dei D’Agosta con al centro l’intestazione fraudolenta di beni per 5 milioni di euro, ha sequestrato lo ‘storico’ bar-ristorante milanese ‘Samarani Cafe”, in piazza Diaz, a due passi dal Duomo. Nell’ambito delle indagini sul reimpiego di capitali illeciti, i finanzieri del nucleo di polizia tributaria hanno messo i sigilli anche all’hotel ‘Il Faro Molarotto’ in Costa Smeralda e ad un altro bar in provincia di Olbia.

Gli accertamenti dei militari della Gdf hanno riguardato, in particolare, due presunti appartenenti a una cosca mafiosa di Vittoria (Ragusa), Carmelo e Gianfranco D’Agosta, gia’ condannati a vario titolo per associazione mafiosa e traffico di droga.  Stando alle indagini, coordinate dal pm Claudio Gittardi, sarebbero emerse una serie di ”discrasie” tra i redditi dichiarati dai due e i beni intestati a loro o a presunti prestanome. Ipotesi che ha fatto scattare il sequestro preventivo, deciso dal gip di Milano Anna Maria Zamagni, in base alle norme sull’intestazione fittizia di beni relative a soggetti gia’ condannati per associazione mafiosa.Il ‘Samarani cafe” era gia’ stato coinvolto, negli anni ’90, in indagini simili che riguardavano presunti esponenti mafiosi siciliani e investimenti illeciti in locali e attivita’ a Milano. Ieri poi nel capoluogo lombardo era stato sequestrato anche il bar ‘Gran Caffe’ Sforza’, sempre in centro, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Napoli sulla camorra ‘cutoliana’ del clan Belforte. Nel blitz di oggi, invece, sono stati sequestrati anche l’hotel a quattro stelle ‘Il Faro Molarotto’, a una quarantina di minuti da Porto Cervo, e un altro bar in Sardegna, oltre ad un’auto di grossa cilindrata.

Quello che la politica non riesce a fare

Oggi su Repubblica uno scambio epistolare tra un lettore e Colaprico che è un punto di programma per la Lombardia che deve accadere. Perché a volte la politica sta tra le parole e le opinioni che non stanno per forza nei grandi editoriali di statisti à la page:

CA­RO Co­la­pri­co, mal­gra­do il pa­re­re con­tra­rio di tut­ti (co­mu­ni in­te­res­sa­ti, pro­prie­ta­ri dei ter­re­ni sot­to espro­prio, eco­lo­gi­sti, geo­lo­gi, eco­no­mi­sti, ec­ce­te­ra) gli in­sa­ni e cer­vel­lot­ti­ci «pia­ni per il traf­fi­co» del­la giun­ta re­gio­na­le lom­bar­da so­no sta­ti av­via­ti.
Mi ri­fe­ri­sco al­la rea­liz­za­zio­ne del­le «fa­mo­se» Pe­de­mon­ta­na, nuo­va au­to­stra­da Mi­la­no/Bre­scia e al­la Tan­gen­zia­le est ester­na. Al­tri mi­lio­ni di et­ta­ri di ter­re­no fer­ti­le sa­ran­no co­per­ti dal­l’a­sfal­to, ben­ché sia a tut­ti evi­den­te che il traf­fi­co su gom­ma sta di­mi­nuen­do, sia per il co­sto dei car­bu­ran­ti che per la cri­si eco­no­mi­ca, ed è de­sti­na­to ine­so­ra­bil­men­te in fu­tu­ro a di­mi­nui­re an­co­ra.
Que­ste ope­re inu­ti­li di­ven­te­ran­no al­tre «cat­te­dra­li nel de­ser­to», con un as­sur­do e mai tan­to in­sen­sa­to spre­co di de­na­ro pub­bli­co, a mag­gior ra­gio­ne in un mo­men­to co­me que­sto. Na­tu­ral­men­te «i so­li­ti no­ti» (fra i qua­li do­vre­mo an­no­ve­ra­re le va­rie ma­fie?) rin­gra­zia­no. La pia­nu­ra Pa­da­na è sto­ri­ca­men­te la par­te più fer­ti­le del no­stro pae­se, quel­la na­tu­ral­men­te de­sti­na­ta al­lo svi­lup­po agri­co­lo. È di­ven­ta­ta un’im­men­sa me­ga­lo­po­li, nel­la qua­le la teo­ria con­ti­nua di ca­se e ca­pan­no­ni è in­ter­rot­ta, di tan­to in tan­to, da qual­che di­ste­sa di cam­pi. Te­mo che fra non mol­ti an­ni si do­vran­no ara­re le stra­de (qual­cu­no­s’in­ge­gni a stu­dia­re vo­me­ri ade­gua­ti!).
Sil­va­no Fas­set­ta

Vor­rei av­vi­sar­la che la ri­vo­lu­zio­ne in­du­stria­le ri­sa­le al­l’800, che il boom eco­no­mi­co ita­lia­no è av­ve­nu­to al­la me­tà del se­co­lo scor­so e che Mi­la­no e Bre­scia so­no cit­tà do­ve le ci­mi­nie­re so­no spun­ta­te un bel po’ di tem­po fa. Lei cre­de­va di es­se­re in Ar­ca­dia, tra pe­co­re e pa­sto­rel­le e flau­ti? Ba­sta per­cor­re­re la Mi­la­no-Bre­scia per ren­der­si con­to del mon­do in cui sia­mo. Mol­ti an­ni fa Gior­gio Boc­ca rac­con­ta­va ai let­to­ri che usan­do il Po co­me una via d’ac­qua per le mer­ci, si sa­reb­be ot­te­nu­to il du­pli­ce sco­po di far di­mi­nui­re la con­ge­stio­ne del traf­fi­co su stra­da e tra­sfe­ri­re i con­tai­ner pre­sto e me­glio. Mol­ti an­ni fa… Me­no an­ni fa, quan­do co­min­cia­vo an­ch’io a fa­re il cro­ni­sta, ve­de­vo da vi­ci­no mol­te co­se e pur­trop­po og­gi, con tut­ta la mia espe­rien­za, do­po Tan­gen­to­po­li, le ma­fie, gli scan­da­li, i di­scor­si a pe­ra sul Nord, an­co­ra mi chie­do che co­sa mai ci re­sta da fa­re di le­ga­le. Per­ché noi po­ve­rac­ci sap­pia­mo ve­de­re spes­so le co­se giu­ste e le co­se sba­glia­te e ci chie­dia­mo: co­me mai, in po­li­ti­ca, pas­sa­no spes­so le co­se sba­glia­te? In qua­le la­bi­rin­to oscu­ro s’im­pri­gio­na chi fa po­li­ti­ca?
Piero Colaprico

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Cambiano le cose. Cambiano.

Con il lavoro, l’impegno, la serietà poi alla fine la storia non si inventa ma succede davvero: Monsignor Francesco Montenegro vieta le esequie di Giuseppe Lo Mascolo, arrestato pochi giorni prima di morire con l’accusa di essere il boss di Cosa nostra a Siculiana: “L’unico modo per imbavagliare la mafia è rifiutare i compromessi”. La notizia è qui.

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Non ho nemmeno le parole

Per immaginare le ore di Giulio Tamburini, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Mantova, impegnato anche come distaccato per la DDA di Brescia.
Per la bomba scoppiata vicino alla sua abitazione. Lo spavento. La notte. Il dolore. La famiglia da proteggere oltre all’ordinarietà non facile della vita.
A Mantova. Dove già parlarne è già troppo disturbo.
Solo un abbraccio solidale. A tutta la sua famiglia.

Scuole private non con le mie tasche

Mila Spicola su l’Unità, oggi ne scrive. Ed è un’altro di quei punti su cui la coalizione che ha in testa Bersani difficilmente ha un senso. La nostra posizione (per specificare, eh) è quella di Mila. Anche (e soprattutto) in Lombardia. Sono curioso di sapere quella dei cattolici del PD e dell’UDC. Anche qui in Lombardia.

Questa storia dei fondi alle parificate private è chiarissima. Parte di quei fondi vanno ad asili e materne parificate. E vabbè, amen. Sappiamo com’è la questione: non ce ne sono..e dunque chiudiamolo st’occhio, anche se ci dobbiamo mettere sottosopra per far aprire asili statali e comunali. Ma dall’altro ci sono le scuole degli altri gradi e sono diplomifici (o sbaglio?) o scuole delle “pie opere di carità” con rette mensili allucinanti che, in parte, contribuiscono a pagare anche i papà e le mamme dei miei alunni disgraziati, con le loro tasse. Possono girarmi le scatole, di grazia?

I governi, di qualunque colore fossero nulla è cambiato, finanziando le prime, i diplomifici, producono a nostre spese generazioni di ragazzi ignoranti, a danno loro e della collettività, e finanziando le cattoliche (che non abbiano tutto sto gran livello qualitativo) comprano voti di elettorato cattolico dalla Chiesa. Cioè omaggiano il Vaticano. Già sento il coro levarsi dal lato della platea cattolica, se non qualche lancio di oggetti. Attenzione: ciascuno può e deve andare nella scuola che più gli aggrada. Libera è la cultura e libero l’insegnamento. Ma per favore senza oneri per lo Stato. Quante volte lo dobbiamo ripetere? Senza oneri per lo Stato. Lontani dalle mie tasche. Figuriamoci adesso. Possono anche maledirmi. Ma io non sono nè cattolica, nè religiosa, le maledizioni mi bagnano e si asciugano: con le mie tasse pagatemi il riscaldamento, non la divisa delle orsoline.

Occuparsi, in mezzo alla crisi

Tito Boeri, oggi, su Repubblica:

Ovunque du­ran­te le re­ces­sio­ni la di­soc­cu­pa­zio­ne au­men­ta di più per i gio­va­ni che nel­le al­tre fa­sce di età. Que­sto av­vie­ne per­ché i da­to­ri di la­vo­ro bloc­ca­no le as­sun­zio­ni re­strin­gen­do ogni ca­na­le di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro. Ma nel­la me­dia dei pae­si Oc­se la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le è ar­ri­va­ta in que­sta cri­si a es­se­re al mas­si­mo il dop­pio di quel­la per il re­sto del­la po­po­la­zio­ne. Da noi, in­ve­ce, è qua­si quat­tro vol­te più ele­va­ta.
Il fat­to è che ai pro­ble­mi strut­tu­ra­li del no­stro mer­ca­to del la­vo­ro e del si­ste­ma edu­ca­ti­vo si è ag­giun­to il dua­li­smo fra con­trat­ti tem­po­ra­nei e con­trat­ti per­ma­nen­ti che ha cau­sa­to que­sta vol­ta, in ag­giun­ta al bloc­co del­le as­sun­zio­ni, an­che li­cen­zia­men­ti in mas­sa di gio­va­ni la­vo­ra­to­ri pre­ca­ri. Inol­tre i gio­va­ni ita­lia­ni, a dif­fe­ren­za che in al­tri pae­si, non han­no rea­gi­to al­la cri­si de­ci­den­do di con­ti­nua­re a stu­dia­re, ma an­zi han­no ri­dot­to le lo­ro iscri­zio­ni al­l’u­ni­ver­si­tà. Pro­ba­bil­men­te per­ché si so­no re­si con­to che le lau­ree trien­na­li non of­fro­no uno sboc­co ade­gua­to sul mer­ca­to del la­vo­ro ri­spet­to ai di­plo­mi di scuo­la se­con­da­ria, non so­no in gra­do di ri­pa­ga­re l’in­ve­sti­men­to ag­giun­ti­vo fat­to in istru­zio­ne.
In­fi­ne, es­sen­do que­sta una cri­si fi­nan­zia­ria, è an­co­ra più dif­fi­ci­le per i gio­va­ni che han­no pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li ave­re ac­ces­so al cre­di­to. Di so­li­to nel­le re­ces­sio­ni c’è an­che una par­te crea­ti­va per­ché il co­sto mi­no­re del cre­di­to, del la­vo­ro, dei fab­bri­ca­ti, del ca­pi­ta­le per­met­te a chi ha nuo­ve idee di rea­liz­zar­le. Ma que­sto non av­vie­ne du­ran­te le cri­si fi­nan­zia­rie, so­prat­tut­to da noi do­ve le ban­che non han­no in­ve­sti­to nel­la se­le­zio­ne di nuo­vi pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li.
Ogni stra­te­gia che vo­glia dav­ve­ro af­fron­ta­re il pro­ble­ma del­la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le de­ve per­ciò ave­re tre car­di­ni prin­ci­pa­li: pri­mo, de­ve mi­glio­ra­re il per­cor­so di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro; se­con­do, de­ve af­fron­ta­re il pro­ble­ma dei trien­ni, spin­gen­do più gio­va­ni a con­ti­nua­re gli stu­di ol­tre la scuo­la se­con­da­ria; ter­zo, de­ve fa­vo­ri­re l’ac­ces­so al cre­di­to per chi ha idee im­pren­di­to­ria­li.
Sul pri­mo aspet­to, sa­reb­be sta­to im­por­tan­te in­tro­dur­re in Ita­lia un con­trat­to a tem­po in­de­ter­mi­na­to a tu­te­le cre­scen­ti, ap­pli­ca­bi­le a tut­ti i la­vo­ra­to­ri, in­di­pen­den­te­men­te dal­la lo­ro età o qua­li­fi­ca. Pur­trop­po il go­ver­no ha scel­to una stra­da di­ver­sa, la­scian­do che le tu­te­le con­tro il li­cen­zia­men­to sia­no in­di­pen­den­ti dal­la du­ra­ta del­l’im­pie­go. Li­cen­zia­re un la­vo­ra­to­re con con­trat­to a tem­po in­de­ter­mi­na­to che è da un so­lo me­se in azien­da con­ti­nue­rà a co­ste­rà quan­to li­cen­zia­re un la­vo­ra­to­re che ha 20 an­ni di an­zia­ni­tà azien­da­le. Que­sto sco­rag­gia le as­sun­zio­ni dei gio­va­ni so­prat­tut­to nei com­par­ti do­ve il lo­ro ca­pi­ta­le uma­no ver­reb­be me­glio uti­liz­za­to. Nei set­to­ri tec­no­lo­gi­ca­men­te avan­za­ti è, in­fat­ti, mol­to dif­fi­ci­le per un da­to­re di la­vo­ro va­lu­ta­re le com­pe­ten­ze del­le per­so­ne che as­su­me. Si pos­so­no dun­que com­met­te­re mol­ti er­ro­ri. Al tem­po stes­so, bi­so­gna fa­re un in­ve­sti­men­to di lun­go pe­rio­do sui la­vo­ra­to­ri che si as­su­me. La per­si­sten­te di­co­to­mia fra con­trat­ti a ter­mi­ne e con­trat­ti a tem­po de­ter­mi­na­to im­pe­di­sce tut­to que­sto. E non po­trà cer­to il con­trat­to di ap­pren­di­sta­to ri­pro­po­sto dal­la ri­for­ma For­ne­ro a ri­sol­ve­re il pro­ble­ma. Sem­pli­ce­men­te per­ché le sue re­go­le (in ter­mi­ni di età, quo­te sul­le as­sun­zio­ni e co­sti de­gli in­cen­ti­vi fi­sca­li) im­pe­di­sco­no che pos­sa es­se­re este­so al­le gran­di pla­tee coin­vol­te dal­la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le.
Per sti­mo­la­re gli in­ve­sti­men­ti in istru­zio­ne bi­so­gna spin­ge­re i gio­va­ni a la­vo­ra­re e stu­dia­re al­lo stes­so tem­po. L’op­po­sto dei NEET (gio­va­ni che non stu­dia­no e non la­vo­ra­no al tem­po stes­so) di cui ab­bia­mo og­gi il tri­ste pri­ma­to. Per fa­re que­sto bi­so­gne­reb­be in­tro­dur­re in Ita­lia la for­ma­zio­ne tec­ni­ca uni­ver­si­ta­ria sul mo­del­lo del­le scuo­le di spe­cia­liz­za­zio­ne te­de­sche, le co­sid­det­te Fach­ho­ch­schu­le. Cia­scu­na uni­ver­si­tà, an­che se­de pe­ri­fe­ri­ca, in ac­cor­do con un cer­to nu­me­ro di im­pre­se lo­ca­li, po­treb­be in­tro­dur­re un cor­so di lau­rea trien­na­le ca­rat­te­riz­za­to da una pre­sen­za si­mul­ta­nea in im­pre­sa e in ate­neo. Me­tà dei cre­di­ti ver­reb­be ac­qui­si­to in au­la e me­tà in azien­da. Il la­vo­ra­to­re sa­reb­be im­pie­ga­to in azien­da e se­gui­to da un tu­tor. Con con­trol­li re­ci­pro­ci fra uni­ver­si­tà e im­pre­sa sul­la qua­li­tà del­la for­ma­zio­ne con­fe­ri­ta al la­vo­ra­to­re che ri­dur­reb­be­ro for­te­men­te il ri­schio di abu­so. I gran­di ate­nei po­treb­be­ro or­ga­niz­za­re una de­ci­na di que­sti cor­si con un ba­ci­no di cir­ca 800 stu­den­ti per ate­neo, pa­ri a 80 stu­den­ti per an­no in cia­scun cor­so di spe­cia­liz­za­zio­ne. I pic­co­li ate­nei dif­fi­cil­men­te ne or­ga­niz­ze­ran­no più di due o tre cia­scu­no. In que­sto mo­do si po­treb­be ar­ri­va­re ad ave­re ogni an­no 12-15­mi­la nuo­vi gio­va­ni oc­cu­pa­ti. A re­gi­me, su tre an­ni, la ri­for­ma po­treb­be por­ta­re i gio­va­ni oc­cu­pa­ti e im­pe­gna­ti in lau­ree bre­vi di spe­cia­liz­za­zio­ne in­tor­no al­le 50­mi­la uni­tà, un nu­me­ro si­gni­fi­ca­ti­vo, da­ta la di­men­sio­ne del­le coor­ti di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro.
Le due ri­for­me di cui so­pra so­no a co­sto ze­ro per le cas­se del­lo Sta­to. La ter­za avreb­be co­sti li­mi­ta­ti. Po­treb­be im­pe­gna­re i fon­di strut­tu­ra­li inu­ti­liz­za­ti met­ten­do a di­spo­si­zio­ne fi­no a 150 mi­lio­ni per il de­col­lo di nuo­ve ini­zia­ti­ve im­pren­di­to­ria­li so­prat­tut­to nel­le aree più svan­tag­gia­te del pae­se. Me­dian­te un ac­cor­do con le ban­che, po­treb­be se­le­zio­na­re 1.000 pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li da so­ste­ne­re at­ti­van­do cre­di­to fi­no a quat­tro o cin­que vol­te que­sta ci­fra. La fa­se di se­le­zio­ne dei pro­get­ti com­por­te­reb­be il fi­nan­zia­men­to di uno sta­ge al­l’e­ste­ro (o in re­gio­ni con un for­te tes­su­to im­pren­di­to­ria­le e buo­ne uni­ver­si­tà) in cui per­fe­zio­na­re il pro­prio bu­si­ness plan per 5.000 aspi­ran­ti im­pren­di­to­ri. I sol­di ver­reb­be­ro da­ti ai gio­va­ni, ma ser­vi­reb­be­ro di fat­to co­me ga­ran­zia per i pre­sti­ti ban­ca­ri. Sa­reb­be un mo­do an­che per spin­ge­re le ban­che a spo­sta­re la lo­ro at­ten­zio­ne dai clien­ti con­so­li­da­ti e spes­so non più in gra­do di ge­ne­ra­re va­lo­re ag­giun­to a chi ha idee e la for­zaed en­tu­sia­smo per por­tar­le avan­ti.

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Io sono fiero di essere quello che sono. Punto.

Clemente Gasparri (sì, il fratello di Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato) in qualità di vice comandante dell’Arma in occasione di una lezione sulla pedopornografia presso Scuola Ufficiali dei Carabinieri di Roma regala un insegnamento abbastanza spericolato«Ammettere di essere gay, magari facendolo su un social network, come un graduato della Guardia di Finanza, non è pertinente allo status di Carabiniere. L’Arma è come un treno in corsa, i passeggeri sono vincolati, prima di scendere, alla responsabilità di lasciare pulito il posto occupato. Gli ufficiali del Ruolo Speciale che fanno il ricorso, i giovani ufficiali dell’applicativo che fanno istanze per avvicinarsi alla famiglia, gli omosessuali che ostentano la loro condizione, sono in sintesi tutti passeggeri sciagurati dell’antico treno, potenzialmente responsabili della sporcizia o del deragliamento».

Un Appuntato Scelto della Guardia di Finanza prende carta e penna e risponde:

Le sue affermazioni ci riportano indietro di decenni. Il suo “consiglio” (e noi militari sappiamo benissimo cosa significa questo termine quando proviene da un Superiore) a non palesare il proprio orientamento sessuale è un macigno che cade in testa a quei militari che magari dopo tanta  fatica e sofferenza interiore avevano deciso di uscire alla luce del sole. Di essere e di vivere finalmente la loro vera natura senza dover più fingere di essere quello che non sono. Sperando di essere giudicati  non per chi si portano a letto o per chi amano ma solo in quanto buoni militari.

Non so se la conosce, Generale, ma in Italia esiste una associazione a cui sono fiero di appartenere, Polis Aperta, che è composta da appartenenti gay e lesbiche di tutte le Forze dell’Ordine e Forze Armate, inclusa la sua, che vivono serenamente e apertamente la propria condizione di gay in un ambiente militare o militarmente organizzato. Ci conosciamo tutti e siamo sparsi per la Penisola. Provi a conoscerci, Generale, provi a parlare con un suo militare gay e vedrà che si troverà di fronte ad un Carabiniere come tutti gli altri, con gli stessi pregi e gli stessi difetti. Non impedisca ad un suo militare di amare. Nessuno dovrebbe vergognarsi di quello che è.  Io non sono fiero di essere gay, così come non sarei fiero di essere etero. Io sono fiero di essere quello che sono. Punto.

Non so se la Sua posizione sia condivisa dal Comandante Generale dell’Arma ma spero vivamente di no.

Appuntato Scelto Marcello Strati

Ecco, sarebbe bello smettere tutto intorno di balbettare sul tema.

Un caffè macchiato camorra al Bar ‘Gran Caffè Sforza’ nel centro di Milano

La camorra ‘cutoliana’ nel cuore di Milano e in provincia attraverso bar, societa’ immobiliari, attivita’ commerciali e fabbriche di videopoker. C’e’ anche il bar ‘Gran Caffe’ Sforza’, nel centro storico del capoluogo lombardo, tra i beni sequestrati durante un’operazione antimafia dei carabinieri del Noe di Roma a Milano e nell’hinterland e nel Casertano. Sequestrati beni per 20 milioni riconducili a Mauro Russo, appartenente al clan Belforte o dei Mazzacane, che e’ stato arrestato. Indagate 12 persone.

Russo, 47 anni, e’ accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso. Non avrebbe solo reinvestito capitali sporchi ma, secondo un’intercettazione del 15 novembre scorso, anche rivelato di poter superare alcuni passaggi dell’iter amministrativo. ”Mi servirebbe, pero’ urgentemente, il certificato camerale, con la dicitura antimafia, per il bar qua di via Sforza”, avrebbe detto Russo al telefono con tale Paolo. L’associazione camorrista estorceva denaro agli operatori commerciali e si scontrava con le armi con altri gruppi camorristici per il controllo dello spaccio di droga e per l’imposizione di macchinette videopoker o slot machine agli esercenti di bar. Le indagini hanno portato alla luce un vasto giro di affari realizzato attraverso il reimpiego di capitali sporchi e una rete di prestanome legati a Russo. Secondo alcuni pentiti, Russo sarebbe il referente di Pasquale Scotti, latitante dal 1985, detto ‘Pasqualino o’ collier’ per aver regalato un collier alla moglie di Raffaele Cutolo, lo storico boss della Nuova Camorra Organizzata (Nco).  Fin dal 1999 Russo si e’ associato al clan Belforte, ex cutoliano. Dapprima ha imposto la distribuzione delle proprie slot machine agli esercizi commerciali di Marcianise (Caserta) e in zone limitrofe per poi diventare affiliato del clan. Al punto da fornire armi e auto usate per omicidi, offrendo appoggio logistico ai latitanti del gruppo, ma anche per il riciclaggio dei proventi illeciti, soprattutto nella zona di Milano. Il decreto di sequestro preventivo e’ stato eseguito dai carabinieri del Noe di Roma guidati dal colonnello Sergio De Caprio, noto anche come ‘Ultimo’, e dal capitano Pietro Rajola Pescarini. A disporlo il gip del Tribunale di Napoli Andrea Rovida su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo campano.

 

Queste ragazzine si sono rivolte a lui e gli hanno detto: “Voteremo per toglierle l’incarico.” Oggi non ha più l’incarico.


Spesso giro il mondo, per fare discorsi, e la gente mi fa domande sulle sfide, sui miei momenti, sui miei rimpianti. 1998: Mamma single, di 4 bambini, tre mesi dopo la nascita del mio quarto figlio andai a lavorare, come assistente ricercatrice, nella Liberia del nord. Come parte del contratto, il villaggio ci forniva un alloggio. Mi diedero un alloggio con una madre single e sua figlia.

La ragazza era l’unica ragazza di tutto il villaggio che era arrivata alla prima superiore. Era lo zimbello della comunità. Altre donne dicevano a sua madre: “Tu e tua figlia morirete povere”. Dopo due settimane di lavoro in quel villaggio, fu tempo di rientrare. La madre venne da me, in ginocchio, e mi disse: “Leymah, prendi mia figlia. Voglio che diventiun’infermiera”. Poverissima, vivevo a casa con i miei genitori, non potevo permettermelo.Con le lacrime agli occhi, dissi “No”.

Due mesi dopo, visitai un altro villaggio per lo stesso incarico e mi chiesero di vivere con il capo del villaggio. Il capo delle donne del villaggio aveva una bambina, come me, la pelle chiara, sporca da capo a piedi. Se ne andava in giro tutto il giorno in mutande. Quando chiesi: “Chi è quella?” mi disse: “Quella è Wei. Il suo nome significa maiale. Sua madre è morta dandola alla luce, e nessuno sa chi sia il padre”. Per due settimane, diventò la mia compagna, dormiva con me. Le comprai vestiti usati e le comprai la sua prima bambola. La sera prima di partire, venne in camera da me e disse: “Leymah non lasciarmi qui. Voglio venire con te. Voglio andare a scuola.” Poverissima, senza soldi, in casa con i miei genitori, ancora una volta dissi: “No”. Due mesi dopo, entrambi i villaggi furono coinvolti in un’altra guerra. Ad oggi, non ho idea di dove siano quelle due ragazze.

Avanti veloce, 2004: al culmine del nostro attivismo, il ministro per la parità della Liberia mi chiamò e disse: “Leymah, ho una bimba di nove anni per te. Voglio che la porti a casaperché non abbiamo case sicure”. La storia di questa ragazzina: Era stata violentata dal nonno paterno, tutti i giorni, per sei mesi. Venne da me tutta gonfia, molto pallida. Tutte le sere tornavo dal lavoro e mi sdraiavo sul pavimento freddo. Lei si sdraiava accanto a me e diceva: “Zia, voglio stare bene. Voglio andare a scuola.”

2010: Una giovane donna, di fronte al Presidente Sirleaf, testimonia di come lei e i suoi fratelli vivessero insieme, il loro padre e la loro madre morti durante la guerra. Lei ha 19 anni; il suo sogno è andare all’università per poterli aiutare. È molto atletica. E succede chesi candida per una borsa di studio. Una borsa di studio completa. La ottiene. Il suo sogno di andare a scuola, il suo desidero di ricevere un’istruzione, alla fine si avvera. Va a scuola il primo giorno. Il direttore degli sport, responsabile per averla inserita nel programma le chiede di uscire dall’aula. E nei 3 anni successivi, il suo destino sarà avere relazioni sessuali con lui ogni giorno, come favore per averla fatta entrare a scuola.

Globalmente, abbiamo delle regole, strumenti internazionali, dirigenti che lavorano. Grandi persone hanno preso impegni — proteggeremo i nostri figli dal bisogno e dalla paura. Le Nazioni Unite hanno la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia. Paesi come gli Stati Uniti hanno la legge No Child Left Behind [Nessun bambino lasciato indietro]. Altri paesi fanno cose diverse. Uno degli obiettivi di sviluppo del millennio chiamato Three si focalizza sulle bambine. Tutti questi grandi lavori di grandi persone con lo scopo di portare i giovani dove vogliamo che vadano globalmente, credo abbiano fallito.

In Liberia, per esempio, il tasso di gravidanza tra le adolescenti è di 3 ogni 10 ragazze. La prostituzione tra le adolescenti è al suo massimo. In una comunità, ci dicono, ti alzi la mattina e vedi preservativi usati come se fossero carte di caramelle. Le ragazze di appena 12 anni si prostituiscono per meno di un dollaro a notte. È scoraggiante, è triste. E poi qualcuno mi ha chiesto, poco prima che parlassi a TED, qualche giorno fa: “Dov’è la speranza?”

Diversi anni fa, alcuni amici decisero che era arrivato il momento di colmare il vuoto tra la nostra generazione e la generazione delle giovani donne. Non è sufficiente dire di avere due premi Nobel nella Repubblica di Liberia, se le vostre ragazzine sono del tutto abbandonate,senza speranza, o sembrano senza speranza. Abbiamo creato uno spazio chiamato Young Girls Transformative Project [Progetto di Trasformazione per le Ragazze]. Andiamo nelle comunità rurali e tutto quello che facciamo, come è stato fatto in questa sala, è creare lo spazio. Quando queste ragazze si siedono, si dà spazio alla loro intelligenza, alla loro passione, al loro impegno, alla loro determinazione, si dà spazio a delle grandi leader.Finora abbiamo lavorato con più di 300 di loro. E alcune di queste ragazze che sono entrate nella stanza molto timide hanno fatto passi da gigante, da giovani madri, per tornare nel mondo e promuovere i diritti di altre giovani donne.

Una giovane donna che ho incontrato, madre adolescente di 4 bambini, che non aveva mai pensato di finire le superiori, si è diplomata con successo; non aveva mai pensato di andare all’università, si è iscritta all’università. Un giorno mi ha detto: “Il mio desiderio è finire l’università ed essere in grado di crescere i miei figli”. Al momento non riesce a trovare il denaro per andare a scuola. Vende acqua, vende bibite e vende ricariche del telefono. Potreste pensare che, quei soldi, li investe nella propria istruzione. Si chiama Juanita. Prende quei soldi e cerca madri single, nella sua comunità da rimandare a scuola.Dice: “Leymah, il mio desiderio è avere un’istruzione. E se non posso avere un’istruzionequando vedo le mie sorelle con un’istruzione, il mio desiderio si è avverato. Desidero una vita migliore. Desidero cibo per i miei bambini. Desidero che si metta fine agli abusi sessuali e allo sfruttamento nelle scuole.” Questo è il sogno della Ragazza Africana.

Diversi anni fa, c’era una ragazza africana il cui figlio desiderava un pezzo di ciambellaperché aveva molta fame. Furiosa, frustrata, molto preoccupata per le condizioni della sua società e dei suoi figli, questa ragazza ha dato il via a un movimento, un movimento di donne comuni che si sono riunite per la pace. Io esaudirò il desiderio. Questo è il desiderio di un’altra Ragazza Africana. Ho fallito nell’esaudire il desiderio di quelle due ragazze. Ho fallito. Questi erano i pensieri che passavano per la mente di questa giovane donna — ho fallito, ho fallito, ho fallito. Quindi farò questo. Le donne si sono esposte, per protestare contro un feroce dittatore, parlando con coraggio. Non solo il desiderio di un pezzo di ciambella è diventato realtà, il desiderio di pace è diventato realtà. Questa giovane donnadesiderava anche andare a scuola. È andata a scuola. Questa giovane donna desiderava altre cose, che si sono avverate.

Oggi, questa giovane donna sono io, sono un premio Nobel. Ora sto intraprendendo un percorso per esaudire il desiderio, delle bambine africane con le mie limitate capacità — il desiderio di ricevere un’istruzione. Abbiamo creato una fondazione. Diamo borse di studio complete di 4 anni a ragazze di villaggi che mostrano un potenziale.

Non ho molto da chiedervi. Sono stata anche in zone degli Stati Uniti, e so che anche le ragazze di questo paese hanno dei sogni, il sogno di una vita migliore, da qualche parte nel Bronx, sogni di una vita migliore da qualche parte nel centro di Los Angeles, sogni di una vita migliore da qualche parte nel Texas, sogni di una vita migliore da qualche parte a New York, sogni di una vita migliore da qualche parte nel New Jersey.

Volete accompagnarmi nell’aiutare quella ragazza, che sia una ragazza africana o una ragazza americana o una ragazza giapponese, a esaudire il suo desiderio, a esaudire il suo sogno, a realizzare il suo sogno? Perché tutti questi grandi innovatori, questi inventori con cui abbiamo parlato e che abbiamo visto in questi ultimi giorni sono anche loro seduti in un angolo in diverse parti del mondo, e tutto quello che ci chiedono di fare è creare quello spazio per liberare l’intelligenza, liberare la passione, liberare tutte quelle belle cose che loro trattengono dentro di sé. Facciamo la strada insieme. Facciamola insieme.

Grazie.

(Applausi)

Chris Anderson: Grazie infinite. Oggi in Liberia, qual è il problema che più la preoccupa?

LG: Mi è stato chiesto di guidare l’Iniziativa di Riconciliazione Liberiana. In quanto parte del mio lavoro, faccio queste visite in diversi villaggi, nelle città — 13, 15 ore su strade sconnesse — e in nessuna delle comunità in cui sono stata mancavano le ragazze intelligenti. Purtroppo, la visione di un grande futuro, il sogno di un grande futuro, è solo un sogno, perché abbiamo tutti questi problemi. La gravidanza in età adolescenziale, è diffusissima.

Quello che mi preoccupa è che io stessa ero una di loro e in qualche modo ora sono qui, e vorrei non essere l’unica ad essere qui. Cerco di fare in modo che altre ragazze siano con me. Tra 20 anni voglio guardarmi indietro e vedere un’altra ragazza liberiana, una ragazza del Ghana, una ragazza nigeriana, una ragazza etiope sul palco di TED. E forse, dico forse, dirà: “Grazie a quel premio Nobel oggi sono qui.” Sono preoccupata quando vedo che in loro non c’è speranza. Tuttavia non sono pessimista, perché so che non ci vuole molto per dare loro la carica.

CA: E in quest’ultimo anno, ci dica una cosa incoraggiante che ha visto accadere.

LG: Le posso parlare di molte cose incoraggianti che ho visto accadere. Ma nell’ultimo anno, siamo andate nel villaggio da cui proviene il presidente Sirleaf per lavorare per quelle ragazzine. E non c’erano neanche 25 ragazze alle scuole superiori. Tutte le ragazze andavano alle miniere d’oro, ed erano in prevalenza prostitute, che facevano altre cose.Abbiamo preso 50 di queste ragazze e abbiamo lavorato con loro. Eravamo all’inizio delle elezioni. Questo è un luogo dove le donne — anche le più anziane a malapena si siedono accanto agli uomini. Queste ragazze si sono riunite, hanno formato un gruppo e hanno lanciato una campagna per registrare gli elettori. È un villaggio molto rurale. Il tema che hanno usato è stato: “Anche le ragazze carine votano.” Sono riuscite a mobilitare le giovani donne.

Ma non hanno fatto solo questo, sono andate dai candidati a chiedere: “Cosa farete alle ragazze di questa comunità se vincerete?” E uno di loro che aveva già un incarico — perché la Liberia ha una delle più forti leggi contro lo stupro, e lui era uno di quelli che in parlamento si batteva per far revocare quella legge perché diceva che era barbara. Lo strupro non è una barbarie, la legge lo è, diceva. Quando le ragazze hanno iniziato a coinvolgerlo, lui era molto ostile nei loro confronti. Queste ragazzine si sono rivolte a lui e gli hanno detto: “Voteremo per toglierle l’incarico.” Oggi non ha più l’incarico.

(Applausi)

CA: Leymah, grazie. Grazie di essere venuta a TED.

LG: È stato un piacere. (CA: Grazie.)

(Applausi)

Ma dalla crisi si esce rafforzando i diritti

Lo dice (bene) Giuliano Pisapia: «Milano è città Medaglia d’oro della Resistenza, e già per questo non sono tranquillo di fronte a un annunciato convegno di questo tipo. C’è un problema in Europa, rappresentato da chi pensa che la crisi si possa risolvere cercando capri espiatori e aumentando le discriminazioni razziali, sessuali e religiose. Ma dalla crisi si esce rafforzando i diritti».

Per questo il convegno dell’Alleanza europea dei movimenti nazionali, organizzato all’Hotel Michelangelo da Roberto Jonghi Lavarini per venerdì e sabato a Milano è una pessima notizia. Perché la democrazia va difesa, di questi tempi. E in città come Milano che sono medaglie d’oro alla resistenza, un raduno delle destre xenofobe europee è un insulto.

Perché nonostante i La Russa e i Borghezio la xenofobia è un reato (qualcuno se lo scorda) ma soprattutto uno scempio antidemocratico. Per dire.