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Giulio Cavalli

Due tonnellate di cocaina a Reggio

Provate ad immaginare quante siano due tonnellate di cocaina. Divise in buste appiattite dentro una scatola. Quanti nasi da sfamare. Oggi. A Reggio Calabria.

Due tonnellate di cocaina provenienti dal Sudamerica sono state sequestrate dalla Guardia di Finanza. Nella maxi operazione in materia di contrasto al traffico internazionale di stupefacenti del nucleo di polizia tributaria di Catanzaro, coordinata dal procuratore aggiunto di Reggio CalabriaNicola Gratteri e svolta in collaborazione con numerose forze di polizia straniere, sono state emesse 24 ordinanze di custodia cautelare, in provincia di Reggio Calabria e all’estero. Alle ore 11,30 si terrà una conferenza stampa presso la procura di Reggio Calabria con il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho e il procuratore aggiunto Nicola Gratteri. “Finora abbiamo recuperato 2mila chili di cocaina – ha detto Gratteri ai microfoni di RaiNews24 – Quello della droga è un traffico da arginare molto difficile, serve un sistema omologo a livello europeo”.

Licenziato (finalmente) “il seviziatore di Bolzaneto”

La Asl 3 di Genova ha licenziato il medico Giacomo Toccafondi, 60 anni che durante il G8 del luglio 2001 a Genova avrebbe compiuto violenza sui ragazzi che lo avevano descritto come “il seviziatore di Bolzaneto”. Violenze su cui però non era stata raggiunta la prova visto che il responsabile dell’infermiera, accusato di omissione di referto, violenza privata, lesioni, abuso d’ufficio, era stato condannato ad 1 anno e 2 mesi per i reati omissione di referto e per due ingiurie. In appello e quindi in Cassazione aveva poi incassato la prescrizione anche se condannato a risarcire le vittime.

(via)

Brucia Rozzano

Non sottovalutare i segnali. Mai. A Rozzano succedono cose così (dal blog di Marco Masini):

Mercoledì sera scorso, via glicini, nel pieno del quartiere Aler, è diventata la piazza di un evento che si fatica a definire casuale, anche perché seguito, a pochi giorni, da minacce al segretario di un partito locale e dalla rinuncia alla rappresentatività di una coalizione, in opposizione al Pd. Tutti fatti che sembrano decisamente collegati dalla sequenza temporale e dalle loro conseguenze.
L’auto del portavoce di una lista civica locale che si era schierata con la maggioranza nel 2009, ma che poi aveva vissuto le vicissitudini di una frattura interna, con il passaggio di Domenico Anselmo e Giuseppe Coniglio in Forza Italia, è stata data alle fiamme durante la riunione della lista con modalità chiaramente riportate come di tipo doloso. L’incendio non è stato però denunciato, ahimè, complice l’impossibilità di un recupero assicurativo.
Si tratta di un evento ormai alquanto raro a Rozzano. Gli ultimi incendi che non poterono definirsi accidentali si devono far risalire ai fattacci legati alle dimissioni del consigliere Cuvello, del vice sindaco Rizza e che portarono gravi danni all’esercizio commerciale del primo e a quello del consigliere Anselmo nell’estate di tre anni fa.

La lista aveva manifestato apertamente il loro appoggio alla candidatura di Caterina Mallamaci, e, questo, sembra aver turbato alcuni equilibri. Non lo si sarebbe potuto dire se, nel giro di poco, non fosse avvenuto un successivo evento sospetto: quello legato ad una chiamata di minacce al segretario di Rifondazione Comunista, Giuseppe Eriano. Il tutto a poche ore dalla riunione della coalizione di sabato sera e dalle voci di rinuncia alla candidatura di Caterina Mallamaci della mattina successiva.
Uniti per Rozzano, con Rifondazione ed altri, si erano coalizzati per dar voce alla possibilità di una alternativa di centro-sinistra in alternativa a quella che si sta coagulando attorno al Pd di Agogliati. I risultati delle primarie hanno mostrato che, l’ipotesi prima fantascientifica, di una diversa rappresentanza di quel blocco politico, poteva essere intravista.

Speriamo ardentemente che a Rozzano non si debbano vivere situazioni che si manifestano tipicamente solo in territori legati alla criminalità organizzata, proprio nell’avvicinarsi di una importante scadenza elettorale che, stante le premesse, potrebbe andare a modificare sostanzialmente un blocco di interessi costituiti molto forte e con un vasto giro di legami.
Problemi che la città riteneva di poter dimenticare, e che ancora oggi cerca faticosamente di lasciarsi alle spalle, in virtù di mancata trasparenza e ad interessi poco leciti. Lo sgomento di chi è venuto a conoscenza dei fatti è totale, così come la volontà di denuncia a cui crediamo di poter aderire.
La nostra più sincera solidarietà ai vessati in questa storia. E speriamo che la rinuncia di Caterina Mallamaci non sia legata a questi fatti. Siamo comunque in attesa di una sua comunicazione.

 

Quando il libro era un luogo

Una bella riflessione di Marco Belpoliti su lettura tradizionale e lettura digitale:

Noi lettori – tu compreso – siamo diventati dei produttori di contenuti a pieno titolo. Di più: partecipiamo alla “co-creazione del valore”. Henry Jenkins ci ha scritto sopra un libro, Cultura convergente (Apogeo): si chiama “produso” (produzione tramite l’uso) o “wreading (writing + reading). Partiamo dalle tesi di Piper sul libro elettronico. Le elenco: 1) il libro elettronico, a differenza del libro tradizionale, tiene le cose fuori di sé; 2) la lettura digitale è sempre centrifuga; 3)il testo che si espande è diventato il nuovo standard; 4) la pagina digitale non è una finestra ma una porta. Ce ne sono altre, ma mi concentro su queste.

Primo punto: noi non possiamo toccare la sorgente delle lettere sullo schermo (il disco fisso elettromagnetico) senza distruggerla, mentre il libro è tutto lì, tra le nostre mani e possiamo anche stropicciarlo, farci delle “orecchie”; i testi digitali non si possono “sentire”. Secondo punto: nel Settecento i critici dei giornali dicevano: ma perché vi interessa leggere cosa succede in Svezia o in Polonia? Oggi sappiamo che tutto è diventato vicino.

Di più: centrifugo. Meglio: oggi l’esterno è definitivamente dentro. Dentro il nostro computer (il medium che uso ora per scrivere: scritto l’articolo con un clic lo faccio arrivare sul tavolo della redazione e con altri clic andrà in pagina, su carta, e anche on line, dove tu ora lo puoi leggere sul tuo supporto elettronico: niente è fuori, tutto dentro). Dice Piper: la proprietà transitiva domina il mondo. Ha ragione (non è il primo a dirlo: Baudrillard negli anni Ottanta). Terzo punto: è una conseguenza del precedente. Invece di usare la proprietà transitiva (il prefisso inter: internet, interdisciplinare, intermediale, parole obsolete) oggi siamo dentro, e abbracciamo. Dentro, ma espandendoci: leggere è un movimento centrifugo. I testi si estendono a dismisura, non c’è più neppure il libro a contenerli: sono ipertesti. Se navighi nel web, come suppongo, lo sai bene. Quarto punto: la pagina digitale non somiglia a una finestra.

Questo era il vecchio mondo. Il tablet su cui tu puoi leggere queste parole è solo un portone, un portale di passaggio. Lo dice anche Vanni Codeluppi in un recente libro (L’era dello schermo, Franco Angeli). Cita McLuhan e Baudrillard (“Si entra nella propria vita come si entra in uno schermo”). Secondo una ricerca, dice Piper, “più tempo passiamo a leggere su uno schermo, meno tempo passiamo a leggere ogni singola porzione del testo”: lo schermo induce a cogliere l’insieme, non le singole parti che lo compongono.

Si tagliano gli armamenti per armarsi

(ANSA) ROMA, 18 MAR – “Sì al taglio degli F35 ma non in virtù del principio alla John Lennon, ‘tagliamo le armi per fare gli asili'”. Questa la posizione espressa a Radio Anch’io dal vice ministro degli Esteri Lapo Pistelli che si dice completamente d’accordo con il ministro della Difesa Roberta Pinotti. “Si tratta di mettere le questioni nell’ordine giusto: prima fare un libro bianco della difesa, poi una mappatura dei rischi, quindi capire quali sono le dotazioni militari che ci servono”, ha aggiunto Pistelli.

Insomma sembra proprio che sugli F35 non riescano a dirne due buone di seguito.

Ancora su Ilaria Alpi

Noi ne avevamo parlato qui. Ora ne parla anche Greenpeace:

Tra pochi giorni ricorrono i 20 anni dall’omicidio di Ilaria Alpi e Mikhail Hrovatin, che rappresenta uno dei “misteri” su cui mai è stata fatta piena luce. Lo scorso novembre Greenpeace, tra gli altri, ha inviato ai Presidenti di Camera e Senato una lettera per la desecretazione della voluminosa quantità di documenti citati nelle diverse commissioni d’inchiesta sui rifiuti e i traffici illegali.

La lettera seguiva la decisione di desecretare le dichiarazioni del pentito di camorra Schiavonesulla vicenda della “terra dei fuochi”. A dicembre la decisione della Presidente Boldrini di avviare le procedure della desecretazione, una decisione che se effettivamente applicata sarebbe storica.

Più recentemente i giornalisti de il manifesto Andrea Palladino e Andrea Tormago hanno sollevato la questione dei criteri adottati dai funzionari della Camera per rispondere positivamente alle richieste di Greenpeace; dalle fonti intervistate sembrerebbe che i documenti identificati sarebbero un numero ridotto rispetto alle attese.

La Presidenza della Camera ha risposto ai giornalisti (al titolo del loro blog sui “documenti spariti”) che non ci sono documenti “spariti” e che i documenti identificati sarebbero 152. A quanto è dato sapere, questa lista è quella estratta dagli archivi delle commissioni parlamentari inserendo alcune parole chiave (come, ad esempio, “navi a perdere”).

Rimane dunque la perplessità dei criteri di scelta che non appaiono molto logici, su cui siamo già intervenuti.

Pubblichiamo qui in allegato un estratto degli archivi parlamentari – datato al settembre 2012 – che riporta l’elenco dei documenti . Quelli riservati sono circa 750 e forse non sono tutti (a questo link un nostro elenco dei soli documenti classificati e riservati). Guardando i titoli, oltre un centinaio di documenti riguardano esplicitamente il ruolo del faccendiere Giorgio Comerio e dell’ODM (Oceanic Disposal Mangment), una settantina più generalmente i traffici di rifiuti tossici e radioattivi, oltre un centinaio le cosiddette “navi a perdere” e una sessantina riguardano laSomalia. Forse andrebbero valutati con criteri legati alla maggiore rilevanza, più che con semplici parole chiave.

P.S. Uno dei documenti secretati è di provenienza Greenpeace e riguarda il tema del caso delle ricerche a mare relative alla nave affondata al largo di Cetraro (2009) che, secondo il pentitoFonti, sarebbe stata la Cunski, una delle navi sospettate di traffici di rifiuti, mentre, secondo le ricerche condotte per conto del Ministero dell’Ambiente, sarebbe la nave “Catania” affondata nella prima guerra mondiale. Su questa ipotesi sia Greenpeace che altre associazioni hanno espresso i loro dubbi.

Nel rapporto di Greenpeace “The toxic ships” si riporta che per effettuare le ricerche a mare il Ministero della Difesa inglese aveva presentato al governo italiano una offerta di valore più basso di quella poi concessa alla Mare Oceano di proprietà dell’armatore Attanasio (vedi pag. 10 del rapporto). Greenpeace, nel corso di un’audizione parlamentare sul tema, ha chiesto di mantenere il segreto su questo documento esclusivamente per la tutela delle proprie fonti.

Ma l’informazione che tali fonti citano è chiaramente riportata nel rapporto citato: e cioè che un’offerta del Ministero della Difesa inglese (sembrerebbe fatta a supporto dell’offerta di collaborazione della Nato riportata da Repubblica il 26-9-2009) sia stata respinta pur essendo, a parere della stessa fonte, economicamente vantaggiosa rispetto a quella poi assegnata alla Mare Oceano. Proteggere le fonti a volte è necessario, ma non i contenuti delle informazioni.

Giuseppe Onufrio – Direttore Esecutivo di Greenpeace Italia

Nomi, cognomi e infami: la recensione di Persinsala

Di Fabio Di Todaro, qui:

Al Teatro della Cooperativa di Milano è andato nuovamente in scena Nomi, cognomi e infami, lo spettacolo di Giulio Cavalli che fa riflettere in modo ironico sul delicato tema delle criminalità organizzate.

Parla senza peli sulla lingua: e fin qui nulla di nuovo. Ma di Nomi, cognomi e infami, opera di Giulio Cavalli riproposta nei giorni scorsi al Teatro della Cooperativa di Milano, stupisce la stringente attualità, nonostante lo spettacolo sia stato prodotto quattro anni fa. Non un’epoca a teatro, ma il segno dell’immobilismo di un Paese che, sebbene la morsa della crisi sia sempre più stringente, ha finora lasciato scorrere invano giorni preziosi.

È un monologo intelligente quello dell’attore lodigiano, abile a coinvolgere con ritmo costante il pubblico e a farlo finanche sorridere, nonostante l’amarezza dei temi trattati. Uomini veri e altrettanti taroccati. Sul palco è tutto un susseguirsi di persone che, per il loro spiccato senso civile, sono oggi riconosciute come eroi: dai giornalisti Peppino Impastato e Roberto Saviano ai magistrati Bruno Caccia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma Cavalli, pur non citandoli, fa riferimento anche a tanti altri esponenti dell’antimafia meno noti: la giornalista Rosaria Capacchione, i rappresentanti dell’associazione Libera, il magistrato palermitano Nino Di Matteo.

A frapporsi a loro, nello spettacolo come nella vita, una serie di personaggi balzati agli onori della cronaca per pavidità, povertà culturale e interessi illeciti. Vengono così fuori dei ritratti di boss autentici, ma difficili da riconoscere. Costanti anche i riferimenti alla Lombardia, divenuta terreno di coltura prima di Cosa Nostra e più recentemente della ‘Nrangheta. «Se l’eroina era un business per le organizzazioni criminali e i suoi morti sono riconducibili ad attività illecite, la Lombardia è la regione che conta il più alto numero di morti di mafia». Giulio Cavalli, nei panni del giullare medioevale, punta a stimolare «il muscolo della curiosità, perché non ha senso commemorare ogni anno le vittime di mafia e vivere tutti gli altri giorni dimenticandosi di loro e fingendo di non vedere ciò che accade attorno a noi». Chiaro il riferimento alle recenti celebrazioni in memoria di Lea Garofalo: «Quanti di voi sanno che Lea è morta per colpa dello Stato che le ha tolto il programma di protezione riservato ai testimoni di giustizia?». Pochi, sicuramente, sebbene il 14 ottobre scorso le lacrime abbiano rigato il volto di molti italiani, nel giorno del funerale in cui Milano ha reso omaggio alla donna di Petilia Policastro uccisa dalla mafia calabrese all’ombra della Madonnina nel 2009.

Cronaca e analisi si intrecciano, portando in copertina storie meno note anche al pubblico più sensibile alla tematica. Lo spettacolo – tratto dall’omonimo libro scritto da Cavalli e pubblicato da Edizioni Ambiente – riesce nell’intento di svegliare le menti ed esorcizzare il tema delle minacce, mai direttamente affrontato dall’attore nel corso della rappresentazione.

La mafia uccide i bambini

Tre persone,una delle quali e’ un bambino di 4 anni, sono state uccise in un agguato sulla statale 106, la Taranto-Reggio Calabria, all’altezza dello svincolo per Taranto. Le vittime erano tutte in un’auto crivellata di colpi: un pregiudicato in semiliberta’, la sua compagna e il bambino. Altri due bambini di 6 e 7 anni sono rimasti illesi

La notizia viene battuta nella notte dall’Ansa e oggi sbrodolerà per la rete: la mafia uccide anche i bambini quindi il “codice d’onore” è un letamaio. Chiaro, no?