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Giulio Cavalli

La parata per i terremotati

E’ un’ottima idea destinare i soldi della parata del 2 giugno ai terremotati. Perché significa avere l’intelligenza e la responsabilità di riconoscere le priorità reali di questo Paese e perché la “sicurezza” sta nell’intervenire sui bisogni delle persone in difficoltà. Subito e efficacemente.

E perché un terremoto è un dolore squarciante e imprevedibile ma l’aiuto e la solidarietà sono tutte nelle decisioni degli uomini.

“non si può imprecare contro il destino… spesso fabbrichiamo con il fango su terreni mobili e molli… e quando poi un terremoto getta a terra gli abituri, imprechiamo agli inferi e supplichiamo i superi”

(prof. Giuseppe De Lorenzo, su La Gerarchia, dopo il terremoto del 1930)

Come andare al voto, in Lombardia.

Perché dobbiamo tornare al voto. Senza indugi. Perché Formigoni ormai sta precipitando nel ridicolo. E intanto oggi abbiamo illustrato la nostra proposta di legge elettorale. Sperando di approvarla (e soprattutto usarla) prima possibile.

(ANSA) – MILANO, 28 MAG – ”Formigoni si dimetta subito e si vada al voto anticipato in Lombardia”: e’ la richiesta che il gruppo di Sel al Consiglio regionale ha ribadito di fronte ai nuovi particolari emersi sui rapporti fra il governatore del Pdl, Roberto Formigoni, e il faccendiere Piero Dacco’. Secondo Chiara Cremonesi e Giulio Cavalli, ”c’e’ il tempo per approvare una riforma minima della legge elettorale” gia’ in queste settimane ”per poi andare al voto”. Proposta che si inserisce nell’iter avviato la scorsa settimana in commissione Affari Istituzionali e che e’ stata presentata stamani: prevede abolizione del listino e introduzione della doppia preferenza di genere per garantire adeguata rappresentanza alle donne. Una proposta piu’ complessiva di riforma delle regole elettorali in Lombardia, illustrata sempre oggi al Pirellone dal gruppo di opposizione, prevede una piu’ lunga gestazione: fra le ulteriori richieste, quella dell’introduzione del doppio turno per le regionali sul modello delle comunali; la riduzione da 80 a 70 consiglieri; l’estensione del diritto di voto ai cittadini nati in Italia da genitori stranieri e a coloro che sono residenti da almeno 18 anni; la previsione per legge delle primarie; l’ineleggibilita’ anche in presenza di rinvio a giudizio o di sentenze di condanna di primo grado per i reati mafia, contro la pubblica amministrazione e per atti di terrorismo; la definizione del conflitto di interessi; la previsione di un tetto alle spese elettorali.

Giuseppe Imbalzano risponde

Giuseppe Imbalzano mi scrive una lettera aperta sull’episodio dell’infelice battuta. Inevitabilmente la sensibilità di molti ha amplificato la sua infelice uscita su diversi quotidiani (e, lasciatemelo dire, per fortuna) ma attenzione al giochetto di chi vorrebbe sotterrare dietro questa polemica i nodi cruciali di una sanità che riesce ad essere più elegante nelle parole ma con risultati disastrosi verso i cittadini e l’etica pubblica (non serve nemmeno citarli, basta guardare le prime pagine dei quotidiani degli ultimi mesi). Perché noi abbiamo chiesto la rimozione di Pietrogino Pezzano, tanto per dire, o di Felice Tavola. E sui quei problemi ci concentriamo. E abbiamo chiesto le scuse (che sono qui) di Imbalzano. Ora il dirigente (con cui ci siamo sentiti telefonicamente) prenderà le sue decisioni sperando che non siano decisioni convergenti con il sistema che “combattiamo”.

“Caro Dr Giulio Cavalli

Sono il reo (non mostro, spero) di quanto accaduto. Le scuse, man mano che ho potuto, le ho presentate. La battuta, che nulla aveva di provocatorio, ma che fa parte della cultura Yiddish, raccontatami da un mio amico ebreo israeliano, è assolutamente paradossale e rappresenta il rifiuto per la totale assenza di umanità che ha reso il rapporto tra gli uomini violento e senza prospettive se il nostro comportamento non persegue una etica di sensibilità e di rispetto che travalichi quelli che sono gli elementi sensibili di ognuno di noi, colore della pelle, religione, distinzioni di genere, salute e speranze in ogni atto o situazione.

Scusarmi è dovuto, ed è anche poco, considerato che non solo non volevo essere offensivo, ma rimarcare quali siano le mostruosità a cui sono state sottoposte milioni di persone. E in qualche parte del mondo lo sono tuttora. Il mio lavoro, la mia vita, la mia quotidianità, sono impostati alla ricerca di soluzioni e risposte ai bisogni dei cittadini, in particolare dei deboli e dei fragili. Da oltre 35 anni lavoro in sanità pubblica e credo che tanto del mio lavoro sia stato fatto proprio per rispondere alle esigenze di tutti, dalla semplificazione organizzativa alla gestione di servizi per favorire l’accesso ai cittadini con limitazioni funzionali o fisiche, dalla informatizzazione di intere aziende all’avvio del primo call center lombardo nei primi anni 90, da interventi e sviluppi nel settore della telemedicina, dagli interventi di riorganizzazione di ospedali o intere aziende alla ristrutturazione di parti o settori di ospedali.

Revisioni che hanno portato alla riduzione dei tempi di attesa o di degenza con servizi più efficienti, e, spero, anche più efficaci. Alcuni progetti innovativi come” l’ospedale aperto” e per “l’umanizzazione degli ospedali” sono tuttora operanti in strutture dove ho prestato la mia opera. Sono progetti che hanno cercato di rendere le strutture di ricovero più vicine ed assimilabili al domicilio, dal telefono a disposizione ai servizi essenziali forniti con il costo stesso del drg e non a pagamento. E non solo questo, naturalmente.

Poco, forse, ma costante e continuo. Ma oltre a questa attività mi sono occupato di progetti e interventi sulla prevenzione umana, sia in generale che, negli ultimi anni, sulla prevenzione dei tumori che tanto affligge la Nostra Regione. Azioni che hanno portato a modelli ed attenzioni diverse rispetto al passato, coinvolgendo intere comunità e aziende ospedaliere, pubbliche e private di intere Province.

Non aggiungo altro se non che sono stato premiato su un progetto, “sciogliete le file” nell’ambito del concorso “cento progetti” che sono stati attivati nel 1995 dal Governo Italiano. Non vinto ma segnalato per altri progetti, sempre nelle edizioni successive. Ho partecipato e sono stato responsabile scientifico di progetti della UE sulla semplificazione in Sanità e sulla informatizzazione della medicina generale.

Non vado oltre perché, pur avendo fatto molte altre cose, che poi sono esitate in documenti, pubblicazioni e partecipazioni a congressi, nazionali ed internazionali, tutte orientate a cercare di risolvere problemi esistenti per le barriere, non solo fisiche ma anche culturali, morali e relazionali, che si creano tra servizi e cittadini, diventerei oggettivamente troppo lungo.

Ma ci sono i documenti e sono a disposizione di chiunque voglia valutare e considerare quanto io abbia fatto nel corso di questi anni.

Sono assolutamente dispiaciuto ed amareggiato per come sia stata mal interpretata una mia, insisto, infelicissima battuta, che non mi appartiene come pensiero e come azione. Nel quotidiano come da sempre è stata mia cura agire per il bene e non per danneggiare la collettività intera. Sono davvero dispiaciuto e chiedo scusa per le mie parole, che abbiano o no offeso qualcuno, con tutta la sensibilità che credo di avere e di poter dimostrare di avere, umana e culturale.

Nel caso lo ritenesse, sono a Sua disposizione per un incontro per chiarire questo od altri argomenti che Lei ritenesse opportuni. La ringrazio per aver dato il giusto valore a parole esecrabili se lette nella forma scorretta e per l’attenzione ai temi sulla dignità umana che sono il fulcro del Suo operare e che perseguo anche io quotidianamente, seppure commettendo, come in questo caso, un errore grave data la posizione che occupo in seno alla attività dei Servizi Sanitari Lombardi. Cordialmente Giuseppe Imbalzano”.

Un chiardiluna diurno

Lidia, quanto può avere, una trentina d’anni, è una donna fatta e ben fatta, una bruna portoghese, più sul basso che sull’alto, se può avere qualche importanza menzionare i segni particolari o le caratteristiche fisiche di una semplice cameriera che finora non ha fatto altro che pulire il pavimento, servire la colazione e, una volta, ridere vedendo un uomo a cavalluccio di un altro, mentre quest’ospite sorrideva, tanto simpatico, ma ha l’aria triste, non deve essere una persona felice, anche se ci sono momenti in cui il suo viso si rischiara, è come questa stanza scura, quando là fuori le nuvole lasciano passare il sole, qui dentro entra una specie di chiardiluna diurno, una luce che non è quella del giorno, una luce ombra di luce.

(José Saramago, L’anno della morte di Ricardo Reis)

Milano che (in politica) mangia i suoi figli

Da leggere e rifletterci.

Improvvisamente, nessuno (e siamo solo all’inizio di maggio) scommette più sul futuro politico di Roberto Formigoni, fino a ieri solidissimo governatore della Lombardia. Riuscirà a sopravvivere agli scandali (di notevole entità, peraltro: Mani Pulite capitalizzava un decimo di quanto hanno arraffato gli attuali – piissimi, cattolicissimi – consulenti della sanità lombarda)?

Cadrà per mano dei pubblici ministeri, o sarà semplicemente trascinato a fondo dalle sue vacanze troppo pacchiane? Trascinerà con sé in disgrazia anche il più potente movimento conservatore del cattolicesimo italiano, quella Comunione e Liberazione che lo ha messo alla guida della più ricca regione dell’Europa?

In attesa della risposta, c’è da rilevare una storia propria della città, una dura sequenza di fatti che non gioca a favore del futuro politico di Roberto Formigoni. La storia riguarda Milano, città in continua ebollizione, fantastica culla di movimenti politici, nutrice e sostenitrice degli stessi, ma capace anche di trasformarsi improvvisamente in nemica e di schiacciare chi aveva osannato, con decisione rapida e, come vedremo, con una certa crudeltà.

Negli ultimi cent’anni è successo a Benito Mussolini, a Bettino Craxi, a Silvio Berlusconi, a Umberto Bossi, e ora sembra proprio che tocchi al Governatore, detto anche «Il Celeste». Il quale sicuramente non si dispiacerà di essere finito in cotanta compagnia: lui che si lamenta dei cronisti, dei gossip, dei media, ancora non si rende conto di essere entrato nella Storia.

L’argomento, se ci pensiamo, è affascinante, come la città di cui parliamo. Prendiamo il primo esempio, vecchio ormai più di un secolo. Siamo nel marzo del 1919, Benito Mussolini è ancora uno stravagante ed eccentrico socialista, ma sa che se vuole sfondare deve farlo a Milano, perché è la città più moderna, più ricca, più sensibile. La città che sale, come l’ha definita un pittore futurista.

E così i suoi cento fondatori dei «Fasci di combattimento», che si riuniscono nella sede dell’Unione degli industriali di piazza San Sepolcro, ottengono proprio qui i primi finanziamenti e incoraggiamenti, che diventeranno sempre più cospicui, uniti a quelli degli agrari emiliani, specie quando i neonati fascisti incominceranno ad aggredire le Camere del Lavoro, a uccidere sindacalisti, a inaugurare la stagione dello squadrismo politico.

La borghesia milanese ha una vista lunga: dal momento che non vuole il bolscevismo in Italia, Benito Mussolini, con i suoi metodi, le va benissimo. La storia, come tutti sanno, finirà solo nel 1945. Ma sono importanti i dettagli. Distrutto dall’andamento della guerra, ormai orrenda marionetta di Hitler, Mussolini cercherà l’ultimo consenso proprio a Milano. Il 16 dicembre del 1944 il Duce parla al Teatro Lirico, stracolmo di folla ancora osannante (e ci voleva un bel fegato!).

È sicuro di poter ancora trovare una via d’uscita, una resistenza a nord del Po (a proposito: la Padania la inventò lui, in quell’occasione). L’aria è lugubre, quel giorno a Milano, ma la folla gli batte le mani. Nell’aprile del 1945 il suo cadavere penzolerà dalla struttura di un distributore di benzina in piazzale Loreto e i milanesi faranno a gara per farne scempio.

Curioso, vero? Appena quattro mesi dopo l’ultima investitura. Leo Valiani si chiese quanti di quelli che erano al Lirico erano anche a piazzale Loreto, ed era un’ottima domanda. Il giovane scrittore Oreste Del Buono si chiese invece se quelli che vi arrivarono non fossero chiamati per «l’estrema manifestazione indetta da Lui», cui non potevano sottrarsi. E Lui era uno che con i media ci sapeva fare.

Il fascismo, nato a Milano, morì a Milano. Durò vent’anni. Ma quel finale – wow!, chi non se lo ricorda! Da allora, nel linguaggio politico, quando sulla scena compare un avventuriero, quel distributore di benzina viene sempre evocato, essendo diventato una parte del carattere italiano. L’organizzata ferocia milanese contrapposta alla volubilità della plebe romana o alle imprevedibili esplosioni del Sud.

Secondo esempio, a dimostrazione di quanto Milano sia senza cuore, è il caso di Bettino Craxi. Leader di un partito socialista che è la principale anima storica della città, assume rilevanza nazionale a metà degli anni Settanta, quando si mette al centro della scena politica. A Milano regala sviluppo, soldi, spregiudicatezza, progresso (e ci mette la normale dose di corruzione di quei tempi, il 5 per cento) e la cosa dura fino al 1992.

Un attimo prima dell’inizio di Mani Pulite, Paolo Pillitteri sindaco (cognato di Bettino) aveva il consenso del settanta per cento dei milanesi, un mese dopo i milanesi inseguivano i craxiani con i forconi. Craxi capì subito, e nella sua Milano non abbozzò neppure una resistenza. Il craxismo era durato sedici anni, nato a Milano con concorso di popolo e borghesia, stroncato a Milano dalla Procura, con concorso di popolino e borghesia.

E Berlusconi, allora? Questi sono stati quasi vent’anni della nostra vita e li dobbiamo tutti a Milano, che ne accompagna l’ascesa come si fa per il figlio prediletto. È allegro, fa circolare il denaro, considera quasi un insulto il pagare le tasse, odia i lacci e lacciuoli intessuti dalla burocrazia, dalla Guardia di finanza, dai pretori; sopporta a malapena i sindacati; Milano apprezza la sua furbizia, la volgarità da nuovo ricco; lui fa divertire i cittadini dandogli la televisione gratis e una stellare squadra di football.

E quindi gli si perdona tutto: i fascisti sdoganati (Milano era una volta una città antifascista), la mafia portata in casa, la volgarissima vita privata e le spregiudicate alleanze politiche. Non c’è dubbio che Milano, nei suoi umori più profondi e più specifici l’abbia eletto coscientemente a proprio campione; ma, quasi ci fosse un sentire più profondo, è stata capace, cinicamente, di sciogliere unilateralmente il contratto.

Annebbiato dal suo formidabile successo, Berlusconi aveva scelto proprio Milano – e la piazza San Babila ricca di memorie fasciste – per proclamarsi, nel 2007, leader naturale di un «partito di tutto il popolo italiano» con una scenografia retro e vagamente lugubre – il famoso discorso «del predellino», denominazione abbastanza curiosa perché le automobili hanno smesso di avere il predellino a partire dagli Anni 40. Due anni dopo, ebbe un incontro ravvicinato con la città quando un invasato lo colpì al volto con una statuetta souvenir del Duomo; e da molti la cosa venne vista come un brutto presagio.

Si venne a sapere che la sua reggia, ad Arcore, era stata trasformata in una specie di bordello, dove il re senile era alla mercè di ogni ricatto, una specie di Salò pasoliniana. E così Milano si accorse che il tempo di Berlusconi era scaduto, non serviva più; e alle elezioni per il sindaco del 2011, la sconfitta gli arrivò come uno schianto.

Non c’era stato, naturalmente, un piazzale Loreto; ma un certo aspetto di gogna, anche fisica, Milano non gliela aveva risparmiata. Il berlusconismo era durato diciotto anni. Poco dopo venne il turno di Umberto Bossi, che Milano non aveva mai veramente sposato, ma accettato come un male necessario. Vent’anni anche per lui, comunque.

La vicenda attuale di Comunione e Liberazione (e del suo maggiore esponente politico, il governatore Roberto Formigoni), è invece più complessa e con radici più profonde e inaspettate. Caso pressoché unico, di fronte ai grandi cambiamenti del ’68, Milano reagì diventando la culla di un movimento religioso cattolico di stampo molto conservatore.

Cl, fondata da un insegnante di religione, don Luigi Giussani, allibito dall’idea che delle studentesse liceali potessero prendere la pillola, si poneva in contraddizione con la tradizione del cattolicesimo lombardo progressista, con il Vaticano post-conciliare, propugnando una visione della vita molto antimoderna, specie nella sfera sessuale, ma anche una militanza comunitaria, una messa in comune dei profitti delle attività collettive, una tensione di testimonianza cristiana.

Di nuovo, Milano. E non Roma, o Torino. (Milano, dove, nel ’68, si ebbe anche l’unico caso al mondo di un movimento studentesco che sfilava con decine di migliaia di ragazzi inalberando ritratti di Stalin e del suo capo dei servizi segreti, Beria). Cl incarnava uno spirito profondo di Milano? La città laica nascondeva un cuore religioso inaspettato? Evidentemente sì, se si pensa che Cl ha avuto negli ultimi quarant’anni un eccezionale sviluppo, ha conquistato un grande potere politico, ha creato una classe dirigente, si è proposta come modello economico.

Ora è nel bel mezzo di uno scandalo di cospicue dimensioni che la colpisce nella sua stessa essenza. Testimoni della cristianità ritrovata sono in carcere accusati delle più laica delle attività, la tangente e la corruzione; lo stile di vita è messo a dura prova dagli yacht, dalle giacche, dal narcisismo e dall’amore per il lusso del governatore Formigoni.

La città tratterà anche lui come un nuovo corpo estraneo? E in quale modo avverrà la rottura? È quello che sapremo, forse, nelle prossime settimane. E a quel punto la città, abituata al marketing, si guarderà intorno per trovare qualcuno che, almeno provvisoriamente, la rappresenti. È come una bestia curiosa, Milano, non può stare ferma per sua stessa natura. Ha traffici da gestire, grattacieli da costruire, un’infinità di commerci da portare avanti, immigrati da sfruttare, ma anche da accogliere, un arcigno Palazzo di

Giustizia da tenere a bada e con cui mettersi d’accordo, brevetti da catturare, un benessere diffuso da mantenere. Non ha mai veramente amato i leader politici che ha lanciato nell’arena, che pure ha votato e finanziato, e quindi non ha particolari rimorsi quando li fa cadere. È senza anima, Milano. Oppure, se volete, è la forma più avanzata di democrazia.

#nonmifermo Voto unanime per lo scaffale della legalità a Trenzano (Bs)

Avevamo parlato qui dell’iniziativa dei due Consiglieri comunali di Trenzano (BS) che si erano fatti carico di presentare nel Comune bresciano l’ OdG “Scaffale della legalità”, nato dalla prima Agorà di Nonmifermo.

La mozione proposta dal Gruppo Consiliare “Futuro Adesso” è stata accolta con grande interesse in Consiglio Comunale e, dopo l’approvazione di una serie di emendamenti introdotti dall’Assessore  all’ Istruzione, è stata approvata con voto unanime e con i complimenti sinceri di tutti i Consiglieri presenti.

Qui la delibera finale approvata a Trenzano il 30 Aprile scorso.

Tranquilli

Nella mia intervista che oggi ha pubblicato il Corriere della Sera con il titolo sono andati giù a gamba tesa ma le parole ci sono tutte. E me le prendo tutte (so che non va di moda, che sarebbe da dire che sono stato frainteso e che sono le regole della stampa). Mi è stato chiesto se mi prendo la responsabilità delle istanze di un nutrito gruppo di persone che vorrebbero vedere alcuni dei loro punti nell’agenda prossima del centrosinistra in Lombardia e ho risposto sì. E risponderei di sì in qualsiasi minuto in cui mi ritrovo a “fare” la politica con la responsabilità di essere portatore di un modo e di un pensiero. E credo che la campagna elettorale per la Lombardia dovrebbe essere qualcosa di più dell’attesa che il prossimo faccendiere ci racconti del formigonismo le stesse cose che sentiamo da anni. Perché ogni tanto mi viene il dubbio che lo scopo sia quello di trovare (come sul piano nazionale) la formula algebrica di sigle e partiti per spuntarla possibilmente di poco per non avere troppe responsabilità e perché non è credibile proporre persone più etiche in un sistema che è antisociale nella concezione e nei meccanismi. Perché il cambiamento non si professa ma si pratica e perché in fondo già stamattina avevo spiegato il mio pensiero che è tutto politico nel senso più pieno.

Quindi potete stare tranquilli: qui non c’è in gioco la candidatura di un cognome (di questi tempi di derive personalistiche, poi), non ci interessa e non è importante, ma c’è un cambiamento che si costruisce già da un po’ mentre in Aula si fotografa la Minetti o si aspetta la prossima boutade di Formigoni. E non ci sono strategie intelligentissime di erosione sotterranea: semplicemente abbiamo le idee chiare e dal preoccuparci vogliamo essere affidabili per occuparci, della Lombardia. Chi annaspa con gli sms per ipotizzare gli scenari gioca ad un’altra cosa, ci si preoccupi del cantiere per il programma del centrosinistra e di stabilire le regole, piuttosto.

Il punto politico non è la barca ma gli amici degli amici

Lo scrive il Corriere della Sera molto chiaramente:

Il vero problema di Formigoni, infatti, non si chiama «Ad Maiora», lo yacht di Daccò che notoriamente ha ospitato spesso tra tanti amici anche il governatore senza che questi concorresse mai alle spese: questo (al pari degli aerei e delle ville) resta un problema serio di opportunità, che sinora non pare però essere stato molto avvertito dal governatore.

No, il vero problema di Formigoni si chiama «Ojala»: è un’altra barca di Daccò, ma la differenza è che in questo caso è come se Daccò nel 2007 avesse dato 144 mila euro a Formigoni attraverso l’affitto gratuito e l’utilizzo esclusivo di questa barca per quattro mesi. Talmente gratuito ed esclusivo che, essendo la barca totalmente a disposizione di Formigoni e del suo amico Perego senza la presenza a bordo del proprietario Daccò, la società austriaca di Daccò che possedeva la nave si preoccupò di fabbricare apparenti contratti di noleggio da parte di Perego: cioè documentazione che, in caso di controlli in mare, potesse giustificare Formigoni e Perego sulla barca e non li facesse passare per dei «pirati» che l’avevano rubata.

La rogatoria svizzera
Galeotta per Formigoni è stata una rogatoria inoltrata dalla Procura di Milano alle autorità svizzere, che in risposta hanno spedito in Italia anche alcuni contratti che uno dei collaboratori di Daccò, Giuseppe Danzi, aveva inviato a Giancarlo Grenci, il fiduciario elvetico di Daccò, per conto del quale gestiva la società austriaca «M.T.B».

I contratti riguardano l’apparente noleggio dell’imbarcazione «Ojala» nell’estate 2007 tra la titolare della barca, appunto la «M.T.B.» di Daccò, e Perego, un commercialista con società a Torino, come Formigoni aderente ai «Memores Domini» (comunità laicale cara a Comunione e Liberazione), in primo grado nel 2011 condannato a 4 mesi (pena sospesa) per falsa testimonianza per aver negato ai pm la invece documentata paternità di un conto bancario svizzero nell’inchiesta «Oil for Food» sul rappresentante personale di Formigoni in Iraq, quel Marco Mazarino De Petro la cui condanna in primo grado per corruzione internazionale si era prescritta in appello.

Contratti per coprire
Il problema di quei contratti di apparente noleggio della barca è che sono fittizi. Come ammette anche Daccò: «Sono contratti mai eseguiti, nel senso che non è mai stato pagato il corrispettivo previsto dai contratti».

La loro ragione stava nel fatto che, «dovendo ospitare Formigoni e Perego per alcune settimane, il mio fiduciario mi ha consigliato di stipulare contratti di questo tipo in modo che in caso di controlli da parte delle autorità, Formigoni e Perego potessero giustificare l’utilizzo della barca».

Questa copertura aveva cioè senso soltanto se i cosiddetti ospiti navigavano sulla barca da soli, cioè senza che a bordo ci fosse mai anche il proprietario Daccò (che negli altri casi, come per la barca «Ad Maiora», poteva invece sostenere di essere molto generoso e di ospitare a proprie spese gli amici).

Daccò conviene con i pubblici ministeri sul fatto che «la reale motivazione» di quei contratti è che si trattava appunto di «documenti pro forma per coprire gli utilizzatori della barca: «Effettivamente sì, sono contratti necessari a giustificare l’utilizzo dell’imbarcazione per quattro mesi da parte di Formigoni e Perego in via esclusiva e comunque senza la mia presenza in luglio, agosto, settembre e ottobre del 2007». E qui c’è il problema dei soldi: perché «non è stato pagato alcun corrispettivo per l’utilizzo dell’imbarcazione, nonostante nei contratti fosse previsto un corrispettivo di 36 mila euro al mese a carico di Perego».

Dunque Daccò in questo modo ha dato a Formigoni e Perego l’equivalente di 144 mila euro sotto forma di barca «Ojala»: non è bello, ed è anche pericoloso se si pone memoria al fatto che l’anno scorso il sindaco di un grosso comune dell’hinterland milanese è stato arrestato per aver ricevuto in uso gratuito per qualche tempo una Ferrari. Peraltro per un controvalore di «solo» 20mila euro in 40 giorni.

«Sapeva cosa facevo in Regione»
«Formigoni sapeva che svolgevo l’attività di intermediario nel settore della sanità in Regione» dove dal 1978 «sono accreditato, nel senso che rappresento grandi realtà ospedaliere» come via via negli anni «il Fatebenefratelli, la Fondazione Maugeri, il gruppo Ligresti in occasione dell’incidente alla Camera iperbarica», ma – assicura Pierangelo Daccò – «non ho mai parlato con Formigoni di queste questioni. Ovviamente, negli anni ho sfruttato la mia conoscenza personale con Formigoni per accreditarmi di fronte ai miei clienti».

Il presidente della Regione Lombardia usato dal suo amico come specchietto delle allodole per gli affari del suo amico: non è lusinghiero lo spaccato del Formigoni-uomo di governo che Daccò restituisce ai pubblici ministeri, pur palesemente tutto preso a difendere il presidente da ogni ombra.

Lo scrivevo ieri e lo sottoscrivo oggi: il problema di Formigoni non è recuperare gli scontrini ma prendere coscienza che questo suo ventennale insediamento ha piantato una rete antisociale di rapporti che stendono un’ombra sulle decisioni politiche lasciando l’eterno dubbio di non essere semplicemente figlie di posizioni e programmi. Alcuni recenti casi (Nicoli Cristiani con la cava di Cappella Cantone o Massimo Ponzoni con il piano di governo del territorio della città di Desio, per fare alcuni esempi) hanno evidenziato come essere vicino alle persone che contano sembra facilitare iter amministrativi. Insomma Formigoni è un “amico degli amici” in senso più ampio. Per Daccò varrebbe la famosa frase di Buscetta quando disse che amico degli amici è uno che può esternare di essere vicino alla gente che conta.
E per dissipare questa selva di ombre non servono (e non bastano) gli scontrini.

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Chiamati ad alta voce dalla vita

“La prima, essenziale, semplice verità che va ricordata a tutti i giovani è che se la politica non la faranno loro, essa rimarrà appannaggio degli altri, mentre sono loro, i giovani, che hanno l’interesse fondamentale a costruire il proprio furturo e innanzitutto a garantire che un futuro vi sia” (Enrico Berlinguer)

Ci sono momenti in cui si è “chiamati ad alta voce dalla vita” diceva James Joyce.

Ecco, io credo che ora tocchi proprio a noi. E che sia il caso di non frenarci nelle timidezze o infangarci tra le strategie: rompere gli argini per esondare senza riverenze servili ma con il rispetto dell’impegno. Senza accettare il cambiamento solo scritto sui programmi e sui manifesti ma con la voglia di osare la politica smettendo di usarla (nel migliore dei casi). Forti delle cose che abbiamo da dire, delle proposte che abbiamo studiato, delle analisi che abbiamo discusso e dei modelli che dobbiamo permetterci di rifiutare.
Qualche giorno fa un’amica mi diceva che avrebbe voluto una politica che parli di umanità e che non si vergogni di parlare d’amore, di uguaglianza e delle fragilità: ha ragione. Abbiamo ammaestrato il coraggio perché ci hanno insegnato che qui bisogna mediare e intanto siamo cresciuti nell’analfabetismo sui temi della solidarietà, della speranza e dei diritti. Ci hanno convinto che essere solidali qui in Lombardia è un lusso che mette a rischio la sicurezza e l’ordine pubblico mentre in nome della sussidiarietà hanno costruito le lobby più antisociali e antidemocratiche che avremmo mai potuto immaginare. Hanno scambiato la supremazia della politica per l’arroganza dei politici intolleranti alle domande e servili nel rispondere alle baronie. Ci dicono che il momento è grave, che ci ha colti all’improvviso e sono sempre gli stessi che hanno avuto il beneficio di stare sulle mura a fare da sentinelle senza accorgersi di come tutto stava cambiando fuori. Ora vorrebbero la terza repubblica e hanno gli stessi cognomi della seconda e forse di un pezzo della prima.
Ecco, io credo che ora tocchi proprio a noi. Abbiamo cominciato a fare ciò che era necessario, abbiamo studiato e discusso ciò che riteniamo possibile e adesso vogliamo sorprenderci.

‘Differenze tra torte ed ebrei? Le torte nel forno non gridano’

La frase l’ha pronunciata il  direttore sociale dell’Asl di Pavia, Giuseppe Imbalzano, 59 anni, a lungo dirigente dell’Asl di Lodi per poi passare a Bergamo e Milano, durante un incontro con i rappresentati di Comune e Provincia. Lui si difende dicendo «Quando ho detto quella battuta, le persone hanno sorriso — dice —.Non voleva essere un’affermazione pesante nei confronti di chi ha sofferto ed è stato trattato senza considerazione per la sua dignità umana. È stata una sciocca battuta, che non aveva alcuno spirito offensivo». Imbalzano continua: «Non avrei mai immaginato che una sciocchezza del genere potesse sollevare un “polverone”, anche per il contesto nel quale è stata pronunciata». E ripete: «Non volevo offendere la sensibilità degli ebrei, nella mia vita non ho mai manifestato mancanza di sensibilità nei confronti di ebrei e altre minoranze». Aggiunge anche che nessuna denuncia è giunta allo sportello.

Beh, Imbalzano, la denuncia e la questione in Aula la portiamo noi, stai tranquillo. Perché non solo non ci ha fatto ridere ma siamo proprio curiosi di sapere cosa ne pensano la gente, i dirigenti, l’assessore e il caritatevole Formigoni. E abbiamo un dovere di sdegno da esercitare. Senza battute.