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Giulio Cavalli

Per il Wall Street Journal i droni Usa dati a Kiev non servono

Avrebbero dovuto essere importanti per la difesa dell’Ucraina e invece i droni forniti alle forze armate ucraine da diverse startup statunitensi per essere testati prima di essere usati su larga scala si sono dimostrati troppo costosi, proni a malfunzionamenti e difficili da riparare. Lo scrive il quotidiano “Wall Street Journal”, secondo cui le forze ucraine hanno dovuto ripiegare su vasti quantitativi di droni commerciali a basso costo provenienti dalla Cina, Paese accusato di sostenere la macchina bellica russa. 

“La generica reputazione che ogni classe di drone statunitense si è fatta in Ucraina è che non funzionano bene quanto altri sistemi”, ha ammesso in una intervista al quotidiano Adam Bry, amministratore delegato di Skydio, una delle startup statunitensi che hanno fornito i loro droni all’Ucraina. Bry ha riconosciuto che i droni sviluppati dalla sua stessa azienda “non si sono rivelati una piattaforma di gran successo in prima linea”. Il deludente esordio dell’industria dei droni statunitense sul campo di battaglia ucraino è una cattiva notizia per il Pentagono, scrive il “Wall Street Journal”, ricordando che sulle startup statunitensi del settore sono stati riversati sin dall’inizio del conflitto ingenti capitali finanziari, nella speranza che i nuovi sistemi potessero dare buona prova delle loro capacita’ e ottenere un contratto di fornitura al governo federale Usa.

I droni forniti da alcune startup Usa sono inefficaci. A Kiev non rimane che bussare alla porta della Cina

Messi alla prova dall’esercito di Kiev i droni statunitensi si sono dimostrati troppo costosi e fragili, oltre che particolarmente vulnerabili ai sistemi di disturbo elettronico impiegati dalle forze armate russe. Spesso, inoltre, i droni forniti dalle aziende statunitensi avrebbero esibito autonomia e capacità di carico utile inferiori a quelli comunicati dai produttori. Il problema principale comunque, secondo fonti del settore citate dal quotidiano, sarebbe l’iniziale sottovalutazione delle capacità di disturbo elettronico della Russia. 

La guerra dei droni pone sfide uniche: la rapidissima evoluzione tecnologica del settore comporta la rapida obsolescenza dei sistemi, che devono essere poco costosi a dispetto dei costi necessari all’aggiornamento e all’evoluzione continua delle loro capacità. Il risultato, almeno per il momento, è che i più semplici e meno costosi droni cinesi, originariamente concepiti per l’impiego commerciale, sono più adatti alle esigenze delle forze ucraine, che ne hanno acquistati a decine di migliaia da aziende come Sz Dji Technologies. Così alla fine all’esercito di Kiev non è rimasto che bussare alla porta dell’amico del suo nemico. 

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Diga Suviana, continuano le ricerche dei dispersi

Sono continuate tutta la notte le ricerche dopo l’esplosione alla diga di Suviana sull’Appennino tosco-emiliano. Tre morti accertati (Tanase Pavel Petronel residente a Torino, 45 anni; Mario Pisani nato a Taranto, 73 anni; Vincenzo Franchina nato a Messina, 35 anni), cinque feriti gravi, tre illesi e quattro dispersi, ma le speranze di trovarli ancora in vita sono praticamente inesistenti.

Il bilancio del disastro di Suviana è di 3 morti, cinque feriti gravi, tre illesi e quattro dispersi (con poche speranze di ritrovarli vivi)

I soccorsi sono resi difficili dalle macerie che si sono accumulate in fondo al lago di Suviana. Le vittime dell’incendio si trovano tra l’ottavo e il nono piano sotto il livello dell’acqua, una sorta di palazzo rovesciato che si è rivelato una trappola. Secondo le prime ricostruzioni dei Vigili del fuoco, le turbine di questa centrale idroelettrica, che produce l’energia spostando l’acqua tra un lago a monte e uno a valle, erano state da poco sostituite.

Le turbine della centrale erano state da poco sostituite e una di queste potrebbe essere esplosa

L’ipotesi è che durante una di queste prove, un generatore di corrente sia esploso. La girante (una specie di grossa elica) e l’albero dell’apparecchio hanno sfondato una parete di cemento, facendo entrare l’acqua dal bacino mentre il combustibile innescato dallo scoppio ha scatenato le fiamme verso l’alto. Una seconda versione dei fatti, riferita dal prefetto di Bologna, Attilio Visconti, parla invece di un’esplosione di una delle nuove turbine. L’incendio avrebbe coinvolto l’ottavo piano sottoterra dove un tubo di raffreddamento avrebbe riversato acqua nell’edificio.

Il cantiere è stato aperto da Enel Green Power Italia Srl per la revisione della valvola rotativa del gruppo 2. L’importo è di circa 2,25 milioni. Lo si legge sul foglio dei lavori all’ingresso della centrale. L’impresa esecutrice è Voith Hydro Srl, a cui si aggiungono come imprese selezionate Voith Hydro Srl, Meca Scarl, Siemens Energy Srl, Engineering automation srl, Tovoli Primo srl, Tcm srl, Impel System srl, Altameccanica srl, Enel Green Power Spa.

Il copione è sempre lo stesso: appalti e subappalti per risparmiare sui costi. Ferrovieri, elettricisti, edili: cambiano i ruoli ma il copione sembra tremendamente sempre lo stesso

La Cgil locale sottolinea l’ennesima strage sul lavoro. “Seguiamo con apprensione l’evoluzione delle ricerche e dell’evacuazione dello stabilimento e ci auguriamo non ci siano altre vittime oltre a quelle già annunciate” si legge su Colletiva, la testata online del sindacato. “Questa ennesima strage sul lavoro ci rende ancora più determinati a proseguire la lotta a oltranza, fino a quando non ci sarà un cambiamento netto e radicale delle condizioni in cui oggi si lavora”.

Il copione, dai primi dati, è sempre lo stesso: grandi aziende che per risparmiare si affidano ai subappalti per esternalizzare costi e responsabilità. A Brandizzo lo scorso settembre erano manutentori della ferrovia che lavoravano senza bloccare la circolazione dei treni. Cinque operai sono stati falciati. La giungla degli appalti e dei subappalti (iniziata con la riforma Treu e poi consolidata dal Jobs acta renziano) è stata accelerata dalla modifica al codice degli appalti del ministro Salvini nell’edilizia. Ferrovieri, elettricisti, edili: cambiano i ruoli ma il copione sembra tremendamente sempre lo stesso. 

Oggi vertice in prefettura con i ministri Piantedosi, Calderone e il governatore Bonaccini

Oggi a Suviana arriverà la ministra del Lavoro Marina Calderone e il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sarà invece in Prefettura dove parteciperà a un vertice per comprendere le dinamiche dell’incidente. I lavori che avevano determinato la chiusura della diga erano appena conclusi e da poco si stavano eseguendo i test di pompaggio, prima dell’effettiva messa in opera delle pompe.

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C’è un bel clima a Strasburgo

È una sentenza storica anche se piccola quella che arriva dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contro la Svizzera. I giudici di Strasburgo hanno pronunciato la prima sentenza che sancisce che l’azione contro il cambiamento climatico sia un diritto. La causa è stata intentata da “Anziane per il clima”, un’associazione che conta più di 2mila associate, alcune delle quali – tutte nate tra il 1931 e il 1942  – avevano fatto causa alla Confederazione elvetica per avere violato l’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ovvero il diritto al rispetto della vita privata e familiare, in quanto non ha preso sufficienti misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

La Svizzera, ha spiegato la Corte, non ha agito «in tempo e in modo appropriato per concepire, sviluppare e attuare le leggi e le misure opportune». Aggiungendo, che questo «elemento viola i diritti umani». La Corte europea per i diritti dell’uomo fa parte del Consiglio d’Europa, che è composto da 46 membri. Le cause (anche quelle rigettate) sono state comunque trattate come priorità dalla Grande Camera, la cui decisione in merito alla Svizzera va a costituire un precedente legale potenzialmente cruciale.

Per la giudice della Corte, Siofra O’Leary, il governo svizzero ha disatteso i suoi stessi obiettivi climatici: «Le generazioni future avranno probabilmente un fardello sempre più pesante dato dalle conseguenze degli attuali fallimenti e omissioni nella lotta al cambiamento climatico». «La sentenza stabilisce un cruciale precedente giuridico vincolante», spiega fuori dalla corte di Strasburgo Ruth Delbaere dell’associazione Avaas, che ha seguito questo e altri climate litigations, ovvero casi dove associazioni e cittadini chiedono conto dell’inazione ambientale di aziende e governi. «Fungerà d’ora in poi da modello per come denunciare con successo il proprio governo per i fallimenti climatici, la loro inerzia e le inadempienze ai trattati internazionali come quello di Parigi del 2015».

Buon mercoledì. 

Nella foto: frame del video di Anziane per il clima a Strasburgo

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Altro che prima gli italiani. La destra candida un crucco

Le prossime elezioni amministrative a Firenze aprono un nuovo genere letterario: la contraddittoria torsione del centrodestra per provare a prendersi la poltrona da sindaco. Nella città di Macchiavelli che ha già partorito uno dei più noti esponenti di destra – benché al tempo fosse travestito di sinistra – ora per la coalizione dei partiti di centrodestra al governo corre l’ex direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze e storico dell’arte tedesco Eike Schmidt.

Schmidt, candidato per la destra a Firenze, dice che che Meloni è credibile perché “sta muovendo il suo partito verso il centro”

Qui c’è già il primo sorriso: quelli de “prima gli italiani” non hanno trovato un italiano buono da candidare a Palazzo Vecchio dovendo ripiegare su un tedesco. Sembrano così lontani i tempi in cui l’ex consorte della presidente del Consiglio, Andrea Giambruno, si accapigliava contro il ministro tedesco perché secondo lui “la Germania da anni vuole insegnarci a vivere”. Ora, in tempi di magra, va bene anche un crucco come primo cittadino. 

Schmidt ieri ha rilasciato un’intervista al settimanale (tedesco) “Der Spiegel” ovviamente sorpreso che un loro concittadino si candidi con partiti che da quelle parti vengono considerati neofascisti. Schmidt ha dovuto giurare di essere antifascista spiegando ai suoi connazionali che “Fratelli d’Italia” sono le “prime parole dell’inno nazionale”, in cui si esprime “l’eredita’ conservatrice, nazionalista del XIX secolo”. Poi il colpo di genio: dice Schmidt che Salvini ha raffreddato i suoi rapporti con i neonazisti e che Meloni è credibile perché “sta muovendo il suo partito verso il centro”. In Germania avranno capito che si tratta di una leader che più si allontana da quello che dice e promette e più diventa credibile. Chissà come ci sono rimasti. 

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Quanto paga Netflix? Secondo gli artisti italiani poco, troppo poco

Quanto paga Netflix? Secondo gli artisti italiani poco, troppo poco. Artisti 7607, la società cooperativa che tutela e gestisce i diritti connessi di migliaia di attori e doppiatori in Italia e nel mondo ha citato in giudizio Netflix presso il Tribunale civile di Roma per “ottenere il compenso adeguato e proporzionato spettante per legge ai propri artisti mandanti”.

Migliaia di attori e doppiatori italiani hanno citato in giudizio Netflix per ottenere un “compenso adeguato e proporzionato”

Dopo “oltre otto anni di sterili trattative per ottenere i dati necessari alla determinazione del compenso per gli artisti previsto dalla normativa europea e nazionale – si legge nel comunicato della cooperativa di collecting – Artisti 7607 si vede costretta a ricorrere al giudice ordinario per chiedere il rispetto della legge”. Diversi degli artisti rappresentati dalla cooperativa hanno detto la loro a sostegno della decisione di citare Netflix in tribunale. “Artisti 7607 fa una scelta doverosa per difendere la dignità professionale non solo dei nostri artisti ma di tutta la categoria. Non vogliamo subire atteggiamenti ostruzionistici e accettare compensi irrisori da parte delle piattaforme streaming, per le stesse ragioni che hanno motivato il recente sciopero degli attori e sceneggiatori americani. Tutti reclamiamo trasparenza dei dati di sfruttamento delle opere audiovisive e adeguatezza dei compensi”, ha detto Neri Marcorè.

“Questi compensi di fatto costituiscono il salario differito di una professione per sua natura saltuaria e precaria. I diritti connessi al diritto d’autore non sono altro che un credito da lavoro. È molto grave e pericolosa questa spinta a svalutare le prestazioni artistiche degli interpreti”, ha sottolineato Carmen Giardina. “Proprio le piattaforme che trattano e sfruttano dati si rifiutano, grazie al loro strapotere economico e contrattuale, di fornirci i dati previsti dalla normativa e di corrispondere conseguentemente i compensi agli artisti. E parliamo di multinazionali i cui ricavi vengono esclusivamente dallo sfruttamento di opere audiovisive”, ha dichiarato Elio Germano.

“La Direttiva Copyright ha chiarito che le remunerazioni degli artisti devono essere ‘adeguate e proporzionate’ ai ricavi”

“La Direttiva Copyright ha chiarito che le remunerazioni degli artisti devono essere ‘adeguate e proporzionate’ ai ricavi. Invece ci troviamo davanti a un sistema in cui le piattaforme, senza fornire tutte le informazioni previste dalla legge, chiudono accordi al ribasso e poi cercano di imporre le stesse cifre a tutto il mercato, così da tenere i livelli dei compensi degli artisti sempre molto bassi”, ha aggiunto Michele Riondino. 

“In questo modo Artisti 7607, per tutelare gli interessi degli artisti, è costretta a ritardare tempi di incasso e di distribuzione sia dell’equo compenso sia della copia privata, a scapito anche delle iniziative a sostegno della categoria. Da tempo fronteggiamo prassi di mercato al ribasso ma, tenendo posizioni ferme nell’interesse di tutti, siamo riusciti ad ottenere la giusta remunerazione. Molti artisti capiscono ciò che stiamo facendo e continuano a sceglierci”, ha sottolineato la presidente Cinzia Mascoli.

“A tutela dell’intera categoria Artisti 7607 si oppone ad un sistema nel quale gli interpreti vengano sottopagati: accettare compensi che appaiono irrisori rispetto agli immensi guadagni generati da uno sfruttamento globale esponenziale delle opere audiovisive peserebbe come un grave precedente sul futuro di tutti gli artisti”, ha spiegato Alberto Molinari. “Ci assumiamo questa responsabilità perché le scelte che vengono fatte oggi riguardano tutti e avranno ripercussioni sul presente e sul futuro di tanti artisti e di tante generazioni. Anche quelle che verranno dopo di noi, quindi a brevissimo”, ha affermato Valerio Mastandrea. “Gli artisti chiedono nuovamente che il Governo e le Autorità di settore prendano una posizione chiara nei confronti di questa prassi, così come è avvenuto per il settore dell’editoria”, ha concluso Paolo Calabresi.

La società cooperativa Artisti 7607 si oppone ad un sistema nel quale gli interpreti vengano sottopagati

A stretto giro arriva la risposta della società statunitense che sottolinea come  “il compenso degli artisti, interpreti ed esecutori è di fondamentale importanza per Netflix. Da molti anni – dice un portavoce di Netflix –  abbiamo un accordo con Nuovo Imaie, la collecting italiana che rappresenta la maggioranza degli artisti, interpreti ed esecutori italiani. Abbiamo cercato a lungo di raggiungere un accordo con Artisti 7607 e abbiamo fornito loro tutte le informazioni previste dalla legge, come riconosciuto dall’AGCOM nella sua decisione dello scorso anno. Artisti 7607 ha ripetutamente rifiutato la nostra offerta di pagamento e, pur augurandoci che la accettino, attendiamo ora la decisione del tribunale”.

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L’Italia non ha mantenuto mezza promessa sui finanziamenti fossili

Tra i Paesi del G20 l’Italia è ancora il 5° maggior finanziatore di gas e petrolio, subito dietro la Cina. Tra il 2020 e il 2022, in media, ha sborsato 2,5 miliardi di dollari l’anno per sostenere progetti all’estero. Peggio di Roma sui finanziamenti alle fossili fanno solo Canada (10,9 mld), Corea (9,9 mld), Giappone (6,9 mld) e Cina (4 mld). Il nostro Paese è più generoso con le fossili degli Stati Uniti, che si fermano a 2,2 mld, e di un paese europeo anch’esso con forte dipendenza dal gas come la Germania (2 mld). Lo calcola un rapporto di Oil Change International e Friends of the Earth, pubblicato oggi e realizzato in collaborazione con altre 23 associazioni tra cui l’italiana Recommon.

L’Italia tra il 2020 e il 2022, in media, ha sborsato 2,5 miliardi di dollari l’anno per sostenere progetti fossili all’estero

Il rapporto sottolinea come la tendenza nel mondo sembra andare nella giusta direzione con un evidente calo. Tra il 2017 e il 2019 le prime 20 economie mondiali e le banche multilaterali da esse finanziate hanno elargito in media 68 miliardi di dollari l’anno. Nei tre anni fra il 2020 e il 2022 questa cifra è scesa del 30% arrivando a 47 mld di dollari. Ma gli estensori del rapporto sottolineano come “tuttavia, questi progressi potrebbe essere minacciati se Stati Uniti, Germania, Italia e Giappone continuano a non mantenere le loro promesse finanziando i combustibili fossili”. 

Stracciati gli impegni presi sui finanziamenti fossili dall’Italia alla Cop28 di Dubai e alla Cop26

Secondo gli accordi presi nelle sedi internazionali e secondo la rotta tracciata dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) il 2021 avrebbe dovuto essere l’anno in non avrebbe dovuto essere finanziato e messo in funzione nessun nuovo progetto fossile. Non è andata così. iIpaesi del G20 hanno elargito ogni anno, tra 2020 e 2022, qualcosa come 846 mld di dollari a gas, carbone e petrolio. I paesi del Nord Globale nel triennio 2020-22 hanno investito 58 volte più risorse nelle fossili che nel fondo Loss and Damage, il principale veicolo per evitare che il cambiamento climatico affossi i paesi più fragili. Su questo fondo i paesi del G7 hanno sborsato appena 414 milioni di dollari. Secondo l’agenzia ONU per il cambiamento climatico, servirebbero almeno 2.400 mld di dollari l’anno entro il 2030. Le promesse dell’Italia fatte all’ultimo Cop28 di Dubai insieme a Canada, Giappone, Germania, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna per ora non hanno avuto seguito. 

Traditi anche gli impegni sulla fine dei finanziamenti pubblici internazionali diretti per i combustibili fossili entro il 2022

L’italia ha disatteso anche gli impegni presi entrando nella Clean Energy Transition Partnership (CETP) alla Cop26 di Glasgow. Nel 2021 il governo italiano si era impegnato a porre fine a tutti i finanziamenti pubblici internazionali diretti per i combustibili fossili (senza tecnologie di abbattimento delle emissioni) entro la fine del 2022. Ancora oggi l’Italia investe pochissimo in rinnovabili rispetto al volume garantito alle fossili: 175 mln di dollari, quasi 15 volte di meno. A tutto questo si aggiunge il capitolo delle agenzie per il supporto al credito per l’export dove il nostro Paese attraverso SACE (il gruppo assicurativo-finanziario italiano, direttamente controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) ha investito quasi 5 miliardi di dollari solo nel 2023 su progetti attivi nei combustibili fossili e nel corso del 2024 – si legge nel rapporto –  “probabilmente approverà centinaia di milioni per progetti di combustibili fossili in Vietnam, Brasile e Mozambico”.

“La finanza pubblica – si legge – non è scarsa, è solo mal distribuita. Si sta dirigendo verso i combustibili fossili nonostante la scienza abbia chiarito che lo sviluppo di nuovi combustibili fossili è incompatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 gradi”. È tutta una questione di volere, mica di potere. 

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45 agenti della Penitenziaria spediti in Albania per uno spot al governo

Alla penuria di agenti penitenziari che da tempo affligge l’Italia ora ne vanno sottratti altri 45 che devono essere spediti urgentemente in Albania.  Quarantacinque appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria infatti saranno inviati in Albania per lavorare nel carcere di Gjader “destinato a ricevere al massimo 20 migranti che dovessero rendersi responsabili di reati durante la permanenza nelle strutture gestite dallo Stato italiano in quel territorio per effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla legge italiana ed europea o coloro per i quali si dovesse dar corso a provvedimenti giudiziari che costituiscono titolo custodiale”. Lo si legge in una nota del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria visionata dall’AGI con la quale viene avviata la selezione di un Comandante e altre figure per un totale di 45 persone. I candidati dovranno presentare la domanda entro il 17 aprile 2024. 

Alla penuria di agenti penitenziari che da tempo affligge l’Italia ora ne vanno sottratti altri 45 che devono essere spediti urgentemente in Albania

L’istituto ospiterà “al massimo 20 detenuti di sesso maschile”. Quanto basta per inscenare lo spot voluto da Giorgia Meloni per fingere di traslocare il fenomeno migratorio che non riesce a gestire. Il 6 novembre 2023 il governo italiano ha firmato un accordo con l’Albania per la costruzione di due centri di detenzione sul territorio albanese, che saranno utilizzati per trattenere le persone intercettate o soccorse in mare dalle navi di Stato italiane. L’accordo mira a legalizzare il trattamento extraterritoriale e la detenzione dei richiedenti asilo e delle persone da rimpatriare forzatamente, con l’obiettivo dichiarato di scoraggiare le traversate in mare. Il 24 gennaio la Camera dei deputati ha approvato la ratifica dell’accordo, che è poi passato al Senato. Il 29 gennaio, la Corte costituzionale albanese ha dato il via libera alla ratifica dell’accordo da parte del Parlamento.

Il rapporto medio fra detenuti e poliziotti penitenziari in Italia rimane sempre molto basso, attestandosi circa a 1,9, vale a dire quasi un agente ogni 2 detenuti. Sul set albanese in cui l’Italia manda in onda il suo spot promozionale il rapporto sarà doppio, come esigono le regole del marketing.  

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Ben arrivati a quelli che sorridevano quando si parlava di pericolo autoritario

«Ormai siamo a un passo dall’Eiar: il passaggio definitivo dal servizio pubblico a quello di Stato e di governo. A questo esecutivo non basta aver occupato in Rai tutto l’occupabile, ora si lavora anche a norme per piegare la par condicio alla propaganda di governo». Non usa giri di parole il presidente della Fnsi Vittorio Di Trapani commentando gli emendamenti proposti dai partiti di governo alla delibera in Vigilanza Rai sulla par condicio in previsione delle elezioni nei prossimi mesi. 

Decidere di escludere dal computo delle presenze Giorgia Meloni perché presidente del Consiglio, Matteo Salvini perché ministro dei Trasporti e Infrastrutture e Antonio Tajani perché ministro degli Esteri fingendo che non siano anche i leader dei loro rispettivi partiti significa puntare all’occupazione delle reti pubbliche con una prepotenza inimmaginabile perfino ai tempi dell’onnivoro Berlusconi. 

L’emendamento 4.13 prevede che i programmi di approfondimento siano tenuti a “garantire la più ampia possibilità di espressione” fatto salvo “il principio della notiziabilità giornalistica”, ma soprattutto “la necessità di garantire ai cittadini una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative”. In sostanza significa che la par condicio diventa un hobby per i partiti dell’opposizione. 

L’ipotesi di modifiche è talmente schifosa che è riuscita a riunire tutte le opposizioni in un comunicato congiunto. A definire “illiberali” gli emendamenti di Fratelli d’Italia ci sono anche quelli che sorridevano quando si parlava di pericolo autoritario. Ben arrivati. 

Buon martedì. 

 

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A proposito di trasformismo, la Puglia specchio d’Italia

A proposito del caos che regna in Puglia forse vale la pena ripercorrere le fasi politiche e i relativi trasformismi dei politici coinvolti, almeno per evitare tiro al piccione superficiale. 

La politica coinvolta nelle indagini che hanno determinato l’ispezione per valutare l’eventuale scioglimento del comune di Bari è Maria Carmen Lorusso, passata da poco al Partito democratico in sostegno al sindaco Antonio Denaro dopo essere stata eletta nella lista che sosteneva il candidato del centrodestra (più precisamente Forza Italia) Pasquale Di Rella. Lorusso è moglie di Giacomo Olivieri, accusato dalla direzione antimafia di avere pagato i clan mafiosi Parisi, Strisciuglio e Montani per eleggere la moglie. Olivieri ha cominciato a fare politica con il Partito popolare italiano, poi ha sostenuto l’attuale ministro Raffaele Fitto nella corsa alle regionali per poi tornare nel centrosinistra da consigliere regionale con la Margherita confluita poi nel Partito democratico. Poi è passato per breve tempo alla corte di Di Pietro in Italia dei valori per infilarsi quindi in un movimento vicino al Centro democratico di Bruno Tabacci. è stato nominato dall’allora sindaco di Bari, Michele Emiliano, nella società municipalizzata Multiservizi per poi non essere riconfermato da Decaro e quindi appoggiare il suo avversario Di Rella, a sua volta passato dal Pd a Forza Italia. 

L’altra politica coinvolta in questi giorni, l’assessora regionale – che ora si è dimessa – Anita Mauridinoia, ha iniziato nel centrodestra per poi passare alla corte di Emiliano, sempre molto generoso nell’accogliere transfughi ex avversari che poi diventano fedelissimi. Non male, eh?

 

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Tensione tra Pd e M5s: il campo largo si stringe

L’eventuale ricomposizione del cosiddetto campo largo tra Partito democratico e Movimento 5 stelle accadrà, se accadrà, dopo le elezioni europee. Dai dem filtra la voce che la legge elettorale per Bruxelles, proporzionale, e la possibilità di sviluppi delle indagini in Puglia rimanda qualsiasi discussione. Troppo alta la temperatura.

All’uscita dalle primarie a Bari decisa da Giuseppe Conte in seguito alle inchieste sul voto di scambio ora si aggiunge l’ufficializzazione la corsa solitari del M5S in Piemonte con la candidatura di Sarah Disabato. “Le sorti dell’area del campo progressista non dipendono solo da noi, ma anche da quel che vorrà fare Schlein. Vuole perseguire gli impegni presi con la comunità che l’ha investita segretaria, per trasformare il Pd? O finirà trasformata dal Pd?”, ha detto Conte in un’intervista al Corriere della sera. “Accusarci di slealtà offende il popolo che ha creato il M5S e che, dal 2009, ha fatto del principio della legalità la nostra stella polare. Per noi non sono in gioco delle beghe tra partiti o tra leader, è in gioco la sostanza politica. Si tratta di rinnovare la classe dirigente per costruire qualcosa di diverso dall’Italia che non ci piace. Non possiamo fare spallucce e questo per noi vuol dire essere leali con i cittadini”.

L’eventuale ricomposizione del cosiddetto campo largo tra Pd e M5s è rimandata a dopo le elezioni europee

La segretaria dle Pd Elly Schlein è più impegnata – come spesso le accade – ad arginare le correnti del suo partito. “Quando Elly Schlein dice che non devono essere le correnti del Pd a fare le liste per le elezioni europee, io non solo non posso non essere d’accordo, ma tutta la mia campagna congressuale è stata all’insegna del ‘basta con le correnti’ che determinano le carriere” ha detto il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, battuto proprio dalla Schlein nell’ultimo congresso.

C’è chi poi, tra i dem, non accetta lezioni dai pentastellati: “‘La legalità è la stella polare del M5S’ tuona Conte. Evidentemente qualcuno dei loro ha perso la bussola, per esempio Marcello De Vito, già presidente del consiglio comunale di Roma, condannato a 8 anni e 8 mesi per corruzione, finanziamento illecito e traffico di influenze” scrive su Twitter la deputata Pd Lia Quartapelle. Pronta la replica di Michele Gubitosa, vicepresidente del M5S alla Camera: “La deputata Quartapelle del Partito democratico è nuovamente tornata sulla vicenda legata all’ex M5S De Vito per attaccare Conte e il Movimento. Credo sarebbe meglio che prima di parlare a vanvera i colleghi del Pd facessero lo sforzo di documentarsi, in modo da evitare questo genere di figuracce. O quantomeno potrebbero parlarsi tra di loro, dal momento che già nel weekend avevamo risposto a Casu sulla stessa vicenda, chiarendo che De Vito fu immediatamente allontanato dal M5S, peraltro quando Conte non ne era ancora Presidente.

Il campo largo torna a essere un auspicio per alcuni e un incubo per altri

Possibile che il Partito democratico non abbia migliori argomenti sul tema Comprendiamo la difficoltà e l’agitazione del momento, ma crediamo che la legalità non sia materia per il chiacchiericcio e la polemica politica, perché per noi rappresenta un valore fondante e un tratto distintivo non negoziabile”. E c’è chi, nell’altro campo, gongola per le tristi vicissitudini del campo largo: “Solo per dare un’immagine e senza voler fare il minimo paragone con le guerre in atto, la sinistra più che un campo largo mi sembra un campo minato. Fra sconfitte, liti, leader che si accusano l’un l’altro e candidati che escono ed entrano dalle porte girevoli, se continua così sospenderanno le trattative per impraticabilità di campo” commenta la senatrice di Forza Italia e vice presidente del Senato, Licia Ronzulli, in un’intervista al Giornale. Il campo largo torna a essere un auspicio per alcuni e un incubo per altri. E potrebbe essere così fino alle europee. 

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