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Giulio Cavalli

Netanyahu ha deciso di rispondere all’attacco dell’Iran

Israele non ha intenzione di colpire l’Iran dopo l’attacco della notte scorsa. Lo ha detto un portavoce dell’esercito israeliano (Idf) durante una conferenza stampa. “Siamo pronti e all’erta, valutiamo ogni scenario e al momento non abbiamo intenzione di estendere le nostre operazioni militari” ha detto Daniel Hagari. Lo stesso Hagari ha però specificato che sono stati approvati piani “operativi sia offensivi che difensivi”.

Il Times of Israel racconte che dopo diverse ore di discussione il gabinetto di guerra israeliano deve ancora decidere come e quando rispondere all’attacco. Che i ministri abbiano sospeso le discussioni senza una decisione lo riferisce anche riferisce il notiziario Channel 12. Secondo numerosi resoconti dei media ebraici, il ministro del gabinetto di guerra Benny Gantz e il suo collega del partito di Unita’ Nazionale Gadi Eisenkot, un osservatore nel gabinetto di guerra, hanno entrambi proposto di reagire all’Iran mentre l’attacco iraniano era ancora in corso. Questo suggerimento è stato fermamente contrastato dal ministro della Difesa Yoav Gallant, dal capo dell’Idf Herzi Halevi e da altri in parte a causa della difficolta’ di intraprendere un’azione simultanea quando l’aviazione era concentrata sull’intercettazione dei missili e dei droni iraniani in arrivo.

Il Gabinetto di guerra israeliano approva piani “operativi sia offensivi che difensivi”

Successivamente, quando il successo dei sistemi di difesa aerea israeliani è stato evidente ed è stato chiaro che l’attacco iraniano aveva causato pochi danni, e dopo che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva parlato con il primo ministro Benjamin Netanyahu, l’idea di una risposta israeliana immediata è stata accantonata. La posizione di Netanyahu nelle discussioni sui tempi e sulla natura di una risposta israeliana non è chiara. Channel 12 afferma che gli Stati Uniti non hanno cercato di porre il veto su alcuna risposta israeliana, ma che hanno detto a Israele di voler conoscere in anticipo qualsiasi reazione. Gli Stati Uniti hanno pubblicamente chiarito che non parteciperanno ad alcuna risposta israeliana. Channel 12 sostiene inoltre che Israele sta cercando di verificare se, in cambio di moderazione, pu’ raggiungere una sorta di “patto strategico” con gli Stati Uniti contro l’Iran, senza dover prendere impegni su questioni come la questione palestinese.

Due funzionari Usa hanno detto ai giornalisti che gli Stati Uniti non parteciperanno ad un eventuale contrattacco israeliana contro l’Iran. Il capo della Cia William Burns avrebbe telefonato al capo dell’intelligence turca Ibrahim Kalin per chiedere la mediazione di Ankara. Il G7 si è riunito d’urgenza, sollecitato dagli Stati Uniti e convocato dalla presidente di turno Giorgia Meloni, e dopo poco meno di un’ora di confronto produce una dichiarazione in cui si ribadisce il “pieno sostegno alla sicurezza” a Tel Aviv e si lancia un appello “per porre fine alla crisi a Gaza attraverso la cessazione delle ostilità e il rilascio degli ostaggi da parte di Hamas”. Sono formule diplomatiche all’insegna dell’equilibrio che però esplicitano tutte le urgenze geopolitiche dell’area, dove la tensione è salita ulteriormente di livello dopo l’offensiva del regime degli ayatollah. C’erano tutti i leader, inclusi quelli Ue (Ursula von der Leyen e Charles Michel) e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, collegato dalla Cina dove è appena arrivato per una visita di tre giorni. Gli intenti diplomatici sono allineati, anche se Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno avuto anche un ruolo operativo al fianco di Israele per “sconfiggere” la pioggia di “centinaia di droni e missili” scatenata da Teheran, come ricorda anche la dichiarazione congiunta finale.

Il G7 (e Tajani) provano a smorzare. I bellicisti fomentano mezze verità e omissioni piene

E mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani invita alla prudenza intravedendo “segnali incoraggianti” nelle dichiarazioni del G7 e nella volontà espressa dall’Iran di non procedere con ulteriori attacchi il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti anticipa il profluvio di bellicisti che compariranno nei prossimi giorni. “Di fronte all’attacco dell’Iran a Israele non si può stare che da una parte sola, dalla parte di Israele ovviamente che non solo ha il diritto a difendersi ma anche a rispondere a quelli che sono veri e propri attacchi alla propria esistenza e incolumità”, ha detto Toti in una diretta Facebook. “Tutto questo – aggiunge Toti – non ci deve far scordare alcune cose essenziali, la prima è che la crisi in Medio Oriente è partita dall’attacco violentissimo portato da Hamas contro civili israeliani durante i negoziati di pace, che qualcuno non vuole”. Solo che nella foga di ricordarci tutto Toti si è scordato di ricordarsi del bombardamento israeliano su Damasco del 21 febbraio scorso. Per soffiare sulla guerra del resto si ha sempre bisogno di mezze verità e omissioni piene

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New Times: Biden ha convinto Netanyahu, nessuna risposta all’Iran

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annullato un attacco di ritorsione immediato a quello subito dall’Iran nella notte dopo essere stato dissuaso dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Lo scrive il New York Times, sottolineando che diversi membri del gabinetto di guerra avevano chiesto a Netanyahu di rispondere subito. Ma la mancanza di gravi danni in Israele e il colloquio tra Biden e Netanyahu hanno fatto sì che la rappresaglia non avesse luogo nell’immediato.

“Il presidente voleva congratularsi con il premier Netanyahu per un incredibile risultato militare, il primo ministro era molto grado per il supporto che il presidente ha offerto e dimostrato in sostegno di Israele”, ha spiegato John Kirby, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, intervistato dalla Cnn. Alla domanda se veramente Biden abbia detto a Netanyahu che gli Usa non erano disposti a sostenere una risposta israeliana all’attacco di Tehran Kirby non ha confermato, o negato, questa ricostruzione, ma ha ribadito che l’amministrazione Biden “non crede” che dopo l’attacco dell’Iran ad Israele un allargamento del conflitto sia inevitabile “né crede che debba essere”. “Quasi tutto quello che ha fatto il presidente dall’inizio, sin dal 7 ottobre, è stato favorire la de-escalation, cercare di limitare le opportunità di una più ampia guerra regionale”, ha aggiunto. Riguardo al colloquio con Netanyahu, Kirby ha sottolineato che “il presidente ha messo in chiaro che l’autodifesa di israele è qualcosa che prendiamo seriamente e continueremo a prendere seriamente”.

Secondo il Ny Times Benjamin Netanyahu ha annullato un attacco di ritorsione immediato a quello subito dall’Iran nella notte dopo essere stato dissuaso dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden

Josep Borrell, alto Rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, ha annunciato sul suo account X di avere convocato per martedì una riunione straordinaria in videoconferenza dei ministri degli Affari esteri dell’Unione europea. “Il nostro obiettivo – ha detto il rappresentante Onu – è contribuire a una de-escalation e alla sicurezza della regione”. Nelle scorse ore Borrell aveva “condannato gli attacchi inaccettabili dell’Iran contro Israele”, scrivendo, sempre su X, che “questa è un’escalation senza precedenti e una grave minaccia per la sicurezza della regione”. E’ invece convocata per le 22 ora italiana la riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, come comunicato da un portavoce del governo maltese, che ha la presidenza di turno.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ospite di ‘In mezz’ora’ su Rai Tre si è augurato che “prevalga il buonsenso”. “Vedremo quale sarà la reazione del governo israeliano, – ha detto il titolare della Farnesina – credo che siano ancora riuniti e speriamo che prevalga anche a Tel Aviv il buon senso, perché ormai c’è stata la vittoria militare. E credo che si possa chiudere con questo successo militare israeliano questa vicenda. Fermo restando che si continuerà a combattere nel nord di Israele, al sud del Libano: ci saranno ancora scambi di lanci di missili tra Hezebollah e truppe israeliane al nord, ma mi auguro che non ci siano più conflitti diretti tra Israele e Iran”.

Intanto nel conflitto si inseriscono anche gli Houti, che hanno da tempo aperto un altro fronte sul Mar Rosso. Un portavoce dei ribelli yemeniti houthi ha definito “legittimo” l’attacco dell’Iran contro Israele, considerandolo una risposta per i raid contro il consolato di Teheran a Damasco. Lo riporta Al Jazeera. Il portavoce ha aggiunto che gli houthi ormai controllano la gran parte dello Yemen del nord e si sono scontrati direttamente con Israele dopo l’inizio della guerra a Gaza, attaccando il porto israeliano meridionale di Eilat con missili e droni e impedendo alle navi israeliane di navigare attraverso il Mar Rosso.

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Strage di Cutro, i mancati salvataggi dettati dalla politica

Un nuovo documento racconta la realtà che molti sospettavano: è la politica a decidere discrezionalmente un eventuale intervento della Guardia costiera che fino ad allora usciva per operazioni di salvataggio senza nessuna interferenza e in modo indipendente rispetto alle altre forze di polizia. La mail firmata dal capitano di vascello Gianluca D’Agostino, capocentro operativo nazionale e dell’ Imrcc ( il centro di ricerca e soccorso della guardia costiera) e inviata a tutte le capitaneria è stata mostrata in esclusiva dalla trasmissione Rai “Il cavallo e la torre” condotta da Marco Damilano e risale al 27 giugno 2022 quando al Viminale sedeva la ministra Luciana Lamorgese affiancata dal viceministro leghista Nicola Molteni.

“A seguito di tavoli tecnici interministeriali – scrive D’Agostino – sono state impartite dal livello politico alcune disposizioni tattiche per gli assetti della Guardia di finanza che, di fatto, in parte impongono alcune riflessioni sul nostro modus operandi. A far data dalla presente, le attività di intervento delle unità navali della Guardia costiera, in caso di eventi connessi al fenomeno migratorio, si dovranno sviluppare nel rispetto dei seguenti parametri”. Nella mail si precisa che gli interventi della Guardia costiera dovranno avvenire “solo dichiarando evento Sar”, ovvero solo su diretta indicazione del centro di ricerca e soccorso di Roma.

La trasmissione “Il cavallo e la torre” mostra un documento che imputa a Roma i mancati salvataggi

È quello che è accaduto nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 quando la segnalazione di un’imbarcazione nei pressi di Steccato di Cutro diede il via all’uscita della Guardia di finanza (e quindi a un’operazione di polizia, non di salvataggio) che dovette fare rientrare la sua imbarcazione per le difficili condizioni di navigazione. Guardia costiera e Guardia di finanza sapevano da sei ore di quel caicco in difficoltà avvistato dall’aereo Eagle 1 di Frontex, ma i soccorsi in mare non sono mai partiti. Alla fine furono 94 i morti accertati (26 sono donne e 34 bambini) oltre ad almeno 11 dispersi. Pochi giorni dopo la strage fu il comandante della Guardia costiera di Crotone Vittorio Aloi a parlare di Guardia di finanza che doveva “intervenire per prima”. “Abbiamo operato  – disse Aloi spiegando che quelle persone avrebbero potuto essere salvate- secondo le nostre regole di ingaggio che non promanano neanche dal nostro ministero ( quello delle Infrastrutture e trasporti) ma da quello dell’Interno. Ci sarebbe bisogno di specificare molte cose, dovreste conoscere le regole che ci sono a livello interministeriale”. Aloi è stato trasferito ad altro incarico e non ha mai chiarito quelle sue parole che oggi trovano conferma in un documento ufficiale. Per quell’incidente sono indagati sei ufficiali, tre della Guardia di finanza e tre della Guardia costiera. I reati ipotizzati sono l’omissione di soccorso e il disastro colposo. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni negò in Parlamento che l’Italia fosse stata avvisata dell’imbarcazione in difficoltà. Disse il falso. E ora sappiamo che la politica decideva se le persone dovessero essere salvate.

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Missili e droni nella notte su Israele. Mobilitati Onu e G7

Sono 350 missili e centinaia di droni lanciati dall’Iran quelli che nella notte sono piovuti su Israele. L’Idf (le forze di difesa israeliane) confermano di avere intercettato “il 99% delle minacce verso il territorio israeliano”. “Questo è un risultato strategico molto importante”, ha affermato il portavoce dell’IDF Avichay Adraee. Secondo Israele, “dei circa 170 droni lanciati dall’Iran, nessuno di loro è riuscito a penetrare nello Stato di Israele, poiché gli aerei da guerra dell’aeronautica militare e i sistemi di difesa aerea nostri e dei nostri alleati ne hanno intercettati dozzine. Degli oltre 30 missili da crociera lanciati dall’Iran, nessuno è penetrato nel territorio israeliano”.

350 missili e centinaia di droni lanciati dall’Iran quelli che nella notte sono piovuti su Israele. il 99% è stato intercettato e respinto

SecondoTimes of Israel nell’area di Arad, nel sud di Israele, una bambina di sette anni sarebbe in gravi condizioni dopo essere stata colpita da alcune schegge in seguito all’intercettazione di un drone. Il servizio di emergenza di Magen David Adom (MDA) ha dichiarato che sono in totale 31 le persone  soccorse per avere subito ferite lievi. Insieme agli Stati Uniti e ad altri partner siamo riusciti a difendere il territorio dello Stato di Israele. Sono stati causati pochissimi danni. Questo è il risultato delle impressionanti operazioni dell’esercito”, ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant.

In mattinata l’Iran ha fatto appello a Israele attraverso la sua rappresentanza di Teheran presso le Nazioni Unite a New York dichiarando la questione “chiusa”. “Ma se il regime israeliano commetterà un nuovo errore, la risposta sarà considerevolmente più dura”, ha dichiarato l’ambasciatore Saed Iravani, che ha inviato una lettera alla presidenza del Consiglio di sicurezza Onu e al segretario generale Antonio Guterres affermando che l’attacco contro Israele “rientra nell’esercizio del diritto di Teheran all’autodifesa”.

Il presidente Usa teme una risposta sproporzionata di Israele: “gli israeliani non sempre prendono le migliori decisioni strategiche”

Il presidente Joe Biden secondo la Cnn avrebbe chiarito a Netanyahu che gli Usa non parteciperanno a nessuna operazione offensiva contro Teheran e non sosterranno una tale operazione. “Non cerchiamo un conflitto con l’Iran ma non esiteremo ad agire per proteggere le nostre forze e sostenere la difesa di Israele” ha confermato il ministro della Difesa americano Lloyd Austin. Le forze americane sono state coinvolte nella difesa di Israele: hanno intercettato più di 70 droni e almeno tre missili balistici. Ma Biden, scrive Axios, ha precisato a Netanyahu che gli Usa non sosterrebbero eventuale attacco di Israele contro l’Iran. Biden, che nelle dichiarazioni ufficiali ha ribadito il sostegno “ferreo” alla difesa di Israele, in privato, secondo la Nbc, si sarebbe detto preoccupato che Netanyahu stia cercando di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto più ampio e profondo. La Casa Bianca ritiene che gli israeliani non stiano cercando uno scontro diretto con l’Iran, alla luce delle risorse impiegate nella guerra a Gaza, ma non ne ha la certezza. Washington aveva ritenuto troppo azzardato l’attacco al consolato iraniano, giudicandolo dannoso per la trattativa sulla liberazione degli ostaggi prigionieri di Hamas. “Non penso che avessero una strategia”, ha confidato all’Nbc un alto funzionario dell’amministrazione statunitense, “gli israeliani non sempre prendono le migliori decisioni strategiche”

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha convocato per il primo pomeriggio di oggi una videoconferenza a livello leader, per discutere dell’attacco iraniano contro Israele. Lo si apprende da fonti di Palazzo Chigi. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che giusto venerd’ aveva parlato con l’omologo iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, in un’intervista al Corriere della sera, racconta di avergli chiesto tre giorni fa “moderazione e senso di responsabilità”. Secondo Tajani “il primo obiettivo” è “gettare acqua sul fuoco” per evitare “una spirale che la politica potrebbe non riuscire più a controllare”.

Alle 22 italiane sarà convocato, su richiesta di Israele, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La Russia, che aveva mostrato sostegno all’Iran dopo l’attacco al consolato in Siria, si è espressa solo attraverso il suo vice rappresentante al Palazzo di Vetro, che ha paventato una “nuova acuta crisi”. La Cina ha espresso “profonda preoccupazione” e ha invitato le parti alla “calma”. L’Arabia Saudita e l’Egitto, che ha messo il suo esercito in stato di allerta, hanno chiesto ai contendenti la “massima moderazione”. I media israeliani hanno lasciato trapelare la promessa di Netanyahu di una reazione “significativa”, o addirittura “senza precedenti”, all’iniziativa iraniana. Washington e’ subito intervenuta per correggere il tiro. Secondo i media israeliani, Biden, nella sua telefonata con il primo ministro di Tel Aviv, gli avrebbe chiesto di non reagire. Le testate americane danno poi voce ad alti funzionari che esprimono preoccupazione per la condotta militare “frenetica” dell’alleato e temono che Israele replichi in modo frettoloso e sproporzionato. Qualcosa nel frattempo si muove e altri ben informati riferiscono poco dopo al New York Times che Israele coordinerà la sua reazione con gli alleati.

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Italiano ma di pelle nera sui barchini dei trafficanti

Repubblica ieri ha raccontato la storia di Michel Ivo Ceresoli, italianissimo con la sfortuna di avere la pelle nera in un’Europa che sancisce il diritto di movimento in modo inversamente proporzionale alla sicurezza della pigmentazione. Come racconta Alessandra Ziniti in Guinea Michel Ivo è sempre vissuto, anche quando il padre se n’è tornato in Italia dimenticandosi della sua famiglia, ma quando il ragazzo ha deciso di venire in Italia ha dovuto scontrarsi con il muro di gomma della burocrazia e con il filo spinato contro gli immigrati.

La storia di Michel Ivo Ceresoli italianissimo ma con la sfortuna di avere la pelle nera in un’Europa

E lui, da italiano, è stato costretto a seguire la stessa strada dei migranti: i trafficanti, il viaggio nel deserto, dal Mali fino alla Tunisia e poi su un barchino fino a Lampedusa. E lì, finalmente in Italia, quando pensava che sarebbe bastato dichiarare la sua identità per essere finalmente libero, la nuova doccia fredda: 8 mesi nel centro di accoglienza di Crotone prima di riuscire finalmente a dimostrare di essere un cittadino italiano e ottenere quella carta di identità che gli spetta.

La vicenda è paragmitaca per comprendere quanto poco valgano i diritti e perfino i documenti quando si approda in Italia e nell’Europa che avrebbe voluto essere la culla del diritto. Basta questa storia per spiegare il razzismo anche ai bambini e per comprendere perché quelli che arrivano dal mare o dall’Afghanistan o dalla rotta balcanica non subiscono lo stesso trattamento degli ucraini o altri stranieri: sono neri, solo quello, semplicemente quello. Ora siamo curiosi di sapere cosa ha da dire il ministro Piantedosi. Vediamo se ora anche nel Michel Ivo è solo colpa sua che non ha pensato a uno sbancamento prima di partire.

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Calenda, voce del verbo calendare. Dopo aver litigato con tutti si ritrova irrimediabilmente solo

Vino al vino, olio all’olio. ”Perché uno è convinto che pagare 30 euro per una bottiglia di vino a tavola, che dura un’ora, sia cosa normale, e quando dovesse pagare 30 euro per un litro d’olio lo vede come un furto con scasso? Questo lo ritengo un fatto assurdo, che non è rispettoso del lavoro che c’è dietro”. Parole, opere e omissioni del ministro all’Agricoltura e al Made in Italy Francesco Lollobrigida, cognato d’Italia nel partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Pensateci bene: perché spendere centinaia di euro per un breve viaggio in aereo per Palermo che dura un’ora e poi chiamate furto un comodo viaggio di 12 ore in treno per arrivare lo stesso?

Istigazione all’idiozia. Oltre a essere indagato per istigazione all’odio razziale al generale Roberto Vannacci farebbe bene un corso base di ironia. Tronfio del suo successo come novello principe degli zotici il papabile candidato di Salvini (insopportabile perfino all’interno della Lega) ha pubblicato sul suo profilo Facebook una foto in grembiule con delle mele blu mentre era impegnato ai fornelli. Oddio, impegnato è una parola grossa: Vannacci cucinava tre hamburger schiacciati simili a torte di sterco di vacca. Come didascalia il generale ha scritto “il misogino”, convinto che non possa essere nemico delle donne un uomo che sta ai fornelli. Con sole due parole quindi è riuscito a dirci che per lui cucinare è “roba da femmine”, come si insegnava alle elementari cinquant’anni fa. E ha fatto la figura del misogino. Genio del banale.

Liberi di farsi sfruttare. Benegas Lynch, deputato del nuovo premier argentino Javier Milei nonché figlio di una delle più storiche aristocrazie argentine legate alle dittature passate, ha proposto di liberalizzare anche la scuola nel senso più stretto delle liberalizzazioni secondo i turboliberisti ovvero cancellarla. La sua proposta di abolizione dell’obbligo scolastico, spiega Lynch, permetterebbe ai ragazzi di scegliere liberamente di poter essere liberi, di farsi schiavi per dedicarsi liberamente a un lavoro che liberamente li sfrutti per aiutarli liberamente a non morire di fame. Siamo certi che qualcuno dalle nostre parti abbia sognato a occhi aperti di fronte a tanto coraggio.

Un ponte per l’Africa. Francesca Porpiglia (Lega) difende il progetto-bandiera di Salvini – il Ponte sullo Stretto – con una grazia senza pari: “I calabresi non sono abituati al progresso, per questo siamo rimasti al livello dell’Africa”, dice. E sembra davvero la frase perfetta per calmare gli animi delle persone che si sono ritrovate senza casa per lasciare spazio al progetto di un Ponte che, vedrete, non si farà mai. Strano che Salvini non abbia ancora pensato di candidarla capolista alle prossime elezioni europee.

Ciocca come lotta. L’europarlamentare Angelo Ciocca è diventato famoso per i suoi gesti eclatanti a Bruxelles. Niente di politico, figurarsi. Una delle sue ultime gesta è stata quella di alzarsi in piedi con un fischietto ed estrarre il cartellino rosso. Potete immaginare come l’abbiano guardato stralunati tutti gli altri. Ora come il suo segretario Salvini ha deciso di lanciare il guanto di sfida alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e ha confezionato un bel video sui suoi social con un cotechino in mano, sorridente con intorno una banda di cuochi. Tenetevi forte, ecco il denso messaggio politico: “Difendiamo il nostro made in Italy”, scrive Ciocca mentre nel video dice a von der Leyen “mangiati tu i grilli!”. Statista.

Carlo non sta Bonino. Si conierà prima o poi il verbo calendare e diventerà sinonimo di porre la condizione di entrare in un’alleanza solo se si ha la possibilità di escludere tutti gli altri. L’ex eurodeputato Carlo Calenda che ha litigato con il Pd, che poi ha litigato con Emma Bonino, che poi ha litigato con Renzi ora si ritrova irrimediabilmente solo. Ma chissà come mai?

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Amadeus in procinto di passare dalla Rai al canale Nove

Il governo Meloni sta dimostrando un’eccezionale talento: la desertificazione della Rai. L’addio di Amadeus sembrava fino a ieri una voce incontrollata che sibilava nei corridoi e invece nelle ultime ore viene definito come “probabile” dai dirigenti di viale Mazzini. L’amministratore delegato Roberto Sergio e il direttore Giampaolo Rossi si ritrovano a fare i conti con l’ennesima partenza ma questa volta sarà più difficile da raccontare e da far digerire.

Nel caso di Lucia Annunziata (fresca candidata alle elezioni europee con il Partito democratico), di Massimo Gramellini, di Fabio Fazio o di Corrado Augias era quasi facile addossare la responsabilità ai partenti dipingendoli come dissidenti politici. “Aria di rinnovamento”, dicevano i vertici aziendali facendo ciao ciao con la manina ai conduttori considerati troppo “di sinistra”. Il passaggio di Bianca Berlinguer alla corte di Pier Silvio Berlusconi è stato più difficile, subire lezioni di pluralismo da una rete privata no è stato un gran spettacolo, visto da fuori. 

Amadeus in procinto di passare a Discovery sul canale Nove. A pesare sono state anche le ingerenze politiche

Amadeus rientra invece di diritto nella stretta schiera dei presentatori veramente nazionalpopolari, macina risultati importanti con telespettatori di qualsiasi fazione e soprattutto con i suoi cinque festival di Sanremo ha rilanciato l’interesse degli sponsor riportando la Rai sulla vetta delle reti televisive e ha catturato un pubblico giovane che sembrava irrecuperabile. Il 9 aprile Amadeus avrebbe comunicato ai dirigenti Rai l’intenzione di seguire Fabio Fazio a Nove, la rete della galassia Discovery. Sul tavolo ci sarebbe un’offerta allettante dal punto di vista economico (circa 3 milioni di euro rispetto al milione e 700mila della Rai) ma soprattutto sfidante per i conduttore: responsabile dell’intrattenimento del canale. 

A pesare sulla decisione ci sarebbe soprattutto – manco a dirlo – il fastidio per l’ingerenza politica in occasione dell’ultima edizione del Festival di Sanremo. Secondo il Corriere, tra i motivi che avrebbero spinto Amadeus a lasciare la Rai ci sarebbero anche le pressioni e richieste ricevute: portare Povia a Sanremo, Hoara Borselli ospite e Mogol direttore artistico. Infine la richiesta di un pranzo “di cortesia” con Pino Insegno. Fonti interne alla Rai dicono di un fastidio insistente per la mancata difesa da parte dell’azienda (Sergio in particolare) sul “caso trattori” che per alcuni giorni ha soffiato sulla competizione sanremese. Infine Amadesu non avrebbe gradito l’atteggiamento (definito “pilatesco”) dell’ad in occasione dei continui attacchi di esponenti della maggioranza contro alcuni cantanti in gara, da Rosa Chemical e Fedez nell’edizione del 2023 alle polemiche che hanno seguito le prese di posizione su immigrazione e Medio oriente di alcuni cantanti in gara quest’anno. “Mentre chiedevano a me di non politicizzare il Festival – è il ragionamento del conduttore – non mi difendevano dalle strumentalizzazione dei loro compagni di partito”. 

La vera sfida per il prossimo amministratore delegato Rai (che sarà Rossi scambiandosi il ruolo con Sergio), per il direttore del day time Angelo Mellone, per il direttore del prime time Marcello Ciannamea e il responsabile della distribuzione Stefano Coletta sarà quella di trovare un sostituto all’altezza per ascolti e introiti pubblicitari. Missione quasi impossibile. Stefano De Martino – primo dei papabili – non è ancora strutturato per raggiungere l’obiettivo. Ma la vera sfida della Rai targata Meloni consiste nel smentire questo deserto che loro si ostinano a voler chiamare cambiamento. 

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Quell’irresistibile voglia del carcere per i giornalisti

Eccola, di nuovo, quell’irresistibile voglia di Fratelli d’Italia di imbavagliare il giornalismo. Il capogruppo al Senato di Fratelli d’Italia nonché relatore del ddl diffamazione Gianni Berrino cede all’incontinenza criminogena e presenta un emendamento che prevede il carcere fino a 3 anni e la multa fino a 120mila euro per “condotte reiterate e coordinate” di diffusione di notizie false. L’emendamento aggiunge un comma al ddl Balboni, punendo la “diffusione di notizie false con il mezzo della stampa”. Prevista anche la pena accessoria dell’interdizione dalla professione di giornalista per un periodo da tre mesi a tre anni. Inoltre, quando le condotte “consistono nell’attribuzione, a taluno che si sa innocente, di fatti costituenti reato, la pena è aumentata da un terzo alla metà”.

Dubbi di Fi e Lega sulla proposta di FdI, che prevede fino a 4 anni e mezzo di carcere per i giornalisti

È l’esatto opposto di ciò che aveva chiesto la Consulta a giugno nel 2021 quando una sentenza – relatore il giudice Francesco Viganò – l’articolo 13 della legge sulla stampa del 1948 che finora faceva scattare, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni. Dalle parti di Fratelli d’Italia hanno avuto la gran pensata di introdurre un nuovo articolo – il 13 bis – alla legge sulla stampa, dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa proprio perché prevedeva pene detentive, in contrasto con la giurisprudenza della Cedu. 

Fnsi: “Misura incivile”

“Nessuno ha diritto di inventarsi fatti falsi e precisi per ledere l’onore delle persone. Quello non è diritto di informazione ma orchestrata macchina del fango, che lede anche il diritto alla corretta e veritiera informazione”, spiega il meloniano nel tentativo di rendere potabile una norma che fa a pugni con la Costituzione italiana e con il diritto internazionale. E a dimostrazione di quanto sia avventata la sua incursione in commissione giustizia ci sono le reazione dei suoi compagni di maggioranza, tutt’altro che felici di dover smussare l’ennesima spinta autoritaria proprio a ridosso delle elezioni europee. Il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin spiega che non c’è stato il tempo per “approfondire il contenuto degli emendamenti” e rimanda alla sentenza della Consulta, affossando di fatto l’iniziativa del suo collega. Dal canto suo, la presidente della Commissione Giustizia al Senato Giulia Bongiorno (Lega), non entra nel merito ma annuncia una riunione di maggioranza, sottolineando però che il Carroccio “tiene soprattutto a focalizzare l’attenzione sul tema del titolo degli articoli e delle rettifiche”. E pensare che quella sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si riferiva al caso di Alessandro Sallusti, voce autorevole di questa destra che lambicca Orbàn, condannato dal giudice italiano alla pena di 14 mesi di reclusione e salvato dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. 

Inevitabile lo sdegno delle opposizioni, con il Movimento 5 Stelle che attraverso la senatrice Dolores Bevilacqua sottolinea i “troppi campanelli d’allarme per la libera informazione con questo governo” e con il dem Filippo Sensi che parla di “un conto aperto con la libertà di informazione” da parte di questa maggioranza. Di “posizioni inaccettabili frutto di pulsioni autoritarie“ parla il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Bartoli mentre Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi intravede “un altro salto indietro nelle classifiche internazionali sulla libertà di informazione”. 

Oggi l’ordine di scuderia è di abbassare i toni, seppellire la polemica e fingere che gli emendamenti siano un’iniziativa personale di Berrino, che si aggira con il cerino in mano e la nomea di Orbàn di questa settimana. Ma intanto l’avvertimento è arrivato. 

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Le carceri italiane scoppiano: c’è un sovraffollamento di 13-14 mila detenuti

Nelle carceri “c’è un livello di tensione molto alta, dettato da una situazione molto complicata”. Lancia l’allarme il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, in audizione al Senato.  “In alcune regioni c’è stata meno attenzione all’organizzazione della vita fuori dalla cella”, sottolinea. C’è un sovraffollamento di 13-14 mila persone. Le carceri lombarde sono le più affollate, con il doppio di presenze rispetto a quelle regolamentari”. Calano immigrati detenuti, “dal 37% di qualche anno fa al 31%”. Donne in carcere sono solo il 4,2%.

Le carceri lombarde sono le più affollate, con il doppio di presenze rispetto a quelle regolamentari. Calano gli immigrati detenuti

Al 31 marzo 2024 le carceri italiane ospitavano 61.049 persone. “Numeri così elevati comportano una contrazione dello spazio a disposizione dell’intera comunità penitenziaria, una riduzione del tempo che gli operatori possono dedicare alle persone detenute, una frammentazione delle proposte trattamentali, maggiori difficoltà per l’accesso alle cure mediche e un aumento della conflittualità interna, dice Monica Gallo, garante dei diritti delle persone private della libertà personale.

Suicidi, sovraffollamento e condizioni disumane impongono il ricorso alla Corte costituzionale

Qualche giorno fa l’Osservatorio carcere delle Camere penali ha dichiarato che i suicidi, sovraffollamento, e condizioni disumane impongono il ricorso alla Corte costituzionale sottolineando la violazione dei diritti fondamentali derivanti dall’esecuzione di una pena detentiva in condizioni disumane e degradanti. Già in passato la Consulta si era pronunciata (con la sentenza 279/ 2013) sulla legittimità costituzionale dell’articolo 147 del codice penale, evidenziando l’inaccettabilità dell’inerzia legislativa di fronte a una situazione così grave. Oggi le cose sono messe perfino peggio. 

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Come Orbàn con i suoi giornalisti

«Gli emendamenti presentati in commissione Giustizia dal senatore di FdI Gianni Berrino al ddl Diffamazione dimostrano che qualcuno non ha capito molto delle sentenze della Corte costituzionale in materia. Il carcere per i giornalisti è un provvedimento incivile e denota la paura di questo governo nei confronti della libertà di stampa. Questa è l’orbanizzazione del Paese». Lo ha detto ieri Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi.

In risposta a un’indicazione che arrivava dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e chiedeva di levare la possibilità del carcere per tutelare i giornalisti la compagine di governo ha pensato di riformare la diffamazione in Italia scrivendo male un disegno di legge che complica ulteriormente il rapporto tra potere e giornalismo e all’ultimo momento non sono riusciti a trattenersi dal prevedere il carcere, di nuovo. Anche la Corte costituzionale aveva sottolineato l’illegittimità del carcere. Niente, è più forte di loro.

Le pulsioni autoritarie del resto funzionano esattamente così, spingono il potere a mostrare la sua vera faccia nelle pieghe della sua azione politica, tradiscono la sua natura alla benché minima occasione. Il combinato disposto dell’emendamento al ddl Diffamazione e l’idea di riforma della par condicio (che prevede minutaggio libero per gli esponenti del governo) tradisce una debolezza di fondo dell’esecutivo. 

La querela per diffamazione è il manganello per sabotare il giornalismo che negli ultimi anni è già in crisi per altri – molto più seri – motivi. Il termometro dello scenario rimane l’editoriale di quei due direttori di giornali di destra qualche settimana fa che per mesi hanno ripetuto che no, non c’era nessuna deriva autoritaria, prima di frignare in un editoriale che lamentava l’abuso di querela.

Buon venerdì. 

Nella foto: il senatore Gianni Berrino, frame di un video sulla campagna elettorale 2022

 

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