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Giulio Cavalli

No, Pippo, su Penati non sono d’accordo

Tutti sanno quanto sia vicino a Pippo Civati (politicamente ma soprattutto amico) ma questa intervista su Penati è condivisibile su molti aspetti ma manca un punto. Quando dice “la valutazione di opportunità politica sulle dimissioni spetta solo a lui. E la farà nel caso in cui ci fosse il rinvio a giudizio” dissento: Penati è (stato) il portabandiera della coalizione di centrosinistra. Lì dove sta Formigoni noi proponevamo di metterci Penati (sbagliando) e le sue responsabilità (e le sue decisioni) non possono essere scaricate “nel gruppo misto”. Senza polemica, eh. E senza dimenticare che il punto qui è la sfacciata e criminogena lobby formigoniana.

Fare quello che c’è da fare. Da innamorati.

“È vero, principe, che lei una volta ha detto che la ‘bellezza’ salverà il mondo? State a sentire, signori,” esclamò con voce stentorea, rivolgendosi a tutti, “il principe sostiene che il mondo sarà salvato dalla bellezza! E io sostengo che questi pensieri gioiosi gli vengono in testa perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato […] Ma quale bellezza salverà il mondo?…”.
(Ippolìt; III, 5) Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Ecco, se facessimo tutti quello che facciamo da innamorati del nostro lavoro, della nostra funzione o della nostra prossima questione avremmo fatto di più, avremmo fatto meglio e non avremmo ceduto alle lusinghe.

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Se non sono capaci la chiamano antipolitica

L’avevo scritto ieri: perché l’antipolitica sta negli amministratori incapaci, asserviti alle lobby, bulimici di potere e soldi e incapaci di pensare ad altro che non sia la preservazione ossessiva della specie. La propria. Oggi Michele Serra su Repubblica torna sul tema:

Per ar­ri­va­re pre­pa­ra­ti a un fu­tu­ro di scon­quas­si, sa­rà be­ne evi­ta­re di chia­ma­re “an­ti­po­li­ti­ca” tut­to quel­lo che non ca­pia­mo. Spe­cial­men­te noi an­zia­not­ti, cre­sciu­ti den­tro una so­cie­tà fat­ta di par­ti­ti e di sin­da­ca­ti, ten­dia­mo a but­ta­re in quel sac­co tut­to e il con­tra­rio di tut­to. Ma è sba­glia­to. La so­la ve­ra an­ti­po­li­ti­ca (non da og­gi) è la non-po­li­ti­ca. È il me­ne­fre­ghi­smo ci­vi­co, la tir­chie­ria vol­ga­re di chi al­la co­sa pub­bli­ca non dà nul­la (nep­pu­re la fa­ti­ca di in­for­mar­si) ma da lei tut­to pre­ten­de. È l’e­va­sio­ne fi­sca­le, il qua­lun­qui­smo igno­ran­te, la fur­bi­zia ple­bea op­po­sta al­l’im­pe­gno po­po­la­re.

Sug­ge­ri­rei di non de­fi­ni­re an­ti­po­li­ti­ca, in­ve­ce, ciò che ri­bol­le fuo­ri dai par­ti­ti, e si rag­gru­ma in re­te e al­tro­ve at­tor­no a pa­ro­le d’or­di­ne cer­to mol­to di­scu­ti­bi­li, ma to­tal­men­te po­li­ti­che. Il gril­li­smo (che non amo) è cer­ta­men­te po­li­ti­ca. E, per quan­to roz­za­men­te espres­si, so­no ma­te­ria po­li­ti­ca an­che lo sde­gno con­tro i pri­vi­le­gi ca­sta­li, il sor­do som­mo­vi­men­to con­tro il si­ste­ma dei par­ti­ti, per­fi­no la con­te­sta­zio­ne del si­ste­ma di ri­scos­sio­ne fi­sca­le in­car­na­to da Equi­ta­lia. Al­cu­ne di que­ste pul­sio­ni so­no ti­pi­ca­men­te di de­stra. Al­tre po­pu­li­ste di si­ni­stra. Al­tre an­co­ra del tut­to nuo­ve e tut­te da in­ter­pre­ta­re. Esor­ciz­za­re il tut­to de­fi­nen­do­lo “an­ti­po­li­ti­ca” ser­ve so­la­men­te a tap­par­si oc­chi e orec­chie.

Per fare chiarezza sul processo Dell’Utri

La stampa, in primo luogo, ha erroneamente scritto che la V Sezione Penale della Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d’Appello del Tribunale di Palermo, accogliendo il ricorso della difesa Dell’ Utri e che il giudizio ripartirà da un nuovo processo d’Appello.
In realtà, non tutto il processo per concorso esterno in associazione mafiosa è stato rinviato a un nuovo appello: la Cassazione ha confermato in via definitiva l’assoluzione  per i fatti che gli venivano contestati dopo il 1992, per aver costituito il tramite di un’alleanza politica tra la mafia e il partito di Forza Italia; ha annullato la sentenza e rinviato il processo a un nuovo appello a Palermo, ma solo “nel capo relativo al reato del quale l’imputato è stato dichiarato colpevole”, dunque le accuse fino al 1992. L’assoluzione per l’accusa di concorso esterno per il periodo successivo, contestazione dovuta al fatto di essere stato vicino agli interessi di cosa nostra attraverso la politica, invece, è confermata in via definitiva. Pertanto, è stato assolto. Il nuovo processo d’appello potrà condannarlo solo per il capo di imputazione che si conclude prima della fine del 1992, dunque precedentemente al momento in cui Dell’Utri intrecciava rapporti politici con Berlusconi e Fininvest.

L’analisi di Manila Filella la potete leggere sul sito di #nonmifermo.

#nonmifermo riparte: Bergamo, 12 maggio. Lavori in corso.

Ecco il post di Claudio:

Lo scorso 3 marzo abbiamo provato a dare sostanza a ciò che consideriamo uno dei nostri obiettivi: essere “collettori attivi” di idee, esperienze e progetti. In altre parole, condividendo e promuovendo le prassi della buona politica. Perché la politica è un bene comune troppo prezioso per non essere difeso, sostenuto, esercitato.

Quel giorno sul palco di NON MI FERMO, di fronte a circa 250 persone, c’erano politici, attivisti, associazioni, intellettuali, lavoratori. Tanti cittadini che, come afferma la nostra Costituzione (art. 4), provano ogni giorno a “svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Il tema di quella prima “agorà” era etica e politica. Tanti gli argomenti e le proposte: informazione, tutela del territorio, disagio mentale, immigrazione, trasporto pubblico, acqua pubblica, acquisto solidale, legalità.

Qui i materiali e le azioni che abbiamo presentato: http://www.nonmifermo.it/materiali-e-documenti/.

Naturalmente, quello è stato solo il primo passo. Come annuncia il nostro stesso motto, infatti noi non ci fermiamo. Andiamo avanti perché è solo con la costanza e l’impegno che possiamo farcela.

Questa volta sarà la volta di Bergamo. Il prossimo 12 maggio (c/o Auditorium San Sisto, via della Vittoria, 1 – a partire dalle 14.30), dedicheremo la nostra prossima “agorà” ai temi del razzismo e dell’inte(g)razione.

Perché a Bergamo?

Perché Bergamo è ritenuta una città leghista. Proprio a Bergamo, solo pochi giorni fa si sono radunate, le truppe cammellate del Nord si sono ritrovate per fare “pulizia” dopo una storia (una delle tante, in verità) di finanziamenti illeciti, nepotismo politico, truffa ai danni dello stato, criminalità organizzata. Noi però siamo convinti che esista una Bergamo ben diversa. Una città di cultura (qui nacquero Donizetti, Mascheroni, Piatti, Papa Roncalli, Gavazzeni, Bonatti), di tradizione cattolica, solidale, europea, illuminata.

Perché parlare di razzismo e inte(g)razione?

Perché la storia ci ha insegnato come, soprattutto in momenti di crisi economica, sia elevato il rischio d’inciviltà o l’abbandono a derive razzistiche. E questo si chiama fascismo. Il fascismo della prevaricazione, della violenza contro l’altro, il diverso, il più debole. Il fascismo di chi trasforma la storia a proprio uso e consumo per difendere un proprio interesse esclusivo, per altro contro ogni logica e motivazione economica, ma negando la straordinaria opportunità insita nel confronto/incontro con altre culture o l’esercizio attivo di virtù fondamentali per la crescita di ogni società come la solidarietà e l’uguaglianza.

Noi vogliamo “restare umani”. Non cedere davanti al ricatto di una (sub)cultura che ha permesso alla giunta della Regione Lombardia di redigere la cosiddetta “Legge Harlem”, oggi fortunatamente impugnata dal Governo, anche in virtù della nostra Costituzione che all’art. 3 ci ricorda:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese

In Italia, per altro, la popolazione immigrata è più giovane e incide positivamente sul nostro equilibrio demografico e sulla forza-lavoro. Attraverso la disponibilità a inserirsi in tutti i settori lavorativi, creando lavoro (ca. 230.000 piccole imprese), occupandosi dell’assistenza delle famiglie, degli anziani e dei malati, versando annualmente oltre 7 miliardi di contributi previdenziali.

Con noi, tanti ospiti (l’elenco completo sarà comunicato nei prossimi giorni) e il supporto di tante associazioni.

Questi alcuni degli argomenti che saranno discussi: diritto di cittadinanza, caporalato, razzismo, sfruttamento, CIE, progetti di inte(g)razione attiva attraverso lo sport.

Il 12 maggio, a Bergamo. Non fermiamoci. Non mancate.

Francesco greco sul libro ‘L’innocenza di Giulio’

Felliniano, pasoliniano, staliniano, reganiano, obamiano: trasfigurarsi in aggettivo è facile, un sogno alla portata di tutti. E’ però quando si va oltre e si diventa anche sostantivo che si lascia una traccia nella Storia, ci si apre un varco nel tempo. Andreotti è allo stesso tempo aggettivo e sostantivo: come Mao, Craxi, Berlusconi, la Tachther, De Gaulle, Lenin, Marx, ecc. Che cos’è l’andreottismo se non un modo originale di stare nella vita, sulla scena politica ponendosi di ¾, modulati su un’ambiguità quasi antropologica, sfumati, l’aria svagata e assente di chi passa per caso? Con l’atout di un’astuzia e un sarcasmo sempre all’erta (volpi in pellicceria e potere che logora chi non ce l’ha), che a volte sconfina nel cinismo che dà un brivido freddo nella schiena, perchè “la politica è sangue e merda, un animale selvaggio”?

64 anni di potere “che si spalmano come un’ombra”, visibile e invisibile. 7 volte premier, 8 ministro della Difesa, 5 agli Esteri, 2 alle Finanze, e poi all’Industria, al Bilancio, al Tesoro, all’Interno, alle Partecipazioni Statali, ai Beni Culturali. E tuttavia, citando Ludwig di Baviera, potrebbe dire: “Voglio restare un enigma”. Che nemmeno il mitico archivio dai faldoni gonfi di carte, posto che un giorno si potrà avere accesso, aiuterà a decodificare (ma quelle del Sifar, di cui pure si autorizzò la distruzione, si ignora dove finirono per davvero…).

La parabola inizia nel 1927: un ragazzino sale sul tram, uno zoppo gli calpesta un piede cercando di scendere, si scusa dicendo che è un mutilato: “Se tutti i mutilati passassero sui miei piedi sarei rovinato”. Buona la prima. Nel 1944 è eletto membro del Consiglio nazionale Dc, e master di botte piena e moglie ubriaca: scrive su “La rivista del lavoro” (filofascista) e sul “Popolo” clandestino diretto da don Sturzo. Eccolo alla messa ogni mattina accanto a De Gasperi, la sua prima sponda in politica. Lo statista ha gli occhi socchiusi, on line col Padreterno? Andreotti invece si connette più terra terra: “A me il prete rispondeva”, dichiara in un’intervista a Montanelli. Occhiali quadrati, viso di una fissità da statua di cera, nessuna emozione al funerale (di Stato) di Moro (senza il corpo ancora caldo e con la famiglia incazzata, giustamente, con la classe politica italiana): nell’aria vaga minacciosa la frase diretta ai mandarini scudocrociati: “Il mio sangue ricadrà su di voi”. E nessuna ruga la increspa nemmeno i dieci anni (1994-2004) del processo per mafia da cui esce assolto, “quella sentenza è diventata un manuale della menzogna… l’assoluzione più colpevole della storia d’Italia”. Un processo che è anche alla Dc, a un sistema di potere (consociativo), nonostante l’altra celebre frase dello statista pugliese: “La Dc non si farà processare nelle piazze”.

Ma il passato non passa, specie in un Paese dove i chiaroscuri di ieri si riverberano sinistri sull’oggi, e poi la Storia è sempre work in progress, si riscrive di continuo, sia perché fanno irruzione nuovi format analitici (si pensi alla psicoanalisi), sia perché emergono documenti, testimonianze, visioni, contesti. “L’innocenza di Giulio” (Andreotti e la mafia), di Giulio Cavalli, Chiarelettere, Milano 2012, pp. 156, Euro 11 (progetto grafico David Pearson), rilegge il personaggio-Andreotti e scandaglia, con gli strumenti di un giornalismo serio, anglosassone, analitico (l’opposto delle merende sociologiche nel salotto buono di Vespa e il ruffianismo alla Fede), il rapporto fra lo statista e la mafia, gli aspetti rimasti fuori, o solo sfiorati, in tribunale, al “processo del secolo”, come se Cosa Nostra, senza referenti politici, intra ed extra moenia, avesse potuto radicarsi nell’anti-Stato e transustanziarsi in soggetto politico (cosa che non riuscì, nel 1978, anche per la fermezza di Andreotti, alle Br).

La prefazione non poteva che portare la firma di Gian Carlo Caselli, capo della Procura di Palermo “dove avevo chiesto di essere mandato dopo le stragi di Falcone e Borsellino”. Mostrificato (si passi la parolaccia), e anzi destinatario di una legge contra personam per aver “osato prima indagare e poi processare il Divo Giulio… un imputato troppo innocente” in un processo in cui “la verità è fatta a brandelli” e che pure nel 1992, anno che doveva avere “il profumo della consacrazione”, manca l’ascesa al Colle più alto solo per un fatto di curiose sinergie: è l’inizio della stagione delle stragi e col corpo ancora caldo di Falcone, e gli uomini della scorta, a Capaci, sarebbe stato troppo anche per un uomo al crocevia di tutti i misteri italiani dal dopoguerra a oggi (Fiumicino, Sifar, Italcasse, Ambrosoli, Sindona, Calvi, Piazza Fontana, Italicus, Bologna, Gladio, Marcinkus, P2, ecc.), che pure Cossiga nel 1991 nomina senatore a vita e, crollata la Dc sotto il maglio delle inchieste, si ricicla nell’Udc come un “padre della patria” e che se non è colluso è almeno ingenuo: per i pentiti avrebbe ricevuto Badalamenti e cacciato con Bontate e uno come lui non avrebbe annusato la fine di Piersanti Mattarella.

Piace la modulazione ironica di Cavalli (che è consigliere regionale in Lombardia e facendo bene il suo lavoro è finito sotto scorta: accade in un Paese strambo in cui ti indicano la luna e guardi il dito), il solo approccio che consente di trattenere un furore etico che balugina qua e là e che dovrebbe essere di massa e invece è faccenda di nicchia, nel canovaccio di una cultura della rimozione e dell’amnesia, un brodo primordiale in cui rimesta senza remore la tv-spazzatura e l’effetto -narcosi che diffonde nelle case e nelle menti.

da prolocodelsalento

#nonmifermo Quando le proposte si declinano e prendono forma

Avevamo parlato dello scaffale della legalità. Una proposta semplice ma significativa da esportare facilmente ovunque (basta un consigliere comunale, la calendarizzazione e la votazione). Arthur ci scrive che qualcosa si muove anche dalle sue parti:

La prima agorà di Nonmifermo, che si era focalizzata su “Etica e Politica”,  ha dato vita ad un buon numero di idee e proposte (le trovate qui) messe a disposizione di chiunque abbia la possibilità di farsene carico all’interno delle Istituzioni.
Fra queste l’ODG “Scaffale della Legalità”,  che prevede di designare nelle biblioteche cittadine un’apposita sezione dedicata alla legalità appunto.
L’idea è piaciuta a Stefano Bonomi ed Anna Falsina, due giovani consiglieri d’opposizione del piccolo Comune bresciano di Trenzano.
Ieri mattina, infatti, hanno presentato la mozione che approderà e sarà discussa in Consiglio Comunale a fine mese.

 

Formigoni è Gesù, Boni Maddalena e Regione Lombardia Ponzio Pilato

Non si riesce nemmeno a raccontare quello che succede in Regione. Intendo dentro, in questo momento, nell’Aula dove sta parlando Alloni (PD) per raccontare quanto sia fondamentale rivedere il piano cave di Cremona mentre l’assessore Bresciani litiga con il vice presidente del Consiglio Regionale Saffiotti (PDL) e nessuno (o quasi) ascolta.

Formigoni (come Gesù) dichiara di avere sbagliato qualcosa ma di essere fondamentalmente santo: ha perso due assessori in poche ore e sorridente dice che è un ricambio voluto per mettere donne in Giunta. Un po’ come se andando contromano si distrugge l’auto esultando per l’avvenimento perché “era fuori moda e consumava troppo”. Una cosa così, come quelle balle che si dicono da bambini per sguaiare la compagnia e ridere tutti insieme. Eppure l’assessore Monica Rizzi è stata fatta fuori da una bega interna della Lega (cioè: Regione Lombardia dipende dalle mestruazioni di Maroni e le faide interne di partito). Il segnale di debolezza politica è di proporzioni che forse non riusciremo a raccontare ai nostri elettori. Perché mi piacerebbe sapere dove va a finire la rappresentanza o la meritocrazia (e qui dentro dici meritocrazia, alzi la testa, vedi la Minetti e ti vergogni che esista ancora nel dizionario politico una parola del genere) se il ruolo di assessore è il premio per le giuste vicinanze. L’assessore Maullu intanto torna semplice consigliere e ex assessore per gli amici troppo poco influenti negli umori interni.

La Lombardia si svende (e si privatizza) per tanti soldi ma si rimodella per la bile e gli umori. E poi ce lo rivendono come “rinnovamento” e pulizia.

Oggi si è dimesso anche Davide Boni (ovviamente prima sui giornali, poi in conferenza stampa e ovviamente si è dimenticato di riferirlo in Aula, ma l’Aula è un impiccio che vale il tempo dell’indennità) e le sue dimissioni da Presidente del Consiglio le avevamo chieste da tempo, visto il ruolo di garanzia. Da domani saremo garantiti da qualche leghista che avrà avuto il merito di non dire una parola sbagliata al triumvirato.

Tutto questo mentre succede intorno a Formigoni quello che succede. Lui si ostina a dirci che è pulito e non indagato: voi eleggereste amministratore di condominio uno che è amico di tutti (tutti!) gli indagati del quartiere?

Poi c’è la politica. E forse sarebbe il caso che cominciassimo a pensare che le nostre diversità e la nostra idea di Governo regionale si ascoltano e si sentono molto poco. E forse i cittadini sarebbero disposti ad affacciarsi al nostro modo di ripensare una Regione partendo dalle fragilità, dalle difficoltà e le differenze. Senza perdersi in dispute endogamiche e non interessanti su antipolitica o peggio sulla “drammaticità” dell’eventuale stop ai rimborsi pubblici.

Perché l’antipolitica sta negli amministratori incapaci, asserviti alle lobby, bulimici di potere e soldi e incapaci di pensare ad altro che non sia la preservazione ossessiva della specie. La propria.

#nonmifermo L’analfabetismo digitale

Davide per #nonmifermo apre la discussione alle persone, oltre che ai diritti e al digital divide.

L’arretratezza digitale non incide solo sotto il profilo della sicurezza, ma anche sotto il profilo della competitività.

La mancata conoscenza dei sistemi informatici ci pone in una posizione di svantaggio rispetto a chi sta investendo in questo campo.

Siamo spesso costretti ad affidarci a terzi per risolvere i problemi più banali, ed è così che le aziende restano intimorite dall’informatica e quindi diffidenti verso le nuove tecnologie. Problemi che potrebbero essere risolti con conoscenze minime!

Di frequente, l’analfabetismo informatico pone delle barriere anche nell’utilizzo del software libero, che spesso si traduce in software gratuito. Pensate ai miliardi che potrebbe risparmiare sia il pubblico che il privato non affidandosi più a software proprietario quale Windows e Office, o Mac e iWork. Pensate alle mille possibilità di personalizzazione del software libero, il quale ha un codice sorgente aperto, quindi modificabile e migliorabile da tutti.

Anche in questo caso, la barriera dell’analfabetismo informatico si interpone tra un sistema proprietario poco personalizzabile, ma diffusissimo ed un sistema libero, ma ancora poco conosciuto. Con tutte le conseguenti perdite di  chance che questo comporta.

Il resto è qui.

Girovagando per l’Italia: dove siamo questa settimana

Oggi (che è lunedì) iniziamo alle 10.30 con una visita all’OPG (su cui vi consiglio di informarvi qui) di Castiglione delle Stiviere (MN) con il nostro candidato sindaco Franco Tiana. Poi alle 21 a Bollate (MI) per la serata sulle “mafie al nord” con Gianuigi Fontana (procuratore generale presso Tribunale Milano) Francesca Barra e Mario Portanova in Sala Consiliare, piazza Aldo Moro.

Martedì in Consiglio Regionale poi, alla sera, alle 20.45 con il libro “L’innocenza di Giulio” alla biblioteca comunale di Cologno al Serio (BG), piazza Garibaldi n.5.

Mercoledì sera, a Lodi,  “Il modello Formigoni non è salutare” sulla sanità poco sana di Regione Lombardia, con Roberta Morosini, coordinatrice SEL Lodi e Michele Galbiati, responsabile forum salute SEL Lodi, Alberto Villa, segretario FP CGIL Lombardia responsabile comparto sanità e Mauro Tresoldi, segretario FP CISL Lodi.

Giovedì alle 18 a Bergamo presento il libro “L’innocenza di Giulio” , Libreria Melbookstore, ore 18:00 via XX Settembre, 78/80.

Venerdì dalle 10 a Roma, Sede di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli Viale Parenzo 11 Roma con Nicolò D’Angelo, Questore di Perugia, Gabriella De Martino, DNA, Ciro Corona, Associazione anti Camorra. Tutte le info le trovate qui.

Sabato sera a Como, in scena con NOMI, COGNOMI E INFAMI (Aula Magna del Politecnico Via Castelnuovo nr.7) per sostenere il candidato sindaco Mario Lucini.

Sappiamo dove incrociarci, insomma.